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I riders di Ken Loach in “Sorry We Missed You”

Esce oggi nelle sale italiane “Sorry We Missed You” di Ken Loach, che descrive la vita di una famiglia ai tempi del capitalismo delle piattaforme. Ambientato a Newcastle, il film mostra le conseguenze della precarizzazione selvaggia del lavoro all’interno delle relazioni di una famiglia middle class impoverita

Chiamare un Uber o un Lyft può sempre diventare un’ottima occasione di inchiesta. Nel sud degli Stati Uniti, per esempio, scopri che la maggior parte degli autisti vengono dalle grandi città, letteralmente respinti dall’inflazione dei costi e dall’impossibilità di pagare gli affitti; alcuni sono militari che avendo finito il servizio hanno scelto un lavoro di ripiego; per altri ancora fare il rider è un secondo lavoro. Tutti, invece, rispondono che, stufi di rispondere a un capo, hanno riguadagnato la loro autonomia, facendo diventare la loro propria automobile un’impresa: scelgono i propri orari di lavoro, il suo ritmo e l’intensità. Anche se a stabilire il prezzo, in fondo, ci sta sempre l’algoritmo. 

Il film di Ken Loach nel suo dialogo d’apertura ripete esattamente la stessa considerazione: «Ero un idraulico… stufo di avere qualcuno che mi stesse sempre col fiato sul collo», per cui diventare rider di un’importante compagnia di delivery – immaginiamoci un DHL o, ancora meglio, Amazon – diventa un’apparente conquista di autonomia e decisione sul proprio lavoro. A parlare è uno dei protagonisti del film, Ricky, cittadino di Newcastle, ex idraulico presso una società edile entrata in crisi con il crash del 2008, che ha scelto di entrare nella logistica con le belle speranze di poter migliorare le condizioni economiche della propria famiglia e diventare a tutti gli effetti un lavoratore autonomo. D’altra parte, come viene ripetuto anche dal gestore del franchising della società di delivery anonima presso la quale Ricky viene ingaggiato: «non lavorerai più per noi, ma con noi», non sei più un dipendente, ma un imprenditore che può determinare il proprio futuro economico e lavorativo.

 

 

Allo stesso modo la moglie di Ricky, Abbie, è una lavoratrice autonoma nel settore di cura degli anziani e dei disabili, che fa turni di 13 ore al giorno muovendosi da una casa a un’altra. Prima spostandosi in macchina e poi, dopo aver deciso di fare l’investimento di comprare il van per il marito, con gli autobus e le loro inevitabili attese. Se il problema di Ricky è che si deve far carico di tutti i rischi d’impresa quando l’imperativo globale è essere imprenditori di se stessi, quello di Abbie, invece, è l’impossibilità di interrompere il lavoro di cura: quando ci si occupa di anziani e disabili, non c’è orario di lavoro che tenga, specie quando il senso di responsabilità è molto alto – occorre occuparsi dei clienti come se fossero la propria madre, afferma a un certo punto nel film. L’impossibilità di sottrarsi al lavoro viene sintetizzata graficamente nel post-it che i lavoratori del delivery lasciano sulle porte quando la consegna non viene effettuata: “Sorry we missed you”. Se il cliente può mancare, chi lavora, invece, deve essere sempre presente. 

Jonathan Crary ha dedicato un intero libro per mostrare come nella società del capitalismo avanzato i tempi di lavoro si allunghino alle 24 ore per 7 giorni di fila e anche le conseguenze che ciò comporta dal punto di vista della vita quotidiana. Il film di Loach ripercorre con la consueta precisione documentaria lo stesso tema, risolvendolo in un film per il grande pubblico, che fa rivivere il dramma della condizione precaria sullo schermo. Il punto di resistenza non esiste. La tragedia familiare e le ripercussioni sui due figli – uno adolescente e l’altra alle elementari – sono inestimabili: il lavoro mangia, divora, frantuma le vite personali. Meglio ancora, la vita personale non è contemplata, come la malattia, gli incidenti, le crisi individuali. 

 

 

E ancora, non c’è alcun margine di autonomia nel lavoro dell’industria 4.0, quando la velocità della circolazione del profitto è tutta scaricata sul lavoratore. Il verso del comando è univoco e monodirezionale: ci sono i manager e, ancora più sopra, la black box che traccia, stabilisce l’orario, segue nel dettaglio i percorsi e le fatturazioni. Non c’è più nemmeno il tempo per pisciare. L’opportunità di resistenza per Loach è ormai un’ombra del passato. Rimane solo l’immagine sbiadita delle foto che una delle anziane curate da Abbie mostra: un’assemblea del sindacato, le manifestazioni dei minatori in epoca thatcheriana. Se la mediazione politica è sgretolata, i legami familiari e “comunitari” sono, invece, definitivamente esplosi. In questa istantanea del working poor, l’accusa di Loach è tutta rivolta a uno sfruttamento e un sistema insostenibili che non tengono più minimamente conto della “qualità della vita” e delle sue relazioni essenziali. 

 

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