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Rojava, la denuncia del Pyd: «Turchia e Daesh collaborano per attaccarci»

Con l’operazione “Aquila d’inverno”, la Turchia sferra un pesante attacco alla popolazione curda di Siria e Iraq. «Abbiamo paura che venga lasciato il campo libero ad Ankara, come fu per Afrin», dicono dal Rojava. Abbiamo parlato con il portavoce del Partito dell’Unione Democratica del Rojava, Salih Muslim

Ancora una volta la Turchia ha deciso di aggredire con bombe e droni il popolo curdo. È la cosiddetta operazione “Aquila d’inverno” che – nella notte fra martedì e mercoledì della settimana scorsa – ha interessato i territori del Rojava (Siria del nord), di Shengal (Iraq settentrionale) e del campo profughi di Makhmour (Iraq, governatorato di Erbil).

Oltre una quarantina di comunità sono state prese di mira e si sono verificate decine di morti nelle fila curde. Il tutto avviene in seguito al “caos” scoppiato verso la fine di gennaio nella prigione di Sina’a a Heseke (Rojava), che ha visto un attacco coordinato da parte dell’Isis fra autobombe suicide all’esterno e rivolte interne (nell’intento di far appunto evadere i fondamentalisti detenuti).

Abbiamo parlato con il portavoce del Partito dell’Unione Democratica del Rojava, Salih Muslim, per farci raccontare meglio la dinamica dei fatti e capire quali potrebbero essere le conseguenze nella regione.

Un attacco in “grande stile” da parte della Turchia. Pensate che la violenza possa continuare? 

Gli attacchi non sono mai cessati da quando lo stato turco ha firmato i due accordi con Stati Uniti e Russia. Vengono portati avanti con bombardamenti e con artiglieria pesante, sia per mano sia dell’esercito regolare sia di mercenari che operano lungo la linea che separa il Rojava dalle aree di occupazione turca.

Difficile dire se ci sarà un’escalation a breve perché questo dipende soprattutto da fattori e complicazioni sia interni che esterni allo stato turco. Ma l’attacco di questi giorni arriva in parallelo con l’attività delle cellule dormienti di Daesh, o come forma di ricatto nei confronti della Coalizione Globale contro l’Isis oppure come segnale contro ogni sforzo di arrivare a una soluzione politica in Siria. Detto ciò, l’obiettivo della Turchia è sempre stato quello di indebolire l’amministrazione autonoma del Rojava ogni qual volta si presenta l’occasione di farlo.

La nostra più grande preoccupazione ora è che le grandi potenze mondiali possano soccombere alle ambizioni turche, lasciando il campo libero come è successo per l’occupazione di Afrin.

Pensate dunque che ci sia una forma di cooperazione fra la Turchia e Daesh?

Piuttosto, siamo portati a pensare che Daesh sia una vera e propria divisione dell’esercito turco. Daesh ha utilizzato il consolato turco a Mosul come quartier generale. Abu Muslim al-Turkmani era una persona turkmena proveniente da Tal Afar e un rappresentante di al-Baghdadi.

Poi la-Quraishi, un altro turkmeno di Tal Afar, è arrivato con suo fratello a capo del Fronte Turkmeno e risiede ad Ankara e ogni qual volta Daesh fallisce in qualche operazione la Turchia si affretta a intervenire. Quando le Syrian Democratic Front-Sdf hanno liberato Manbij, la Turchia si è mossa a Jarablus e ad Al-Bab per fermarle. Così quando è stata liberata Raqqa, la Turchia ha occupato Afrin e quando il califfato è collassato a Baghouz, la Turchia ha occupato Tal Abyad e Ras al-Ain.

Quindi sì, pensiamo che la Turchia sia anche dietro l’attacco alla prigione di Sina’a. La maggior parte delle persone che hanno aggredito il centro di detenzione venivano dalle zone di occupazione turca, dove sono state addestrate e dove hanno organizzato l’operazione con l’aiuto dell’intelligence di Ankara.

Erano state spedite come cellule dormienti nei dintorni della prigione, dove hanno iniziato a scavare tunnel sotterranei e ad accumulare munizioni. L’obiettivo era quello di far evadere 5mila guerriglieri fondamentalisti, armarli per prendere poi Heseke e aprire così un corridoio con la città occupata di Ras al-Ain.   

Come sta reagendo la popolazione?

Le masse si sentono solidali con il Rojava, con il nord-est della Siria. Oltre 75 fra i 121 martiri che sono morti nell’attacco alla prigione sono arabi, e la maggior parte di chi vive nel nord e nell’est del paese sostiene le Sdf perché è interessato a salvaguardare il nostro progetto democratico basato sulla libertà e sulla convivenza di elementi diversi dal punto di vista etnico e ideologico.

Vorrei lanciare un messaggio all’opinione pubblica internazionale: abbiamo dato ancora una volta prova che siamo in prima linea nel difendere l’umanità e i valori umani dal terrorismo.

Provate a immaginare per un momento cosa succederebbe se i piani di Daesh e della Turchia avessero successo e che circa 12mila guerriglieri fondamentalisti venissero rilasciati in oltre 50 nazioni e venissero spediti per tutto il mondo da Ankara.

Fintanto che staremo combattendo in prima linea, meritiamo del rispetto e pretendiamo che il resto del mondo si assuma le proprie responsabilità.

Immagine di copertina da Archivio