DIRITTI

Sulla loro pelle. Produzione e governo dell’”emergenza” profughi in Italia

I dati sull’accoglienza ai migranti sono forniti solo parzialmente dalle istituzioni. Intanto, diverse ombre sui centri di accoglienza straordinaria (Cas) emergono da un rapporto della campagna inCAStrati

Non è possibile stabilire con esattezza quanti siano, oggi, i richiedenti asilo in accoglienza, in Italia. Né è possibile sapere, con certezza, l’insieme delle strutture in cui sono ospitati, l’esatta ubicazione dei centri, chi li gestisce, e come funzionano, soprattutto. La conferma che, in tantissimi casi, non vi è trasparenza sugli affidamenti e sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto, arriva dall’ ultimo rapporto diffuso dalla campagna inCAStrati, promossa da Cittadinanza attiva, LasciateCIEntrare e Libera ( numeri e nomi contro le mafie).

Un’ iniziativa composta da una serie di rivendicazioni rivolte a “rendere anzitutto accessibili informazioni fondamentali sul funzionamento dell’intero sistema di accoglienza” si legge così nel report che è stato presentato a Napoli lo scorso week – end. Quel che è certo – secondo gli ultimi dati resi noti dal Ministero dell’Interno che risalgono ad ottobre 2015 – è che sono poco più di tremila le strutture di accoglienza temporanee per richiedenti asilo presenti sull’intero territorio nazionale. I cosiddetti CAS, acronimo di centri per l’accoglienza straordinaria sono i tipi di strutture più diffuse, soprattutto nel Sud Italia. Poi si contano quattrocentotrenta progetti attivati dalla rete SPRAR gestita dagli enti locali (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati); tredici centri a gestione governativa, i CARA (centri per richiedenti asilo) per un totale complessivo di quasi centomila richiedenti asilo o protezione internazionale. Sono 21.814 i migranti inseriti nel circuito SPRAR, mentre 7.290 sono quelli collocati nei CARA, stando ancora ai dati diffusi dal Ministero. La spesa complessiva stimata dal Viminale per l’accoglienza è pari allo 0,14% della spesa pubblica nazionale: un miliardo e cento milioni di euro, di cui novecento milioni sono i fondi destinati alle strutture di accoglienza governative e temporanee e poco più di duecento milioni sono i soldi che vanno invece ai centri Sprar.

Tutte queste risorse dovrebbero bastare a coprire interamente i costi del servizio, il personale, gli affitti, i consumi. Eppure, si denuncia ancora nel rapporto: “al di là di singole esperienze virtuose, molte di queste strutture sono del tutto inidonee all’accoglienza”. Dalle visite in diversi centri condotte dagli attivisti della campagna InCAStrati è emerso “il mancato rispetto degli standard sanitari, sia per i migranti, per gli operatori impegnati nei centri, che si trovano ad operare in strutture spesso fatiscenti, prive delle minime condizioni igieniche”. In particolare, nella parte del rapporto interamente dedicata ai CAS curato da Yasmine Accardo la dinamica descritta è identica a quella del sistema del caporalato. Il quadro descritto è vergognoso. È lo stesso per cui ad esempio i migranti ospitati nel centro di Contrada Madonna della Salute, in provincia di Benevento, sono costretti a bere acqua da un pozzo. Oppure quello per cui nella pizzeria Da Mario a Campagna e nell’Hotel di Francia a Giugliano – entrambi in Campania – operano mediatori che non conoscono neppure l’inglese, né tantomeno risultano possedere alcuna preparazione in materia di protezione internazionale. Accade ancora a Salerno, presso l’Hotel Flaminia, e in tantissimi centri disseminati nei comuni più sperduti di Calabria, Campania e Sicilia, soprattutto, dove spesso “esiste un unico operatore/mediatore per l’intera struttura, che deve svolgere innumerevoli funzioni: attività di mediazione, accompagnamento in questura, presso la ASL e in ospedale, distribuzione dei pasti, etc…”.

