ROMA

Roma, regolarizzare gli spazi sociali: lettera alla sindaca Raggi

Intorno alle 12 alcune decine di attivisti e attiviste degli spazi sociali romani si sono ritrovati davanti al Campidoglio per un flashmob di protesta contro la delibera per le concessioni del patrimonio indisponibile, srotolando sulla scalinata quattro grandi striscioni con la scritta: «La roma solidale non si mette a bando»

Gli spazi sociali chiedono alla sindaca Virgina Raggi di riaprire il dialogo interrotto e di bloccare la discussione di un regolamento inadeguato, ingiusto e dannoso. Al contrario, si preme la giunta per l’adozione di provvedimenti urgenti immediati per regolarizzare gli spazi che hanno messo in campo pratiche di mutualismo e solidarietà durante l’emergenza Covid-19. Di seguito il contenuto della lettera indirizzata alla sindaca Virginia Raggi dal Coordinamento degli spazi sociali associativi e autogestiti romani:

 

Cara Sindaca,

ci rivolgiamo a Lei per riaprire un dialogo da tempo interrotto con la Giunta capitolina e con la maggioranza che ha governato la città in quest’ultima consiliatura. Sentiamo l’urgenza di porre di nuovo alla Sua attenzione il tema del riconoscimento degli spazi di mutualismo e solidarietà attivi sul territorio e, oggi più che mai, vitali per chi abita Roma. Ci rivolgiamo a Lei, dunque, perché la riteniamo, dal punto di vista istituzionale e politico, l’interlocutrice principale per avere risposte e chiarezza sul futuro di spazi e attività tuttora minacciati dalla famigerata delibera 140/2014 e dal progetto di nuovo regolamento per le concessioni del patrimonio indisponibile ora in discussione – testo che si propone come sua acritica attuazione, malgrado le sentenze in merito della Corte dei Conti e una recente sentenza del Tar del Lazio delegittimino l’impianto stesso e la competenza della 140.

 

Ma il campo dell’azione sociale e politica non può essere solo quello dei tribunali se non a costo di perdere di vista la realtà, difficile, ma anche carica di possibilità, che sperimentiamo ogni giorno, anche nei momenti più bui.

 

In questi mesi di emergenza Covid-19, la città solidale – spazi sociali, associazioni, reti formali e informali di mutualismo – non si è tirata indietro, non ha aspettato incarichi, risorse, riconoscimento: si è messa in moto facendo rete e ricucendo quel tessuto sociale, già prima e ancora di più adesso, logorato e minacciato dalla povertà, dalla paura, dall’esclusione, dall’odio, dalla penetrazione della criminalità organizzata, dal ricatto dell’usura. Gli spazi sociali – che sono a tutt’oggi a rischio di sgombero – ne sono stati la naturale e indispensabile infrastruttura. I Municipi hanno fatto spesso riferimento proprio a quegli stessi spazi a cui è stato promesso lo sgombero per rispondere alla domanda di aiuto che veniva dalla città, mentre la macchina istituzionale faticava e fatica ad arrivare in tempi rapidi e a tutti (pensiamo ai buoni spesa, solo per fare un esempio).

L’attivazione dell’associazionismo formale e informale è stata fondamentale a Roma così come nelle città più colpite dalla Covid-19: per questo è particolarmente significativo il riconoscimento del Presidente Mattarella che, nel discorso tenuto il 2 giugno a Codogno per la festa della Repubblica e in quello tenuto lo scorso 28 giugno a Bergamo in ricordo delle vittime della Covid-19, ha annoverato nei ringraziamenti «il volontariato – strutturato o spontaneo» e le «tante reti di solidarietà», «una maggioranza silenziosa ma concreta del nostro popolo che, senza nulla pretendere, si è messa in azione e ha consentito al Paese di affrontare le tante difficoltà e continuare a vivere», facendo appello anche ai Sindaci a non disperdere «queste risorse, accanto allo spirito di sacrificio e al rispetto delle regole, che la stragrande maggioranza dei nostri concittadini ha dimostrato, costituiscono un patrimonio prezioso per il Paese». Un riconoscimento che attualizza e inquadra l’attività libera dell’associazionismo e della società civile nella pratica concreta e quotidiana dei principi fondamentali della nostra Costituzione come peraltro espressamente riconosciuto dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020.

 

L’emergenza sanitaria si è trasformata subito in crisi sociale ed economica e il suo picco si darà soltanto nei prossimi mesi, quando termineranno le insufficienti misure di intervento.

 

La lotta contro il virus ha chiamato tutte e tutti a sacrifici e rinunce, non può essere questo il tempo per proseguire anni di politiche di austerity e valorizzazione economica a tutto danno della città più fragile.

