editoriale

Rottura di stagione

Non c’è stata soltanto l’epica “rottura de cojoni” evocata da Ivano a Rocca di Papa a proposito dei fascistucoli, ma anche una serie di indizi che fanno pensare a una “rottura stagionale” dell’opprimente ciclo estivo di proclami assatanati, angherie e aggressioni contro i migranti e i poveri. Forse si apre una nuova stagione che non sarà soltanto di intimidazioni finanziarie, speculazioni e bisticci fra Italia ed Europa, fra M5s e Lega, tra fazioni del Pd e dintorni, ma anche di lotte dal basso, corpi manifestanti senza tastiera e smartphone, lavoratori, precari, poveri incazzati per i cazzi loro e non per la percezione di pericoli immaginari.

Cominciamo dal dato più fragile ma più concreto, dalla storia che facciamo e che perciò meglio conosciamo, dalla prospettiva dal basso che è la sola che ci consente di comprendere quanto sta in alto e un giorno ci permetterà di rovesciarlo. Cominciamo cioè dalle piccole resistenze diffuse che, senza riferimento a forze nazionali strutturate (un tempo strutturate) – manifestanti con arancine sulle banchine di Catania, tuffatori intorno alla Diciotti, bagnanti di Castellaneta che mettono in fuga moleste ronde fascio-leghiste, generosi e icasticamente espressivi presidi a Rocca di Papa e in altri luoghi di smistamento dei profughi. Infine le migliaia di milanesi contro Salvini e Orbán a S. Babila. Poca cosa rispetto ai sondaggi correnti e agli sciacalli del web, scremati i trolls e le agenzie putiniane, ma corpi fisici a contatto, non clic al chiuso, alleanze butleriane dei corpi e non amici su fb, passioni gioiose e non risentimento e odio da disperazione. Vita contro morte, vulnerabile e magari ingenua debolezza, non arroganza bullista. Cose che nel medio periodo possono vincere, senza arrotolarsi in rancorosa impotenza. Mica buonisti, gente profondamente incazzata, che vuole convertire l’indignazione in cambiamento, non i “vaffa” in “governo del cambiamento”. Non per caso l’antecedente più vicino è stato il grande movimento di NonUnaDiMeno che, a vedere gli attacchi feroci che subisce, fa ancora paura e a buon diritto.

Subito su un movimento sconnesso e spontaneo si sono gettati gli avvoltoi del fronte unico repubblicano, composto di rapaci macroniani e autoctoni, che in nome dell’antisovranismo vorrebbero riappiccicare insieme i cocci della sinistra e della destra travolte il 4 marzo.  Impresa suicida per l’anima dell’opposizione e, diciamolo cinicamente, pure per il corpo, visto che si tratterebbe di un’operazione estremamente minoritaria, un accrocco di relitti e sfigati priva di numeri in piazza e in Parlamento – dove purtroppo è ipotizzabile, in astratto, solo quell’accordo fra M5s e Pd, oggi impraticabile se non altro per l’ostilità di una maggioranza M5s e di una minoranza Pd. Per contrappasso non sono mancati gli sciocchi a blaterare “Fuori il Pd dai cortei”, quando, visti i rapporti di forza, basterebbe tenerli gentilmente in coda. In questa precaria ripresa di parola, esclusioni settarie di zombi servono quanto fantasticherie su inciuci fra rappresentanze: occorre che le parole e i portavoce siano vivi e nuovi. Meglio Abu che Uolter.

Non trascurabile, entro limiti strettamente istituzionali, l’incriminazione gestita con una certa malizia giuridica dal procuratore di Agrigento, Patronaggio, che ha sfruttato tutti i margini mediatici consentiti, prima del probabile insabbiamento presso il Tribunale dei Ministri o nelle pieghe dell’autorizzazione a procedere, per mettere in risalto le grossolane e molteplici violazioni di sostanza e di procedura con cui il Ministro aveva disinvoltamente violato ogni regola di accoglienza migranti senza mai mettere un ordine nero su bianco. Con la conseguenza di ficcare nei guai i troppo zelanti esecutori, cominciando dal capo di gabinetto prefetto Matteo Piantedosi, non coperto da immunità. Tanto che, per passare alla persecuzione degli occupanti di case e “zecche” collegate, i due Mattei hanno cercato di coprirsi con una circolare ufficiale che, sebbene palesemente illegale, ha un’apparenza più presentabile di una telefonata o di un messaggio via twitter o facebook. Al di là dei rilanci sbruffoni alla Casamonica contro i magistrati si avverte un filo di inquietudine in Salvini, che sconta anche la tiepida solidarietà dei suoi alleati di governo e la palese soddisfazione di Mattarella per quella grana. Con agosto finiscono le comparsate a torso nudo del “capitano” e le feste veneziane l’incastrano nella “casta” almeno tanto quanto le cautele sulle nazionalizzazioni e le grandi opere.

