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The Last Duel, lo stupro e la scintilla del corpo politico

L’ultima pellicola del regista britannico mette al centro questioni urgenti che riguardano la violenza di genere, il sessismo interiorizzato e la consapevolezza del proprio corpo come messa in discussione del patriarcato

Ridley Scott torna sul grande schermo, alla regia di una pellicola storica al limite della satira, che restituisce una rappresentazione profondamente realistica e dettagliata di un tema tanto attuale come quella della violenza sessuale e di genere. Basandosi sul lavoro dello studioso Eric Jager, che ha tentato di mettere ordine nella narrazione di uno dei fatti di cronaca più discussi del Basso Medioevo, Ridley Scott si fa portavoce della storia di Marguerite de Thibouville, la prima donna ad aver intentato un processo contro l’uomo che l’aveva stuprata.

Avvalendosi di un’avvincente composizione narrativa, l’opera è caratterizzata dalla presentazione dei fatti ripetuti e analizzati da tre punti di vista differenti, quelli dei protagonisti coinvolti nella vicenda: il cavaliere Jean de Carrouges, il marito di Marguerite interpretato da Matt Damon; Jacques Le Gris, insignito del titolo di scudiero e vecchio amico di Jean, il cui volto è quello di Adam Driver; infine, la stessa Marguerite, l’attrice Jodie Comer.

Tramite l’attenzione raffinata riposta nella cura del dettaglio, lo spettatore viene completamente assorbito dalla storia, che dispiegandosi linearmente, momento dopo momento , si impegna a scavare nelle viscere del personaggio narrante di turno, restituendone delle versioni minuziose ma inevitabilmente divergenti tra loro.

Il lavoro del regista e dei suoi tre sceneggiatori, ognuno incaricato della scrittura di una sola delle sezioni, riesce a instillare il dubbio nella mente di chi si vede raccontati quei fatti, che al primo approccio permettono di delineare un quadro preciso, ma che poi, proseguendo con la narrazione, lasciano lo spettatore in uno stato confusionale e lo conducono verso un’incertezza tale da spingerlo a dubitare di ciò che ha visto e creduto vero fino a quel momento, per poi approdare nella parte finale, in cui gli intenti vengono chiarificati e in cui risiede il nocciolo dell’opera. La contraffazione del ricordo, la discutibilità della validità delle proprie convinzioni e le tragiche conseguenze alle quali la misinterpretazione della realtà possano portare, che andranno a gravare esclusivamente sulle spalle di quell’entità fattasi carico del peso dell’oppressione patriarcale nei secoli: la donna, sono solo alcuni dei temi affrontati nel film.

Con un lavoro che richiama le modalità del celebre Espiazione, di Ian McEwan, anche qui, il perno della narrazione è costituito dall’esaltazione di uno specifico dettaglio, dalla cui interpretazione arbitraria dipenderà il successivo dispiegarsi degli eventi. La tensione crescente accompagna lo spettatore fino alla messa in scena dell’atto protagonista, lo stupro, portandolo spesso a chiedersi quale delle verità che vede rappresentate sia quella in cui può riporre fiducia.

Tuttavia, se in Espiazione, la tragicità delle conseguenze della misinterpretazione della scena testimoniata dalla dodicenne Briony, si fanno incarnazione dell’errore dell’innocenza e permettono all’autore di interrogarsi sulla validità della giustificazione dell’ingenuità della bambina, in questo caso, nonostante ci vengano presentati i loro punti di vista, non ci è concesso di empatizzare con le azioni dei primi due protagonisti, una volta che la terza versione verrà presentata e riconosciuta come l’unica attendibile.

Di straordinaria potenza sono cariche, inoltre, le scene riguardanti il processo, fulcro satirico della pellicola, che la rendono più attuale che mai. Se nelle prime due rielaborazioni, nelle quali la narrazione si svolge attorno alla rivalità di Jean e Jacques, Marguerite è trattata, anche in questo frangente, come un accessorio, è nella parte dedicata alla sua verità, alla verità, che è possibile rintracciare le radici del marciume di un sistema oppressivo che, pur avendo subìto trasformazioni nel contesto, ha mantenuto le stesse modalità, sopravvivendo fino al giorno d’oggi.

Il trattamento riservato alla protagonista non è affatto lontano dalla caratterizzazione dell’atteggiamento che viene assunto, quotidianamente, da specifiche entità nei confronti delle donne che denunciano uno stupro.

Le insistenti domande, rivolte a Marguerite, riguardanti la possibilità di aver provocato Jacques, di aver provato piacere durante l’atto e di aver quindi dato modo al violentatore di credere di agire nel consenso, si fanno riflesso della gogna, tanto privata quanto mediatica, a cui le sopravvissute sono, ancora oggi, sottoposte. La rappresentazione del tentativo di giustificazione dell’atto e dell’invalidazione della coscienza della donna fa torcere lo stomaco, se si pensa al fatto che gli episodi narrati non costituiscono un mero espediente, ma che, invece, si rifanno a eventi storicamente documentati e realmente accaduti in un’epoca, tuttavia, ben lontana dalla nostra “modernità”.

Lo stupro viene presentato per quel che è, uno strumento di appropriazione del corpo e dell’entità femminile in generale; si fa, dunque, mezzo abilmente impiegato nel mantenimento di uno status quo che risulta conveniente per chi non desidera alterare gli equilibri e si fa incarnazione del privilegio maschio e del patriarcato interiorizzato.

Il sistema sociale riprodotto prevede, difatti, la pratica dello stupro come una consuetudine accettata, in prima istanza, dalle donne stesse, che non esitano a riconoscere in Marguerite il peccato dell’arroganza nel momento in cui decide di chiedere giustizia. La pratica delle negazione e dell’accettazione dell’abuso subìto era naturale conseguenza di una realtà in cui le metodologie adottate restituivano una giustizia parziale, rendendo il processo una mera formalità, in cui la parte lesa, la donna, veniva di nuovo messa da parte, per dare spazio a coloro che erano considerati i veri protagonisti: il marito e lo stupratore.

Il corpo femminile era già al tempo un campo di battaglia, ma se in quel caso era trattato in funzione della volontà maschile, il cui obiettivo era quello di “marcare il territorio” attraverso l’esercizio del dominio fisico, oggi la riappropriazione di quello spazio che è la propria persona si manifesta attraverso l’abilità di fare del corpo uno strumento politico.