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EUROPA

Una serata da 300mila euro. Ritorno sul blocco di Geodis Gennevilliers

Uno dei caratteri più interessanti delle recenti mobilitazioni francesi (tuttora in corso) contro il nuovo patto ferroviario e la riforma dell’accesso all’università è senza dubbio il movimento di “aller-retour” tra facoltà e stazioni, luoghi della formazione e luoghi di lavoro. Tale sconfinamento delle frontiere tra il terreno della produzione, della distribuzione e della riproduzione si è manifestato ad esempio in alcune azioni messe in atto da collettivi militanti, comitati universitari e basi sindacali in agitazione, finalizzate al blocco degli esami nelle università, al rinforzo delle azioni di sciopero o alla perturbazione dei flussi logistici. Dall’astratta “convergenza delle lotte” evocata durante la Nuit Debout nel movimento del 2016 si è così passati a una serie di tentativi di “convergenza in atto”: le esperienze si accumulano in un crescendo di sperimentazione e maturazione. La pratica di forme di sciopero inedite, oltre la strategia delle direzioni sindacali – rivelatasi relativamente inefficace nell’arginare le manovre del governo Macron – apre allora ad una prospettiva di rilancio dell’opposizione sociale in Francia. L’attività di inchiesta svolta dalla Plateforme d’Enquêtes Militantes parigina si inserisce in questo quadro, sostenendo forme di intervento e coordinamento tra composizioni sociali eterogenee, per costruire condizioni organizzative e percorsi di lotta sul medio periodo. Qui di seguito, la traduzione italiana del racconto di una prima esperienza di conricerca e conflitto nella zona logistica di Gennevilliers, nella banlieue parigina.

Martedì 23 aprile, alle 19.50, 250 persone escono dalla metro Courtilles in direzione di uno dei più imponenti magazzini del gruppo logistico “Geodis”, situato all’ingresso del Porto Autonomo di Gennevilliers (Ile-de-France). La folla è eterogenea, compatta e determinata: studenti e studentesse, ferrovieri, postini e postine, infermieri e infermiere, lavoratori di Air France, della catena Monoprix, precari della conoscenza, pensionati, disoccupati. Superiamo a passo svelto il ponte autostradale che separa la metro dall’azienda: nessuno sbirro alla rotonda. Quando all’orizzonte appaiono le prime linee di carico, bandiere e striscioni escono dagli zaini e i primi slogan risuonano:«Les patrons / ne comprennent qu’un langage / grèves, blocages, manifs sauvages!». Il gruppo si divide in due tronconi per bloccare le porte d’accesso e d’uscita degli stocks di merci. Alle 20.00 l’intero magazzino è paralizzato.

Tutte e tutti hanno risposto a un appello lanciato qualche giorno prima per SMS, con l’abituale dose di mistero: «[azione di blocco] MARTEDI 24, convergenza in atto in sostegno ad una lotta della logistica. Rendez-vous alle 19 a Miromesnil, quai L9, direzione Pt-de-Sèvres. Azione coordinata da un’unione sindacale locale, dai comitati studenteschi, dai ferrovieri e dalla Plateforme d’Enquêtes Militantes. Fate girare!».

Ma aspettando la metro a Miromesnil, buona parte dei partecipanti aveva già capito che non si sarebbe presa la linea 9, bensì la 13 in direzione della banlieue nord. Nelle settimane precedenti, in molti avevano già incrociato gli operai in lotta di Geodis: nelle assemblee generali delle università, nelle assemblee delle stazioni, nei presidi contro la repressione, nelle manifs sauvages e sui picchetti di sciopero. La voce è girata rapidamente, insieme ad una parola d’ordine chiara: «a Geodis la situazione è una merda, bisogna andare lì». Alle 19 in punto, il gruppo radunatosi in metro superava di gran lunga i numeri attesi, costringendo a muoversi in anticipo: il colmo per una struttura militante.

Incontri in movimento

Questi incontri eterogenei sono stati possibili grazie agli spostamenti di terreno di ciascun settore. Nel settembre 2017, quando la Loi Travail 2 veniva approvata par ordonnances”, alcuni di noi si sono presentati ai presidi convocati dalle federazioni sindacali al Porto Autonomo di Gennevilliers. Il quadro non era allora particolarmente felice: non c’era tanta gente e le federazioni sindacali non sembravano determinate a perturbare i flussi di camion. Ma un piccolo nucleo di operai in pettorina CGT di Geodis già rompeva questo schema. Malgrado i numeri scarsi ne uscivano letteralmente, per condurre una parte del presidio verso la rotonda del porto a bloccare il traffico: «Non siamo venuti qui per fare i bravi!».

