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Twitter fa il nido in borsa

Cosa può significare la quotazione a Wall Street del social network

A differenza dell’esordio deludente e dell’altalena successiva di Facebook, l’uccello di Twitter vola in borsa. […]
Rispetto alla quota di 26 dollari per azione stabilita dalla offerta pubblica iniziale, i titoli del social network che cinguetta ieri sono saliti fino a 45,10 dollari per azione, il 73 per cento in più di quanto richiesto in partenza. Dei 70 milioni di azioni messe sul mercato, solo nei primi 30 minuti di scambi, ne erano passati di mano 47 milioni. A metà seduta erano state scambiati 82 milioni di titoli, il che significa che alcune azioni erano già state comprate e rivendute. Esultano le banche che hanno gestito la quotazione e che incassano il 3,25 per cento della cifra raccolta, cioè 2,1 miliardi di dollari. Goldman Sachs è della partita e ci ha tenuto a rendere manifesta la cosa. Il gioco della finanza è fatto anche di riti e pubblici endorsement. Ecco perché è stato proprio l’esperto di economia digitale della banca d’affari, Anthony Noto, che ieri ha avuto il compito di accompagnare fisicamente sul floor di Wall Street l’amministrare delegato Dick Costolo e i fondatori Jack Dorsey, Evan Williams e Biz Stone, sbarcati dai campus della Bay Area direttamente a Manattah downtown, a pochi isolati dai luoghi in cui i manifestanti di Occupy Wall Street lanciarono a colpi di hashtag la loro sfida al dominio della finanza.

A suonare la campanella che ha dato il via all’inizio delle contrattazioni, quelli di Twitter hanno chiamato tre persone. Il volto famoso era quello dell’attore Patrick Stewart, noto al grande pubblico come faccia del capitano Jean-Luc Picard nella serie televisiva “Star Trek: The Next Generation”. Assieme a lui c’erano Vivienne Harr, una bimba di 9 anni che con profondo spirito imprenditorial-filantropico statunitense ha messo in piedi un baracchino di limonata per sostenere progetti contro lo sfruttamento dei minori, e Cheryl Fiandaca, responsabile delle pubbliche relazioni del dipartimento di polizia di Boston. Il trittico pare pensato apposta per rinforzare l’immagine pubblica del social network: vi si incontrano le star, si può cercare di “cambiare il mondo” e al tempo stesso rinsaldare la nostra relazione con la pubblica autorità.

Rivoluzione digitale o no, ogni statunitense guarda ancora circa cinque ore di programmi televisivi al giorno. Ecco perché l’amministratore delegato Dick Costolo, si è preoccupato di affacciarsi dalla copertina dell’ultimo numero di Forbes e ha prospettato l’interazione tra la tv e Twitter, quasi a voler tranquillizzare gli investitori più conservatori e gli utenti più tradizionali: “Più cresciamo e più diventa chiaro che le qualità che hanno fatto crescere Twitter – il suo essere pubblico, in tempo reale e colloquiale – lo rendono perfettamente complementare alla televisione”, ha spiegato. Il ragionamento di Costolo è semplice: la televisione è sempre stata social e ha sempre avuto a che fare con le chiacchiere della gente. “Solo che in passato queste chiacchiere erano limitate a chi stava nella stessa stanza – ha precisato – a quelli che parlavano al telefono o il giorno dopo di fronte alla boccia dell’acqua in ufficio. Chi dirige le emittenti televisive ha capito che Twitter è un moltiplicatore del suo media”.

Se il boom in borsa è una bolla destinata a scoppiare come al tempo della “new economy” o il segnale di un nuovo orizzonte che intreccia grande finanza e sfruttamento di dati e creatività socialmente diffusa lo capiremo nei prossimi mesi, anche perché si tratterà di spremere profitti dai 500 milioni di mesaggi a 140 caratteri diffusi dagli utenti ogni giorno e non solo di accumulare immaginario e occupare posizioni strategiche nella guerra di movimento che sta ridisegnando i mass media e l’intera società. “Twitter è ormai nota alla gente – sostiene l’analista Debra Aho Williamson – ma non tutti sanno come si usa. È ancora un linguaggio complicato per l’utente medio”. E tuttavia, dalla parte di Twitter giocano fattori non da poco: l’elasticità della struttura che si presta alla convergenza con i media tradizionali, la capacità di allargare la sfera social oltre la galassia degli “amici” grazie ai cunicoli scavati dagli hashtag (nei mesi scorsi un po’ goffamente copiati da Facebook) e soprattutto il fatto di essere più adatto ad apparecchi mobili e smart-phone, cioè allo strumento con cui la maggioranza degli utenti si rapporterà alla rete negli anni a venire.

Insomma, se pensavate che questa della quotazione in borsa di Twitter fosse una faccenda di freddi numeri e grafici noiosi vi sbagliate di grosso, perché i passaggi simbolici che nascondono investimenti sostanziali e le relazioni di comando non finiscono qui.