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Se Maker Faire invade la Sapienza

Alla Sapienza parte la mobilitazione degli studenti contro Maker Faire. Multinazionali come Intel, Google, Microsoft portano a Roma la fiera dell’innovazione. Ingresso a pagamento, studenti compresi. Gli universitari: “Non rimarremo fuori, l’università è nostra!”
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“Scopri. Inventa. Crea.” Queste tre parole, in questi giorni, si vedono praticamente dappertutto a Roma. Cartelloni pubblicitari, autobus, stazioni metro, tutta la città è tappezzata da questo slogan e da un robottino, logo di Maker Faire Rome. Si tratta della versione europea di una delle più importanti fiere sull’artigianato digitale e sull’innovazione tecnologica al mondo, la cui terza edizione si terrà dal 16 al 18 ottobre all’Università la Sapienza di Roma. Per l’occasione, l’ateneo, per decisione del Rettore Gaudio, sarà chiuso e si pagherà un biglietto di 10 euro, scontati a 4 per gli studenti. Non proprio ciò che ci si aspetterebbe da un’università pubblica, ma su queste questioni torneremo più avanti.

Cos’è Maker Faire? Sul sito ufficiale della manifestazione si legge che è una “fiera che unisce scienza, fantascienza, tecnologia, divertimento e business”, un luogo in cui tutto l’universo maker (artigianato digitale) può esporre le proprie scoperte, le proprie creazioni, le proprie invenzioni e condividerle con il resto del mondo. Droni, stampanti 3D, software open source, sono solo alcune delle cose esposte a Maker Faire. Il paradiso terrestre degli “smanettoni” di tutto il mondo. O no? In realtà il discorso è un po’ più complesso, come anche le discussioni all’interno dell’universo dei makers testimoniano. Negli ultimi anni, infatti, in coincidenza con l’esplosione dell’interesse verso questo tipo di sviluppo tecnologico, la Maker Faire è stata sempre più attraversata da molte delle più grandi multinazionali della tecnologia, che vedono in queste manifestazioni una ghiotta occasione per comprarsi le idee migliori, cioè, nella loro ottica, quelle più redditizie, e rivenderle sul mercato. E’ un processo tipico del nuovo capitalismo, quello della sharing economy: le aziende sfruttano l’esigenze di condivisione di cose e di esperienze delle persone per appropriarsene e trasformarle in merce vendibile su un mercato che si trasforma sempre di più in questa direzione.

L’edizione romana non si discosta da questo modello, almeno a giudicare dagli sponsor, tra cui spiccano aziende come Intel, Google, Microsoft, Eni, Bnl, non proprio pesci piccoli… E’ questo uno dei punti dolenti della manifestazione, oggetto della critica della campagna “Maker Faire. Per chi?”, creata da studenti e ricercatori della Sapienza per ottenere dalla governance della Sapienza spiegazioni sull’evento. Obiettivo dell’attacco non sono i makers, da quello che si legge nei testi prodotti dalla campagna, ma “chi vuole appropriarsi di queste ricerche, privatizzandole e rendendole fruibili per pochi, così da massimizzare il profitto”. Secondo gli organizzatori “La Sapienza, per noi, dovrebbe pretendere che le fiere di makers, se vogliono essere ospitate all’università, abbiano un’impostazione opposta: dare spazio all’autoproduzione, al riuso, al riciclo, alla democratizzazione del sapere.” Per questo, in un primo incontro con il prorettore alla ricerca Valente e con il preside di Fisica Longo, tenutosi giovedì 8 a Fisica, una delle richieste degli studenti è stata “il coinvolgimento attivo e partecipato degli studenti all’interno della fiera con uno spazio autogestito per esporre la nostra idea di innovazione.”

Accanto a questa questione, riguardante il ruolo attivo della Sapienza nello spostare il baricentro della ricerca dal pubblico ai privati, ci sono poi i problemi riguardanti il modo in cui la governance universitaria ha gestito l’organizzazione di Maker Faire. La decisione di sospendere per due giorni tutte le attività dell’ateneo, dalle lezioni alle biblioteche, dai laboratori alle segreterie amministrative, di mettere in ferie obbligate tutti i lavoratori e di far pagare un biglietto per entrare in un’università pubblica ha fatto storcere il naso, per usare un eufemismo, a tanti, che si chiedono come sia possibile che un luogo pubblico possa chiudere i battenti per due giorni, affittando i suoi spazi a privati, senza coinvolgere minimamente la base di studenti e lavoratori che permettono a quel luogo di esistere. Chiedere di pagare un biglietto, poi, rischia di sembrare quasi una provocazione agli occhi di chi deve pagare quasi 1000 euro di tasse all’anno. Tanto più dopo la riforma del calcolo Isee, che, a causa dell’inserimento nell’imponibile di ogni fonte di reddito (borse di studio precedenti comprese) e dell’adeguamento del valore degli immobili ai parametri Imu (anzichè Ici), si è concretizzata, per moltissimi studenti, nell’aumento vertiginoso dell’Isee, e di conseguenza delle tasse. Si calcola che, solo nel Lazio, più di 11.000 persone saranno escluse da borse di studio e posti alloggio a causa di questo giochino.

Infine, c’è la questione trasparenza: uno delle domande al centro della campagna degli studenti è, infatti, a chi andranno “i benefici in termini monetari” dell’evento. Si chiede “trasparenza sulla gestione dei soldi che entreranno nelle casse della Sapienza”, e l’utilizzo di questi per finanziare il diritto allo studio. Su questo, nell’incontro con il prorettore di giovedì scorso, ci sono state delle rassicurazioni ufficiose, a cui, però, finora non hanno fatto seguito delle dichiarazioni ufficiali del rettorato.

Di certo c’è che la mobilitazione studentesca non si ferma, anzi in questa settimana entra nel vivo: per domani (oggi?), martedì 13 è stato annunciato un presidio davanti al rettorato che ha l’obiettivo di ottenere un incontro con il Rettore, per chiedere spiegazioni ufficiali sui punti sollevati dalla campagna. Per venerdì 16 ottobre, invece, giorno di inaugurazione di Maker Faire, è stata lanciata un’ulteriore giornata di mobilitazione, alle 14 a piazzale Aldo Moro, perché, scrivono gli studenti, “non rimarremo fuori! Entriamo liberamente nella nostra università!”

LUR – Libera Università Roma