Ora, se a tutela delle attività economiche e commerciali, giustamente, si mettono in campo misure straordinarie di sostegno, anche in deroga alle normative vigenti, lo stesso non sta accadendo per le realtà sociali, autogestite e associative della città, che continuano a vivere sotto la minaccia di sgomberi e richieste economiche esorbitanti quanto illegittime di cui solo l’amministrazione è responsabile. Questa contraddizione assume i tratti di vero e proprio paradosso, di fronte alla sequenza di deroghe introdotte dal Decreto Semplificazione che hanno riguardato, tra le altre cose, il Codice degli appalti per le gare pubbliche. L’imperativo del bando come garanzia di trasparenza e selezione continua dunque a valere solo là dove non c’è interesse economico né concorrenza?

Come sa bene, il tema dell’uso del patrimonio pubblico e indisponibile è aperto dai tempi della giunta Marino. Ci saremmo aspettati che, subito dopo la campagna elettorale, nei primi mesi della consiliatura, sarebbero stati adottati provvedimenti tempestivi e efficaci per riconoscere e favorire la moltiplicazione degli spazi di autogestione, associazione libera e autogoverno nei quartieri. Se la proposta di regolamento per le concessioni degli immobili del patrimonio indisponibile è parso rompere, seppur tardivamente, un lungo silenzio, abbiamo dovuto subito constatare che nessuna delle proposte, dettagliate e innovative, che dal basso sono state avanzate in questi anni è stata presa in considerazione.

 

Una proposta basata su principi inaccettabili quali quella della valorizzazione economica del patrimonio pubblico. Una proposta scritta con le lenti della diffidenza nei confronti nel tessuto associativo, sociale e culturale romano, anziché con quelle della sua promozione e valorizzazione.

 

Una proposta che, al contrario, offre il patrimonio immobiliare pubblico alla speculazione e alla rendita, coinvolgendo strutturalmente nella sua gestione i fondi di investimento immobiliare privati e para-pubblici tramite la cosiddetta “concessione di valorizzazione” senza alcuna reale possibilità di garanzia che la funzione pubblica dei beni venga preservata. Una proposta, infine, che – anche nella sua norma transitoria – non risolverà nessuno dei problemi attuali, rischiando anzi di aggravarli ulteriormente. In questo contesto, il confronto in Commissione Patrimonio si è tradotto in un simulacro di partecipazione che non ha fatto che approfondire la distanza dell’amministrazione dalle realtà sociali e culturali della città.

A meno di un anno dalla fine della consiliatura, pensiamo che non ci sia più tempo da attendere, ma che il contesto straordinario che stiamo vivendo imponga un cambiamento radicale della prospettiva con cui fin qui la maggioranza ha affrontato il tema. L’appello che, per l’ennesima volta, la città solidale Le rivolge è di fermarsi dal perseguire questa via, i cui danni al tessuto culturale, sociale e associativo della città potrebbero essere irreversibili. Si domanda all’Assemblea Capitolina di sospendere l’iter di approvazione, sordo e frettoloso, di questo Regolamento e di intraprendere un confronto autentico, largo e costruttivo con le realtà coinvolte; si domanda invece alla Giunta di lavorare rapidamente all’adozione di quei provvedimenti urgenti (che già sarebbero potuti essere adottati da alcuni anni) capaci di mettere fine al pasticcio della delibera 140 e di segnare finalmente il dovuto riconoscimento del lavoro svolto sui territori dagli spazi sociali e associativi, della loro funzione sociale, indispensabile soprattutto in un momento straordinario come questo: si tratta di regolarizzare, finalmente in termini pieni, facendo ricorso alla normativa ancora vigente, le realtà sociali e culturali, rimettendo in capo alla politica una responsabilità che non può essere della magistratura, anche a causa della fisiologica – eppure devastante – oscillazione dei suoi orientamenti, specie se chiamata a un compito che non le compete.

 

Si tratta di offrire finalmente un quadro di legalità a decine di realtà culturali e sociali che l’attendono da anni. Di assumersi la responsabilità del riconoscimento politico che meritano.

 

Da troppo tempo ormai la vicenda dell’utilizzo del patrimonio indisponibile e dell’uso sociale degli spazi comunali sono tornati a essere mera questione amministrativa, da trattare nei tribunali, nei dipartimenti o in commissioni che hanno dimenticato cosa sia il rapporto con i cittadini e le cittadine, quale visione, quale scambio virtuoso e autentico siano necessari per cambiare la città. Sfide difficili ancora ci attendono: noi siamo pronti. Ci auguriamo che sia oggi il momento per invertire finalmente la rotta che ci ha portati a questo punto.