Nello stesso periodo, un gruppo di studenti, disoccupati e precari della ricerca lancia il progetto della Plateforme d’Enquêtes Militantes. Inserendosi nel solco dell’operaismo italiano, l’idea è di praticare la conricerca sulle e nelle lotte: non di produrre sapere astratto, ma di provocare degli scambi concreti, per spingere l’analisi verso l’intervento e viceversa. Un gruppo decide di puntare sulla logistica. Alcuni avevano già svolto ricerche sul campo, altri no. Poco importa. A inizio marzo 2018, i lavoratori di Geodis rilanciano, convocando un presidio di fronte al magazzino di Gennevilliers. Ci torniamo in tre o quattro.

Fin dalle prime discussioni, si capisce rapidamente che si possono costruire delle cose insieme. Le prese di parola degli eletti CGT vanno ben al di là dei ranghi del sindacalismo burocratico. La direzione dell’impresa combatte una guerra senza pietà contro di loro: li convoca uno dopo l’altro per dei colloqui disciplinari, aprendo le procedure di licenziamento. Gli interventi designano chiaramente il conflitto rispetto la forma sindacale tradizionale: si identificano con precisione le necessità immediate: «bisogna allargare la lotta». E le ipotesi considerate attirano subito l’attenzione: «risponderemo! Ma cosa bisognerà fare? Bloccare fino all’autostrada?». Circolano idee di questo tipo, che meritano di essere concretizzate.

Convergenza di obiettivi

Allargare la lotta è molto più semplice in una fase di movimento. A inizio febbraio, le università entrano seriamente in agitazione: occupazioni a Tolbiac, Nanterre e Paris 8. Cogliamo l’occasione per organizzare ovunque delle prese di parola e dei corsi alternativi, con operai di Geodis e militanti della Plateforme. Il primo intervento alla Commune Libre de Tolbiac è intitolato«le imprese logistiche, una posta in gioco delle lotte», per mostrare che non siamo qui solo per il caso Geodis, ma per le prospettive che questo potrebbe aprire. Al fine di sostenere concretamente la lotta e occupare spazio sui social si lancia una cassa di solidarietà e un articolo dal titolo «Geodis c’est dégueulasse», redatto collettivamente a partire dagli scambi sviluppati.

Il racconto dei lavoratori funziona sempre. Non solo perché è pronunciato con determinazione dai diretti interessati, ma anche perché cristallizza alcuni elementi fondamentali del movimento in corso. In primis, Geodis è una filiale della SNCF (le ferrovie di stato francesi), una filiale che fa degli enormi profitti e che concorre direttamente con il trasporto su rotaia. In altre parole, dietro ai deliri mediatici sul presunto debito del gruppo pubblico si nasconde una strategia di smantellamento programmato che dura da tempo. Geodis è inoltre un promemoria del fatto che il mondo operaio non è sparito dal paesaggio francese: è semplicemente mutato in modo radicale. Una parte delle fabbriche sono state rimpiazzate dalle fabbriche di flussi, i magazzini.1 In quello di Gennevilliers le condizioni di lavoro sono medievali e i salari bloccati da tempo. Il ricorso al lavoro interinale è massiccio e le manovre antisindacali particolarmente incisive. La Loi Travail 1 e 2 non hanno fatto che aggravare una situazione già deplorevole.

I lavoratori di Geodis non si accontentano delle facoltà occupate per diffondere la loro lotta. Quando cominciano a circolare le minacce di sgombero si presentano numerosi. Dopo l’intervento della polizia a Tolbiac, sono presenti al rassemblement e alla manif sauvage che segue. Nei cortei contro il nuovo patto ferroviario si uniscono ai ferrovieri per ricordare che l’organizzazione del lavoro della quale fanno fronte rappresenta il futuro delle ferrovie privatizzate. Nelle azioni dei postini del département 92 sono sempre in prima linea per bloccare i camion delle consegne o calmare il nervosismo dei quadri. Solidali con gli impiegati di Carrefour durante lo sciopero del 31 marzo e con quelli di Monoprix nelle settimane successive, con i nervi saldi tra i lacrimogeni del Primo maggio e per il blocco degli esami universitari.

