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#RazzaMigrante: narrazioni collettive sulle migrazioni contemporanee

Appunti per un canto blues o della razza migrante

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…e stavamo tutti dentro la Storia. La cosa peggiore da fare era rimanere immobili. Quel giorno davano i numeri del 2015 al telegiornale e passavano da un attentato all’altro attraversando il mondo, cronologicamente. A dirla tutta non era il mondo intero a essere citato, ma una sua parte. Il risultato era di 500 morti in una manciata di attentati. Io, ascoltando, rifacevo i conti insieme alla giornalista e mi lasciavo prendere dal fascino malsano della quantità, che serviva a misurare il dramma. E associavo involontariamente queste addizioni ad altre recenti, pure sparse per il mondo, e che parlavano di virus. E accortomi del volo mi domandavo se quella malattia sarebbe stata debellata come le altre, o se invece sarebbe stata amministrata per un tempo tutto da definire. I conti giusti non erano quelli, naturalmente. Perché da quel mucchio di “non più” venivano volutamente espunti molti altri. I trentamila sacrificati nel mar Mediterraneo nei dieci anni precedenti, per esempio. Loro erano, lo sapevamo tutti, quelli che veramente ci davano la misura del dramma storico in corso. Morti tutti sul confine, come accadeva cento anni prima, nella logorante guerra che chiamammo prima e mondiale, combattuta in realtà su un paio di fronti.

Morti, durante la fuga che era la loro unica alternativa alla guerra e al terrore.

Dicembre del 2015. Era una fase di rialfabetizzazione politica, quella. E ci rendemmo conto che non eravamo mai usciti dalla Storia, né eravamo mai stati in pace. Si può morire tutti allo stesso modo, dissero, ma solo per alcuni suonano gli inni. Ci accorgemmo anche di questo.E del fatto che gli inni suonati continuavano a essere nazionali. Non c’era niente che parlasse di noi altri, al di là dei paesi singoli. Che parlasse delle plebi offese, dei disperati, o di quelli sul limite, di quelli che venivano dopo, della manodopera a perdere transnazionale, plurinazionale, internazionale, delle menti in fuga verso l’altrove. Ed era un gran peccato.

Suonò la Marsigliese per giorni e giorni perché Parigi era stata offesa e con lei il mondo. O una fetta grande di. Ma non tutto. Era difficile capire quello che stava accadendo con un nemico pubblico capace di terrorizzare, ma non di produrre conflitto. Quando ci chiesero di “stringerci a coorte” un brivido mi attraversò il corpo e la schiena, era una paura vecchia di normalità e sentimenti mediocri. Ma noi avevamo per fortuna già cominciato l’esodo dalle retoriche e non ci fu difficile fare un passo indietro, o di lato, sottrarci cioè al gioco dei conquistatori e portatori di civiltà. Ma per non essere da meno del nemico redigemmo anche noi una costituzione alla quale non abbiamo ancora messo il punto e selezionammo alcuni testi, per tenere a portata di mano i principi che ci fondavano. Uno di questi testi portava il titolo Le vie dei Canti e faceva riferimento alle strofe che si scioglievano sulle labbra di molte e molte persone. Esse avevano segnato la terra di parole e sapevano dove andare, recitando versi risalenti al tempo del sogno. Lo si poteva leggere in molti modi Le vie dei canti, ma non c’era possibilità alcuna di integralismo. Eravamo noi a dirla tutta, totalmente privi di integralismo. Non avevamo nessuna interezza da costruire e diffondere, nessuna assurda organicità, se non un’appartenenza al mondo per rispettare la quale era necessario muoversi. Col corpo, con il pensiero, con le parole. Erano questi i tre elementi che fondavano i discorsi che facevamo, pilastri da cui costruire le pratiche necessarie a vivere la vita.

Tra i versi dei canti che segnavano le vie, ce n’era uno che ripeteva: vidi sopra di me il cielo infinito, vidi sotto di me la valle dorata, questa terra è fatta per te e per me. E via, a tracciare percorsi affinché ogni corpo avesse il diritto di essere. Per meglio affinare la nostra arte prendemmo a prestito alcune abitudini degli uomini e delle donne che abitavano nel deserto. Per camminare e vivere in quegli immensi banchi di sabbia, sapevamo, era necessario uno spirito vasto e accogliente, impossibile da irrigidirsi in presunzioni di superiorità e in aride certezze. Il deserto era al contempo la minaccia che dovevamo tenere a mente, ma anche lo spunto da cui partire, perché il nostro cammino fosse prodigo di creazioni.

