The answer is blowin’in

Visitando le occupazioni si scopre, guardando bene dietro le facciate, di che pasta è fatta la città.

Il 6 aprile non è stato il cannone del Gianicolo a segnare l’ora del giorno. Alle 13:00, con una puntualità assoluta, fumi colorati si sono levati in più parti di Roma, a salutare l’inizio dello tsunami: il tour scatenato nella città dai movimenti di lotta per l’abitare insieme a studenti e precari. A Casal Bertone (Roma est) sono stati proprio gli studenti ad iniziare le danze, calando un lungo striscione da un palazzo di LAZIOADISU (l’Ente regionale del diritto allo studio) da tempo in ristrutturazione.

Un’occupazione simbolica ma significativa fatta dai giovani di Mushrooms (questo il nome dato allo studentato occupato nel quartiere di Torpignattara e sgomberato lo scorso 14 marzo) per denunciare, invadendo la residenza di Enzo Tarantelli, come l’ente regionale al posto di assegnare gli alloggi persegua di fatto, per fare cassa, l’obiettivo di affittarli a prezzo di mercato.

Mushrooms con quest’azione ha indicato la propria volontà, seguendo l’onda dello tsunami, di incrementare il numero di ulteriori occupazioni e autogestioni di edifici privati da destinare a studentati. L’unica risposta possibile alla crisi e alle politiche di austerity è sottrarre al mercato speculativo privato i giocattoli con cui fanno rendita.

Alla medesima ora altre occupazioni: lungo la via Tiburtina (due edifici) e uno a san Basilio, dove sono ormai molti gli edifici terziari abbandonati. Gruppi di famiglie italiane e di migranti, varcando soglie per troppo tempo serrate, si predisponevano a farle diventare altrettante residenze. Cantieri che iniziati immediatamente non sembrano destinati a conoscere rallentamenti o indecisioni. Pronti come sono a riscattare quegli spazi tenuti chiusi trasformandoli in stanze.

Ad aiutare nei lavori sono arrivati immediatamente molti tra gli occupanti dell’ondata precedente, quelle 850 famiglie che il 6 dicembre scorso hanno occupato le case in questa stessa zona o all’Anagnina.

Alla caccia grossa non poteva mancare un trofeo. Che c’è di meglio – siamo a Ponte di Nona – di un immobile finito e naturalmente invenduto del gruppo Caltagirone? Uno degli oltre 50mila edifici che, pur lasciati inabitati, permettono di ingrossare lo stato patrimoniale di chi in questi decenni ha goduto di una licenza di “rendita” continua.

A dar vita a questa occupazione sono stati 32 nuclei di giovani italiani per lo più con bambini molto piccoli. Gli stessi che, proprio il 6 dicembre scorso, erano stati allontanati con la forza da case poco distanti. Queste sono più belle e più comode. Qui hanno deciso di restare. Anche a loro è giunta la solidarietà dei gruppi che abitano poco lontano: gli ex occupanti di De Lollis (lo storico edificio di San Lorenzo) che con la lotta hanno strappato l’assegnazione della casa a Rocca Cencia.

E’ stato un conoscersi e, per molti, un ritrovarsi. Necessario a fare il punto prima di martedì prossimo, quando un lungo corteo si dirigerà verso la Regione Lazio per vedere se il neo-governatore Zingaretti, a differenza dei suoi predecessori, vorrà considerare l’emergenza abitativa non una patologia incurabile della metropoli, bensì un diritto inalienabile di chi la metropoli l’abita o vorrebbe riuscire a farlo.

Perché visitando le occupazioni si scopre, guardando bene dietro le facciate di ogni edificio, di che pasta è fatta questa città.

Case che vengono affittate ad una Asl – siamo all’Appia in zona Arco di Travertino e anche questa è una nuova occupazione – senza che quest’ultima faccia nessun tipo di verifica in merito alla corrispondenza di quegli spazi alle proprie esigenze.

Succede così che oltre 30 appartamenti siano modificati rispetto alla loro originaria funzione abitativa, per permettere al proprietario di lucrare con un affitto sostanzioso sullo svolgimento di un’attività regionale (la sede di una Asl).

Poi capita che un paziente, come è avvenuto, sia colto da malore e scopra che non può essere soccorso. Perché quei corridoi, costruiti per accogliere un’utenza domestica, non sono larghi abbastanza per far girare una barella…

Una storia di ordinaria rendita basata sulla connivenza tra la proprietà privata (qui rappresentata dai cavalieri dell’Ordine di Malta) e il servizio pubblico (la ASL).

È ancora una ASL a insediarsi in uno stabile di Garbatella. Ancora una dismissione (che si prolunga da oltre quattro anni) e ancora, adesso, un’occupazione. 50 famiglie che, verificata la capienza del posto, si sono subito dichiarate disponibili ad accogliere altre famiglie nella stessa condizione.

Che la Regione Lazio abbia sempre puntato a garantire l’affitto sicuro ai maggiori costruttori cittadini è testimoniato da un’altra occupazione. Questa volta siamo nella zona degli uffici di via del Caravaggio a ridosso della Colombo. Il costruttore, il Gruppo Armellini, ha avuto nella Regione il proprio inquilino privilegiato (e sembra sia tuttora così anche per altri palazzi).

Da ieri, in quello che era stato il dipartimento “casa” della Regione, c’è la nuova casa di un folto gruppo di famiglie. Tutte già organizzate per viverci. Quasi a risarcire con la loro presenza, con i loro corpi, le molte parole vane, le troppe promesse inevase che proprio in quel luogo, per troppo tempo, sono state blaterate sull’emergenza abitativa .

Complessivamente il primo giorno dello tsunami si chiude con il “battesimo” di nove edifici. Non solo occupati, ma anche difesi. E’ il caso dello studentato Degage (zona Nomentana), ora nella disponibilità proprietaria di un fondo immobiliare di un altro energumeno del cemento: il gruppo Parnasi.

Quello che costruisce grattacieli all’Eur senza rischi, visto che è riuscito a piazzarne uno all’ente in dismissione della Provincia ancor prima di costruirlo, e che realizzerà il nuovo (inutile) stadio della Roma. E il gruppo Parnasi, ieri, si è subito affrettato a gridare al leso diritto proprietario e invocare l’intervento della polizia. A fronte della solidarietà espressa da un corteo subito accorso in difesa dell’occupazione, i blindati sono dovuti restare parcheggiati lungo la strada permettendo ai nuovi arrivati di raggiungere lo stabile ed unirsi agli occupanti.

La prima notte, oltre che per organizzarsi, è servita a discutere, a mettere in comune le singole esperienze, decidere le richieste da portare al tavolo previsto alla Regione.

La proposta è secca e molto semplice: Comune e Regione acquistino, a prezzo del costo di costruzione, le case sfitte che sono sul mercato come invendute. Solo così si potrà risolvere l’emergenza abitativa e al contempo, recuperando il dismesso e l’invenduto, si farà riposare la terra sollevandola dal peso di nuove inutili costruzioni.

Roma ha scoperto nel vento la risposta all’emergenza abitativa. The answer is blowin’in.

Dinamopress, 07-04-2013