Di fronte a tutto ciò, spiega chi ha monitorato l’attività di molti centri: “occorre una grande operazione di trasparenza, un controllo civico sulla gestione di strutture e servizi”. Per questo, raccontano: “a partire dal mese di giugno 2015 abbiamo rivolto al Ministero dell’Interno ed alle Prefetture una serie di istanze di accesso agli atti chiedendo la pubblicazione dell’elenco dei CAS presenti sul territorio nazionale, degli enti gestori e delle informazioni inerenti le gare, le convenzioni, ed ogni altra informazione relativa alle rendicontazioni e alle attività di monitoraggio svolte sui servizi erogati”. In parallelo è stata svolta un’ attività di monitoraggio delle strutture, attraverso i colloqui e le interviste realizzate con gli ospiti, i volontari, i lavoratori. Così il rapporto presentato a Napoli è solo l’esito parziale di un lavoro, tuttora in corso, che sarà aggiornato nei prossimi mesi. Intanto, la risposta del Ministero dell’Interno, attraverso la Responsabile della prevenzione della corruzione per il triennio 2014/2016 è stata in sostanza evasiva delle istanze presentate. Il dicastero retto da Angelino Alfano si è limitato a fornire dati generici, ritenendo che per ciò che riguarda l’elenco completo delle strutture non è “previsto alcun obbligo di pubblicazione”. Ritenendo, altresì, “inopportuna la diffusione di notizie a tutela della sicurezza dei richiedenti asilo accolti nelle strutture”. Non solo.

Secondo il Ministero, si tratta di dati che sono già nella disponibilità delle Prefetture competenti e pertanto la richiesta andrebbe effettuata direttamente a tali uffici. Rinviando, inoltre, all’apposita Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti “appositamente costituita ed operante sull’intero territorio nazionale” per informazioni più dettagliate. Dunque, per il Viminale: “la pubblicazione dell’elenco dei centri e della loro ubicazione sarebbe inopportuna per ragioni di tutela della sicurezza delle persone ospitate e di quelle che vi lavorano”. Sic.

Non è andata meglio, in tema di democrazia delle procedure, con quasi tutte le Prefetture italiane interpellate. La gran parte di loro, infatti “ha in buona sostanza rigettato le istanze, limitandosi a fornire alcuni dati generici sul numero complessivo degli ospiti delle strutture e sui bandi di gara relativi agli affidamenti, affermando laconicamente che le informazioni richieste non fossero soggette ad obbligo di pubblicazione”. Non è tutto. Addirittura cinquantadue Prefetture, invece, hanno ritenuto di non rispondere. Altre, molte altre hanno fornito soltanto generiche indicazioni; due uffici che, pur fornendo riscontro scritto, non hanno minimamente preso in considerazione le richieste avanzate sono state la Prefettura di Taranto e quella di Venezia. Entrambe spiccano per la singolarità delle risposte. La prima ritiene che non sussiste “per le graduatorie formate all’esito delle procedure di gara per l’affidamento del servizio di accoglienza e della gestione dei servizi connessi” nessun obbligo di pubblicazione (mentre tali informazioni risultano già presenti e visibili nella maggior parte dei siti istituzionali di ciascuna Prefettura). Il palazzo del Governo veneziano, infine, ha spiegato che: “non ritiene opportuno procedere alla pubblicazione dell’elenco delle strutture di accoglienza, anche per ragioni di tutela della sicurezza degli operatori e della privacy dei migranti in un contesto territoriale che pone seri problemi”. È fuor di dubbio che la scelta di Governo dell’accoglienza ai profughi attuata in maniera emergenziale consente, anzi, favorisce l’assegnazione in forma opaca di appalti e finanziamenti pubblici. Che tutto ciò avvenga sulla pelle dei meritevoli di protezione internazionale, lo è altrettanto evidente.