Immaginare, nel deserto, è un atteggiamento naturale, diciamo pure un istinto. Niente di ascetico dunque: camminare, immaginare, desiderare, creare. Partimmo così, ognuno dai luoghi in cui era cresciuto e senza destinazione certa, se non l’obbligo di incontrarsi prima o poi, da qualche parte e raccontarsi com’era andato il viaggio, scambiarsi appunti e ipotesi di percorso. Decidemmo in breve anche di rivendicare il nostro diritto all’autodeterminazione, essendo noi un popolo. Senza patrie, è vero, ma non per questo meno popolo di quelli che si erano chiusi in confini incerti, rigati sulle mappe con l’astuzia dei geometri, o arginati da fiumi e monti che li inchiodavano al suolo come arbusti.

Popolo eravamo, di una mescolanza che non saprei da dove cominciare a raccontare e un’imperfezione che quasi metteva paura a noi stessi. Quale dio poteva proteggerci? Nessuno. A nome di quale dio potevamo parlare? Di nessuno. Eravamo una moltiplicazione di minoranze, l’unica certezza era questa: minoranze. E volevamo il diritto all’autodeterminazione. Il nostro inno era un canto che si intonava portando il tempo camminando, lungo una marcia, la nostra, che mai sarebbe stata marziale ma inesorabile, questo sì. Era, il nostro inno, un canto blues, che faceva così…

Cos’è e come si partecipa a #RazzaMigrante

Maz Project è alla ricerca di narrazioni, collettive o individuali, che raccontino una condizione contemporanea e condivisa: la migrazione, intesa sia nella sua accezione letterale sia in quella metaforica. Migrazione come spostamento perpetuo da un paese all’altro per studio, lavoro, e necessità di sopravvivenza, ma anche come odissea del quotidiano, spostamento territoriale alla ricerca di approdi emotivi e materiali. Lo scopo del progetto è quello di tracciare il profilo di un soggetto nomade e inquieto, intrecciando racconti di corpi, luoghi, lotte ed equilibri precari generati dalle esperienze migratorie intra ed extra europee. Un soggetto in movimento, che si riconosce in un comune sentire, orchestra relazioni e produce conflitto. #RazzaMigrante sono gli studenti in fuga nell’europa dell’austerity, sono i lavoratori precari che combattono per un reddito, i profughi dalle guerre in cerca di dignità, le minoranze insorte al tempo di un sistema in crisi. Una razza accomunata non da patriottismi o nazionalismi, ma da percorsi di lotte condivisi, attraversate dalle stesse storie.

Le forme di narrazione: così come abbiamo fatto in questi mesi su Maz, siamo aperti a contributi narrativi sotto forma di racconto, fumetto, produzione audiovisiva (cortometraggi, videoclip, reportage) e multimediale, e in generale a tutti gli “oggetti narrativi non identificati” inerenti al tema proposto. Sfruttando al massimo le potenzialità delle nuove tecnologie, ci lanciamo con la prospettiva di dare vita a contenuti stimolanti, che non hanno la pretesa di essere etichettati in base alla loro forma narrativa.

Le opere e i testi: sebbene siano ammessi contributi individuali, vorremmo dare la precedenza ad opere e testi collettivi, agli incontri di più persone che vogliano sciogliere in un unico oggetto narrativo le loro idee. #RazzaMigrante è un invito alla condivisione di esperienze, alla moltiplicazione, allo scontro dei punti vista, alla sperimentazione.

Le misure: Per racconti, fumetti e testi in generale il limite massimo è di 10 cartelle/pagine (circa 1800 battute a pagina, interlinea 1,5, Garamond 12). Per le produzioni audiovisive il limite è di 10 minuti. (Per eventuali eccezioni ne possiamo comunque discutere).

Le scadenze: con una certa costanza, vi stimoleremo, provocheremo, inviteremo a prendere la penna da oggi fino al 31 maggio 2016.

La pubblicazione: tutti i contributi verranno raccolti in un “contenitore multimediale” che verrà edito e distribuito da Maz Project, in collaborazione con i partecipanti e sarà liberamente consultabile e scaricabile su www.mazproject.org.

Fonte: Mazproject