Un ferragosto di ordinaria Sanità

Un’infermiera racconta il disastro che si sta compiendo

Roma, 15 agosto. Una clinica privata accreditata come tante. In questo giorno afoso di festa (per alcuni) ci ritroviamo a lavorare io, le mie colleghe infermiere e i carabinieri che sono addirittura venuti sotto l’ospedale. A chiamarli una parente, la cui suocera “è stata lasciata tutta notte con il pannolone pieno demmerda”. Una bazzeccola, che però denota l’irreale stato delle cose. Ha scelto di aggredire me e la mia collega, minacciandoci, insultandoci, augurandoci di morire di infezione. Aldilà della situazione così assurda, mi lascia perplessa ciò che ne consegue: il direttore sanitario, che viene a chiederci spiegazioni, davanti alla suddetta parente sostiene che del “nostro ospedale non si è mai lamentato nessuno”. Inoltre, davanti il problema dell’esiguo numero di infermiere a fronte dei 50 pazienti, risponde che il numero di unità è adeguato. Questo è ciò che da tempo sostiene la direzione insieme ai tre ridicoli sindacalisti, dopo che i miei colleghi hanno chiesto incontri su incontri e scritto una lettera di protesta (alla direzione stessa mica a chissà chi). Ecco le conseguenze: lettere di richiamo a tappeto (dopo un tot di richiami scritti, spiegazioni agli avvocati, eccetera, arriva il licenziamento), turni inventatiper farci morire (a luglio ho lavorato 10 notti con solo “smonto”, mai un riposo), un po’ di terrore in generale e le cose si sono arenate. Le mie colleghe (la metà non è italiana) hanno fatto dietrofront è la cosa è morta lì, con i tre sindacalisti che firmavano comunicazioni giustificando i turni a fasce orarie ” che tutelano le condizioni salutari di lavoro”. Aldilà del fatto che non capisco cosa ci sia di salutare nell’avere mal di schiena un giorno si e l’altro pure, i turni sono stati ideati per coprire le ore da contratto (non pagano gli straordinari) e per risparmiare qualche migliaio di euro probabilmente. Sono state create delle fasce orarie per cui invece che lavorare 7 ore ne lavori 6, non raggiungendo mai il monte ore, quindi devi rientrare sempre dopo lo smonto notte.

Mi piacerebbe discutere della situazione della sanità, perché purtroppo è quello contro cui si sbatte la faccia quando si finisce l’università, e assicuro che nei miei sogni non c’era di fare l’infermiera in questo modo, schiava di un padrone che guadagna sulla mia salute e dei pazienti (è un presidio accreditato), sottopagata e precaria. Ma l’affitto e la spesa me li pago così. Aldilà che io denunciata per maltrattamenti non mi ci vedo proprio, mi destabilizza il fatto che lavoro per tutto fuorché la salute. Semmai il contrario: l’ospedale è un bacino di eventi sentinella (clostridium, acinetobacter e krebsiella sono i più gettonati), finiamo di lavare, medicare, dare la terapia, dare da mangiare, fare i ricoveri, spostare, tirare, pulire, sistemare, piegare, scrivere e gestire le urgenze quando è finito il nostro turno già da tempo. Mi sembra di svuotare il mare con un cucchiaino ogni giorno che timbro. Le mie colleghe sono stanche e anche anziane, rimpiangono i tempi passati, scaricano il lavoro sulle due giovani arrivate (le quasi-denunciate in questione) e adottano la strategia della reticenza “che magari le cose andranno meglio”. Schiavi che si rendono schiavi. Cosa fare altrimenti se il marito è disoccupato, i figli sono in India, le bollette sono alte?

Io le ho pensate un po’ tutte, ma è difficile immaginarsi il mondo che vorresti senza una costruttiva condivisione di idee. Una serie di paletti me li sono messi: no al pannolone coatto ai vecchi, si a medicare con i presidi giusti le lesioni (non il materiale inutile o al ribasso), no alle lesioni da decubito, si alla cura e all’assistenza a casa propria perché i vecchi in ospedale non ci devono venire per ammalarsi di qualcosa che all’ingresso non avevano, no alle caposala che gestiscono la mia vita (e dicono che devo adeguare la mia vita ai turni), si a uno stipendio medio, no al mal di schiena, no alle contenzioni e all’accanimento terapeutico (quante persone), si a una morte dignitosa, anzi, vita prima di morire, il dopo è un misero dettaglio.

Credo debba proprio modificarsi la concezione di salute, perché è diventata questa roba qua.

Nelle istanze primaverili dei lavoratori della sanità, già non confidavo molto, a trascorrere gli ultimi mesi con i miei colleghi mi è tutto più chiaro. Mi sembra non vi sia alcuna visione critica della situazione, solo –giustamente- l’esito di una serie di ricatti e paure inculcate loro da miseri padroni o come diavolo vogliamo chiamarli.