Non si sono allora costruite soltanto solidarietà strategiche: sono nate delle vere amicizie. Nessun ha fatto finta di venire dagli stessi quartieri, di avere le stesse tradizioni militanti, ma alcuni punti comuni emergono chiaramente nel modo di lottare. Difensori di una CGT rivoluzionaria, i lavoratori del magazzino non esitano ad adottare modalità d’azione offensive. Hanno già fatto dei blocchi, soprattutto con il sostegno dell’Unione Locale, per la quale l’azione diretta è sempre coniugata al presente. Rivendicano una pratica sindacale decentrata, autonoma e diffidano di tutto ciò che somiglia a una struttura gerarchica che richiama troppo da vicino il lavoro. Cosa ancor più rara, i lavoratori di Geodis hanno costantemente cercato di costruire e far vivere delle alleanze con componenti abitualmente divise, confrontandosi tanto con i compagni di SUD-Solidaires (il maggior sindacato di base francese) quanto con il movimento autonomo. Questa apertura è certo in parte legata alla posizione che occupano nel sindacato: nella federazione del trasporto alla quale appartengono, gli operai della logistica sono costantemente messi da parte e beneficiano raramente delle vittorie ottenute dagli autotrasportatori. Ma la forza dei contatti stabili va ben oltre una strategia di appoggio e si basa su un’immaginazione politica condivisa, passando per l’umorismo e l’ironia, fino al dibattito aperto e il corpo a corpo con i CRS.

Organizzarsi per debordare il management

Ben radicati nel loro magazzino, i militanti sindacali di Geodis si confrontano con un problema fondamentale: la maggior parte della manodopera è composta da lavoratori precari. Basta che un interinale discuta più di dieci minuti con un sindacalizzato perché subisca la famosa “fin de la mission”, un licenziamento mascherato. Lo sciopero, per quanto sia alta l’adesione dei lavoratori stabili, non basta dunque per bloccare le attività. Tanto più perché la direzione, sapendolo in anticipo, può facilmente deviare una parte dei flussi verso altre zone logistiche, à Bonneuil, Valenton o Amiens, per esempio. Il ricorso intensivo al lavoro precario e la flessibilità del management sono diventate armi di dissuasione in mano ai padroni. Gli incravattati che governano i magazzini logistici l’hanno capito subito e le impiegano sistematicamente. Aggiungete a questa situazione una buona dose di repressione antisindacale classica e si potrà comprendere che un bel blocco – organizzato da parte dei solidali e senza alcun preavviso – può aver la sua utilità. La legge vieta ai salariati di bloccare in prima persona il luogo di lavoro, ma non può fare molto contro dei collettivi informali, senza responsabili legali né statuto giuridico, che raccolgono lavoratori di vari settori, sindacalizzati o meno, nonché varie figure precarie provenienti da mezza Europa.

Bisogna semplicemente mettersi all’opera: il modo migliore è basarsi sui tentativi precedenti. Primo pilastro: la CGT locale è abituata a spostarsi sulla zona logistica per bloccare i magazzini, in modalità “interprofessionale” preferibilmente. Alcuni militanti del département 92 hanno già organizzato dei picchetti davanti a Geodis (piccoli blocchi nel 2015 e a inizio 2018) o davanti alla piattaforma di distribuzione postale a due passi da lì (blocco nel 2010). Ma il Porto Autonomo di Gennevilliers è conosciuto anche al di là di questa cerchia sindacale. A fine aprile 2016 (in pieno movimento contro la “Loi Travail et son monde”), i membri dell’assemblea interprofessionale di Saint-Denis avevano già mirato alla rotonda d’accesso alla zona. Più che una conoscenza geografica, i lavoratori hanno trasmesso a molti di noi un savoir faire, delle modalità d’azione aperte ed efficaci: l’organizzazione materiale delegata a un nucleo ridotto, la firma dell’appello chiara, il concentramento in metro per evitare l’intervento preventivo della polizia, un volantino che precisa che l’azione è collettiva e che fornisce garanzie legali in caso di problemi.

