ITALIA

Il tribunale di Torino respinge la sorveglianza speciale per chi ha lottato per il popolo curdo

Arriva finalmente la sentenza attesa che smonta il teorema persecutorio. Rimangono indagini aperte per tre attivisti impegnati in lotte sociali nel territorio

Il tribunale di Torino si è finalmente espresso sul caso dei cinque internazionalisti di ritorno da una permanenza a fianco a YPG e YPJ in Siria del Nord, per i quali il pubblico ministero aveva chiesto la disposizione della misura eccezionale della sorveglianza speciale, come avevamo raccontato nel mese di febbraio con questa intervista a uno di loro.

Secondo il teorema persecutorio avanzato dalla procura, i cinque avrebbero appreso metodi di lotta armata che li rendevano automaticamente pericolosi anche in Italia in quanto, come è stato detto dal procuratore durante il dibattimento in aula, dediti «nella loro vita alla lotta al capitalismo».

Dopo un lungo periodo di attesa e dopo una forte campagna di solidarietà nei loro confronti diffusa tra l’opinione pubblica, che ha visto anche il sostegno di numerosi esponenti del mondo della cultura, finalmente è arrivata la sentenza favorevole agli attivisti torinesi.

In un primo comunicato scritto dai cinque imputati si afferma che la sentenza del tribunale di Torino è «una vittoria delle YPG-YPJ [perché] afferma esplicitamente che nessuna correlazione è possibile […] tra l’aver combattuto nelle forze curdo-arabe che hanno sconfitto l’Isis e l’applicazione di restrizioni della libertà previste nelle cosiddette misure di prevenzione».

I cinque imputati poi dichiarano che la vittoria è anche merito della campagna mediatica che si è riusciti a costruire attorno alla vicenda, che è stata drammaticamente amplificata dalla morte di Lorenzo Orsetti, altro volontario internazionalista italiano del quale il 23 giugno si celebrerà il funerale a Firenze.

Un altro importante risultato, riportano sempre nel comunicato, è «l’affermazione del tribunale che non è ammissibile applicare la sorveglianza speciale per via di idee politiche espresse in interviste, status sui social o sui libri, come invece aveva sostenuto incredibilmente la Digos con i suoi incartamenti e la procura con il suo intervento in aula. La nostra campagna e la nostra difesa hanno ottenuto il risultato di difendere efficacemente, almeno in parte, la libertà di dissenso intellettuale e di espressione critica in questo paese».

Tuttavia, la sentenza si colloca all’interno di un contesto, quello torinese, famoso per la attitudine persecutoria della procura nei confronti dei movimenti sociali, come la repressione nei confronti della lotta No Tav dimostra da più di venti anni.

Infatti, la procura ha scelto che per tre degli imputati – Jacopo, Eddi e Paolo – è preferibile continuare a vagliare la condotta in merito a episodi legati a lotte sociali nella città, per i quali non sono mai stati condannati, avvenuti negli scorsi anni. Alla prossima sentenza del 15 ottobre 2019 verrà deciso se questi episodi possono giustificare la misura repressiva della sorveglianza speciale. È pertanto importante continuare a mantenere alta l’attenzione mediatica sulla questione perché si arrivi a una sentenza analoga che possa mettere fine alla questione.

Ricordiamo infine che Luisi Caria, compagno sardo che parimenti ha svolto un periodo nelle YPG, sta attendendo una sentenza simile dal tribunale di Cagliari.