Ben più pesanti, appunto, sono i contraccolpi delle sconfitte internazionali, dovute all’isolamento avventuristico dell’Italia sul fronte europeo e su quello libico (in corso), e i contrasti che si sono sviluppati sul piano interno dopo il crollo di Genova, fra il balordo giustizialismo neo-nazionalizzatore di Di Maio e il colpo di freno di Giorgetti e Salvini stesso, preoccupati, come pure nel caso della legge Dignità, che vengano assunte, per demagogia populista, posizioni critiche verso la proprietà privata (la cui centralità è ostentatamente proclamata anche nella malfamata circolare sugli sgomberi, trattata più in dettaglio in altro articolo). Per non parlare di Ilva, Tav e Tap…

Il livello a cui sono giunte le contraddizioni è ormai insostenibile e perfino il fan Travaglio si è reso conto che o i 5s rompono subito o dovranno subire passivamente la rottura da parte di Salvini, che dilaziona solo per essere sicuro di fagocitare tutta FI e forse per lasciare il cerino in mano al partner. Un passo decisivo nel processo sarà il cambiamento di nome e ragione sociale della Lega, che comunque vale a evitare di restituire i 49 milioni rubati allo stato con i rimborsi elettorali indebitamente spesi. A quel punto entrambe le forze, riverginate, avranno solo il piccolo problema di chi e come si assume la responsabilità di una catastrofe economica nei rapporti con l’Europa e con i creditori sul mercato dei titoli.

Settembre sembra essere il mese propizio per entrambi gli scenari sopra accennati e già lo spread è in marcia. Il collante del potere è forte quando la situazione è tranquilla, ma si converte in veleno quando le cose vanno male. L’inversione della logica delle privatizzazioni sarebbe pure una buona cosa e un punto forte per rompere a destra (e magari aprire a sinistra), ma andrebbe contro ogni compatibilità di spesa e richiede un coraggio realmente rivoluzionario sia per rifiutare gli indennizzi sia per rompere con Bruxelles. Più probabile che tutto si trascini fin quando il tavolo salterà. Ed è ben difficile immaginarsi cosa potrà conseguirne. Neppure il trionfo di Salvini.

 

Nell’articolata, presaga (1975) e citatissima profezia di Ballard, Il condominio, in una società balcanizzata, claustrofobica e immaginata sull’asse classista alto-basso, con tanto di ascensori (sociali) capricciosamente bloccati, l’odio diventa il più efficace collante sociale e i piani alti cercano di controllare mediante divisione e incursioni quelli bassi. L’Italia di oggi, che ve lo dico a fare. Ma la considerazione più intrigante arriva verso la fine (prima del trionfo del matriarcato cannibale che occupa attici e terrazza di coronamento del grattacielo). Il solo errore commesso dai leader dell’élite dell’ultimo piano «era stato quello di presumere che sotto di loro sarebbe sempre sopravvissuta una qualche forma di organizzazione della società, da sfruttare e dominare. Stavano invece entrando in una nuova era, quella dell’assenza di ogni struttura sociale, I clan si erano dissolti, dando luogo a piccoli nuclei di assassini e ai cacciatori solitari che costruivano trappole antiuomo negli appartamenti abbandonati o depredavano gli incauti che si facevano trovare negli atri davanti agli ascensori, ormai sempre deserti».

Non solo la società si è disgregata (con la fine dei partiti parlamentari, dell’ordine distintivo destra-sinistra), ma anche i nuovi partiti populisti (quelli dei piani bassi e alti) sono ricaduti nella stessa logica: il comando diventa impossibile perché non ha più punti d’appoggio. Puoi avere sondaggi al 70% e non vuol dire più nulla. Decidi a capocchia e non succede niente. Sia che decida l’uno o l’altro dei due consoli o entrambi (non parliamo del fantoccio Conte, che è il simbolo stesso di questa indecidibilità). Beninteso, anche i gesti di resistenza rischiano di affondare nella gomma. Questa potrebbe essere la vera catastrofe, che i protagonisti del grande gioco geopolitico guarderebbero con lo stesso distacco con cui noi assistiamo al collasso di una remota supernova.

 

Ma per ora continuiamo a creare focolai di resistenza, coinvolgiamo in essi (più che in cortei istituzionali) tutti quanti sono colpiti giorno per giorno dalla guerra contro i poveri, ringraziamo il cielo che nel condominio sono entrati nuovi e colorati ospiti ancora non rassegnati a fare le vittime lamentose e vediamo come butta. I piani ben elaborati non servono, meglio l’agilità delle contromosse, la presenza nel reale senza spaccare il capello in quattro su fb: mi si nota di più se denuncio o ignoro i fascisti? È peggio Salvini o Minniti? E allora il Pd? Indignazione senza sconti e attenzione alle trappole. Qualche buon segno c’è ­ – come scrivevano all’inizio – specialmente perché sono pianticelle giovani, non tronchi marciti di antiche foreste. Teniamo per la biodiversità.