Per fare un buon blocco, bisogna inoltre avere una buona data. La lotta contro la Loi Travail aveva diffuso la pratica di entrare in azione tutte le mattine di sciopero interprofessionale. Ma il movimento del 2018 ha assunto un’altra forma, seguendo il ritmo dello sciopero a singhiozzo dei ferrovieri. Benché questa strategia di sciopero programmato sul lungo periodo susciti non pochi dubbi, le giornate fissate ogni settimana costituiscono quantomeno delle buone occasioni per mobilitarsi. In altre parole, l’azione diretta è un modo per riappropriarsi di un calendario di lotta imposto dall’alto. Per quanto riguarda l’orario, il magazzino Geodis possiede il vantaggio di toccare il culmine dell’attività tra le 20 e mezzanotte. Per una volta, i solidali non dovranno svegliarsi alle 5 del mattino, come quando si blocca un sito di distribuzione postale o un deposito RATP (il trasporto pubblico parigino).

Capita poi, talvolta, che agende tra loro diverse si incontrino e favoriscano. Lunedì 23 aprile, il giorno prima del blocco di Gennevilliers, il magazzino Geodis di Montpellier viene bloccato da un gruppo di ferrovieri e studenti. Il mattino dopo, il magazzino di Sotteville, nella banlieue di Rouen, subisce la stessa sorte. A Parigi, si disegna un sorriso sulle labbra di chi ha ben interpretato l’appello per una “azione di blocco”. Probabilmente qualcuno negli uffici del Ministero degli Interni è alla ricerca del mandante di questa crociata anti-Geodis. Salvo che non ve n’è nessuno: Geodis è semplicemente l’obiettivo ideale nel contesto di movimento attuale. Tanto più che siamo quasi a maggio e bisogna cercare di far eccedere le lotte, fuori dalle università, oltre le stazioni e gli ospedali in mobilitazione…

Blocco in atto

Sbarcare in 250 su una zona logistica in corteo a passo spedito dà già un certo piacere. Con striscioni, fumogeni, bandiere sindacali e k-way neri, l’entusiasmo raddoppia. Messo in opera il blocco, il progressivo intasamento di TIR pieni di merci sulle linee di carico assicura un’atmosfera gioiosa: momento di pausa nella catena del valore. Alle 20, l’accesso principale del Porto Autonomo di Gennevilliers è già interamente congestionato, ricordandoci che ciò che chiamiamo “porto” è in realtà un enorme sito logistico, dove i camion hanno da tempo sostituito le imbarcazioni fluviali. Alle 23 l’autostrada A86, arteria centrale per l’economia dell’Ile-de-France è seriamente rallentata: è la prova che i flussi che ci governano non sono intoccabili. E gli sbirri? Arrivano in ritardo, poco prima di mezzanotte, quando stiamo già recuperando il materiale. Erano anche loro bloccati nel traffico, ridotti al loro vero ruolo: regolare la circolazione. Nel momento in cui decidono di caricare, siamo già spariti tra i binari di una ferrovia in disuso, ultimo scheletro di un’infrastruttura logistica che ha abbandonato il trasporto pubblico in favore del catrame e della gomma.

In corteo il nemico è spesso distante. Il blocco procura invece il piacere di vederlo in faccia, allucinato dalla scena, di ascoltarlo gridare. «Andatevene!» gridano i quadri al gruppo che si riposa e mangia di fronte al magazzino. Accompagnato dal guardione che non può che constatare il grosso casino in corso, un altro quadro ci dà dei “bambini” e sostiene che abbiamo sbagliato posto. Non hai letto lo striscione? C’è scritto “logistica in lotta”. Significa che siamo qui con i lavoratori del magazzino. Significa che consideriamo la logistica come un nodo strategico e che non intendiamo lasciare muovere i tuoi flussi tranquillamente. E sappiamo di essere nel posto giusto: i compagni di Geodis stanno arrivando con le birre e i vecchi lavoratori del sito accendono il barbecue. Ci sono delle prese di parola e della musica. Chi vive per la prima volta un’azione di questo tipo scopre un ambiente meno teso dei pomeriggi tra i lacrimogeni nel cortège de tête, e che i due modelli di conflitto possono funzionare insieme.

