ROMA
Rifugiati di Scorticabove, assegnazione di un bene o un altro sgombero?
Al terzo incontro con le istituzioni i rifugiati sgomberati in via Scorticabove hanno illustrato la proposta di auto-recupero di un bene da assegnare. Ma l’Assessore minaccia un nuovo sgombero.
I rifugiati hanno formulato una proposta di co-progettazione finalizzata all’assegnazione di un bene pubblico in auto-recupero.
Il 6 agosto il terzo incontro del tavolo istituzionale per individuare una soluzione, un incontro a cui, scrive la comunità sudanese «abbiamo deciso di arrivare preparati dimostrando all’istituzione comunale – tramite un parere legale relativo alla normativa di riferimento su cohousing ed autorecupero – la fattibilità della strada che stiamo prospettando».
La proposta: «sportelli di orientamento legale, sanitario, lavorativo per richiedenti asilo; scuola di arabo ed italiano; realizzazione di un banco alimentare; avvio di una sperimentazione di ristorazione sociale con prodotti a km 0. Queste sono solo alcune delle tante attività che stiamo immaginando all’interno di un immobile che vogliamo rendere un bene comune per tutta la collettività» scrive la comunità sudanese.
Un progetto realizzabile anche grazie alla collaborazione di alcuni docenti della facoltà di architettura dell’Università Roma Tre, che si sono già detti disponibili, e alla messa in campo delle competenze di tutti. Insomma esiste un piano concreto e fattibile che potrebbe essere un modello da replicare.
Dipende dalla volontà dell’Assessore, che ha espresso l’intenzione di istituire un tavolo tecnico per definire le modalità di assegnazione di un bene, previa ricognizione del patrimonio pubblico inutilizzato. Un nuovo incontro è stato fissato per il 5 settembre.
Fin qui tutto bene. Po però «dinanzi al nostro ennesimo rifiuto di accettare i soli quaranta posti messi a disposizione nei circuiti dell’accoglienza istituzionale, l’assessora Baldassarre ha annunciato l’imminente sgombero del presidio permanente di via Scorticabove» scrivono i rifugiati.
Alcuni residenti si sarebbero lamentati della situazione, provocata dalla mala-gestione dell’amministrazione stessa. Lamentele mai percepite dai rifugiati stessi, verso cui la cittadinanza ha sinora dimostrato grande solidarietà.
«Un imminente sgombero comporti un evidente cortocircuito. Se l’istituzione – come ha affermato – riconosce l’enorme valore sociale della nostra esperienza di autogestione tanto da dimostrarsi disponibile ad un percorso di co-progettazione finalizzato all’assegnazione di un bene, come può poi quella stessa istituzione non tutelarci dinanzi a uno sgombero oramai dato per certo?» questa la domanda rivolta all’Assessora dalla comunità sudanese. «Le questioni sociali non si possono trattare, per l’ennesima volta, come meri problemi di ordine pubblico» scrivono. «Non ci fa paura uno sgombero, resisteremo con dignità e tenacia anche dinanzi all’uso della forza pubblica. Ciò che temiamo è la mancanza di coraggio da parte di un’istituzione che non si assume fino in fondo le proprie responsabilità. In tutto questo, abbiamo però una grande certezza: continueremo a resistere e a lottare, a rimanere uniti e a pretendere che la nostra Comunità non si disperda. Sappiamo che la nostra battaglia è quella di tanti e tante che, come noi, sono stati sfrattati o sgomberati e che nulla hanno ricevuto dalle istituzioni. Per questo, oggi, dobbiamo continuare a lottare anche per loro, per dimostrare che grazie all’ostinazione di chi sa di essere dalla parte della ragione, alla fine, riusciremo a vincere».