I messaggi dei giorni successivi scaldano il cuore e sottolineano alcuni limiti dell’azione. Avremmo voluto costruire subito dei contatti con gli interinali del magazzino, ma sappiamo che la connessione è difficile a causa della gestione disciplinare. Il blocco avrà almeno permesso di stoppare per qualche ora l’usura corporea che subiscono e di dirigere sui quadri la pressione nervosa che vivono quotidianamente i lavoratori. L’impatto mediatico è limitato, i media principali non riprendono l’iniziativa, diffusa invece dalle edizioni locali. Fortunatamente possiamo contare sui nostri canali. L’impatto economico è invece imponente: una serata di blocco a Geodis vale come minimo 300.000 euro di profitti persi, senza contare le ripercussioni sulle altre aziende che non ricevono le consegne e l’autostrada bloccata. La forza dei flussi è anche la loro debolezza: se si tocca un punto della rete, i danni si propagano ben al di là. È difficile misurarne l’ampiezza, ma sembra che si parlasse del blocco in diversi magazzini della regione e di fronte alle scuole di Gennevilliers.

In una lotta come quella di Geodis, il blocco è una necessità ma i risultati a breve termine sulla quotidianità del magazzino restano limitati. Per sfogare la rabbia, i quadri hanno strappato gli striscioni dimenticati la sera prima e li hanno lasciati a brandelli di fronte alla porta del locale sindacale… è una bella fine per uno strumento di lotta. Se il clima si è calmato nei giorni seguenti e la direzione ha allentato un po’ la pressione, il modello Geodis è però tornato operativo rapidamente. Qualche settimana dopo, un interinale si spappola un piede sotto uno strumento di carico, conseguenza diretta dei ritmi di lavoro e della mancanza di spazio. Nessuno l’ha più visto, è stato messo in “fin mission”. Sono anche ricominciati gli insulti contro i sindacalizzati, come in questo video,2 dove si vede il direttore regionale delle Risorse Umane accanirsi contro un eletto CGT: «non hai le palle, non hai le palle, non hai le palle!».

Ma anche le lotte non cedono. Il 18 maggio i ferrovieri sono tornati a bloccare il magazzino, insieme a diversi solidali e con modalità simili alle precedenti. Martedì 19 giugno è convocato un presidio contro la repressione sindacale di questa prigione logistica.

A seguire…

La serie di fattori che ha permesso la riuscita del blocco non è dovuta soltanto ad una congiuntura casuale. Diffondendo questa modalità d’azione nei milieux militanti e instaurando delle pratiche che ne consentano l’efficacia è possibile generalizzarne la portata e aumentarne la potenza. Ciò implica la costruzione di connessioni con i settori in lotta, un impegno sul medio termine. Le ondate di movimento facilitano e accelerano le cose, ma è importante trovare e mantenere spazi di coordinamento che forniscano continuità a questi incontri. Che siano occupate o no, le università possono essere investite come luoghi di scambio in questo senso, come terreni di accumulazione e concentrazione diffusiva della forza sociale e intersezione dei conflitti. In questo processo, il blocco non è solo un fine, ma soprattutto un mezzo per rinforzare tali legami, perché prevede che i militanti svolgano un ruolo che non può essere svolto dai lavoratori direttamente interessati. Esso permette inoltre di superare le posture attendiste che bloccano i movimenti, come nel 2009 o nel 2016 in Francia, quando si guardava ai ferrovieri o alle raffinerie, incrociando passivamente le dita perché riuscissero a resistere. Tuttavia, non bisogna perdere di vista le possibilità di blocco che si aprono altrove.

Si ha spesso la tendenza a credere che sono gli altri – e specialmente gli operai logistici – a produrre i flussi del valore, e ciò esclude ogni possibilità di agire a partire dalla nostra posizione specifica: è un’idea spesso diffusa tra gli studenti e i precari. Le lotte recenti dimostrano però il contrario: occupare un’agenzia del pôle emploi o bloccare gli esami all’università significa mettere i bastoni tra le ruote alla macchina statale e capitalistica.3 Farlo con dei lavoratori in lotta mostra poi che le diverse azioni funzionano in modo organico. I blocchi degli esami nelle facoltà – organizzati con la solidarietà attiva di diversi settori – sono una prova tra le altre che la pratica del blocco dei flussi si diffonde sempre più. Sono d’altra parte i primi tentativi di sciopero sociale metropolitano, finalizzati ad aprire spazi e tempi inediti rispetto ai ritmi produttivi del capitale, nei quali sperimentare il rovesciamento di un ordine costituito che non è mai così solido come appare.

 Carlotta Benvegnù e David Gaborieau.  Produire le flux. L’entrepôt comme prolongement d’un monde industriel sous une forme logistique, « Savoir/Agir », vol. 39, n. 1, 2017, pp. 66-72.

2  Si veda la pagina Facebook CGT Geodis Calberson, post del 29 maggio 2018.