ITALIA

Quattro mosse

Quella dei “porti chiusi” del Ministro Salvini e del Governo Conte non è che l’ultimo tassello di una strategia politica di negazione dei diritti fondamentali in tema di immigrazione da parte dei governi italiani e iniziata con l’allora Presidente del Consiglio Gentiloni. L’ultimo rapporto di Oxfam e Borderline Sicilia ne ricostruisce i passaggi salienti.

Tutto è cominciato esattamente due anni fa, il 2 febbraio del 2017. Quel giorno a Roma il presidente del Consiglio dei ministri italiano, il democratico Paolo Gentiloni, e il suo considerato omologo, Mustafa Serrai, capo del governo di riconciliazione nazionale dello stato della Libia, firmavano un accordo della durata di tre anni, il Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana. Nelle intenzioni dei sottoscrittori quel patto doveva essere il primo passo per porre fine alle morti in mare e ai viaggi della speranza gestiti dai trafficanti di esseri umani. Non solo è accaduto il contrario, come le cronache delle innumerevoli tragedie in mare avvenute negli ultimi due anni hanno dimostrato, ma da allora lo stato italiano, proprio in seguito a quel memorandum firmato con lo stato libico, ha violato numerosi i diritti fondamentali previsti dalle convenzioni e dai trattati internazionali. E lo ha fatto in quattro mosse. A raccontarlo è il rapporto pubblicato nei giorni scorsi da Oxfam e da Borderline Sicilia.

«Una giornata di svolta che autorizza speranza per il futuro della Libia», l’aveva definita il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni; e «invece da quel giorno l’Italia ha compiuto un vero e proprio scacco ai diritti umani». Dicono dalle organizzazioni: «la prima mossa è stato il riconoscimento della istituzione, unilaterale, di una zona sar libica, poi approvata ufficialmente anche dall’International Maritime Organization, e il parallelo finanziamento e sostegno alla guardia costiera libica a cui l’Italia e gli altri stati europei hanno delegato il soccorso nel Mediterraneo centrale». Fornendo le motovedette e offrendo la formazione del personale costiero, insomma impegnando l’Italia «a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina». Non soltanto.

Nel rapporto della ONG Oxfam e dell’associazione Borderline Sicilia si rileva come l’Italia quindi in questi due anni «ha provato in tutti i modi sul piano politico a superare l’ineluttabilità geografica e giuridica dell’essere il paese principalmente coinvolto dagli sbarchi». E la seconda mossa di questo “piano” è stata quella di aver fatto modificare durante il Consiglio di Tallin del luglio del 2017 i termini della missione europea Triton, i quali prevedono appunto nella fase successiva denominata Themis «l’obbligo di sbarco dei naufraghi soccorsi nel porto più vicino al punto in cui è stato effettuato il salvataggio in mare e non più automaticamente in un porto italiano», come appunto ancora avveniva durante la precedente missione Triton. Di fatto è stato ridotto il limite di pattugliamento delle coste ad opera di unità navali italiane, e dunque ora soltanto all’interno delle 24 miglia vi è l’obbligo automatico di sbarco in un porto italiano.

Più volte si è scritto che sembra esserci un filo nero che lega le politiche degli ultimi due ministri degli interni rispetto alle politiche adottate in tema di protezione internazionale dei migranti nella politica interna, sì, ma anche nella politica estera, evidentemente, quella degli accordi e memorandum adottati senza passare dal Parlamento. C’è poi la strategia dei porti chiusi, che è l’ultimo tassello di questo piano scellerato del governo italiano, contrario a tutte le convenzioni internazionali. «Il governo è compatto su linea rigorosa, porti chiusi, lotta agli scafisti e alle ONG», dettava così la linea d’altronde il 10 gennaio scorso Matteo Salvini attraverso twitter. Ed è proprio la creazione di un nuovo nemico, le ONG, Organizzazioni Non Governative, la quarta e decisiva mossa che ha reso possibile lo scacco ai diritti umani. Secondo quanto si legge nel rapporto di Oxfam e Borderline Sicilia «Le accuse rivolte contro le ONG coinvolte in missioni di Search and Rescue sono aumentate in maniera progressiva a partire dal 2017 e sono state di vario tipo, cambiando col passare dei mesi». Le organizzazioni hanno ripercorso nel rapporto com’è cambiata con il tempo la portata pubblica di tali accuse. Si va da «le Ong portano i migranti in Italia perché vogliono alimentare il business dell’accoglienza» fino a «Le Ong hanno dei bilanci poco trasparenti, sono fattori di attrazione e la loro presenza è collegata ad un aumento delle morti e degli incidenti in mare».

I fatti ci dicono, invece, spiegano da Oxfam e Borderline Sicilia, che: «nel quadriennio 2014-2017 le navi delle ONG hanno salvato la vita a 114.910 persone, svolgendo un ruolo integrativo, fondamentale, sempre sotto il coordinamento della Guardia Costiera italiana». E ancora, che, ad oggi, «nonostante esistano ancora indagini a carico di alcune di esse, le accuse nei loro confronti sono state archiviate o in via di archiviazione nelle procure di Trapani, Catania, Ragusa e Palermo». Sono fatti anche le testimonianze raccolte dei migranti sbarcati nell’agosto scorso a Catania dalla nave Diciotti, anch’esse finite nel rapporto Scacco ai diritti umani. Dichiarazioni come quella di B.B, ventinovenne di origine eritrea, il quale ha raccontato: «Dopo due giorni che eravamo arrivati a Catania ci hanno distribuito dei vestiti e ci hanno detto che dovevamo fare la doccia. C’era un marinaio con un tubo che spruzzava acqua per un minuto su dieci persone alla volta, poste nude dietro un telo di plastica. Praticamente a nessuno è arrivata una goccia d’acqua. Quella è stata l’unica occasione, per noi uomini, di lavarci. Invece le donne erano aiutate a fare la doccia da un’operatrice di Intersos». E poi, «Ho saputo il motivo per cui non era possibile sbarcare, dal comitato di tre eritrei che abbiamo costituito sulla nave per parlare con il comandante. Ci hanno detto che saremmo dovuti sbarcare a Malta e che per questo motivo il governo italiano non ci permetteva di scendere». Per la vicenda della nave Diciotti il 25 agosto del 2018 la Procura di Agrigento aveva iscritto il Ministro degli Interni e il suo capo di gabinetto nel registro degli indagati; la Procura di Catania a cui era poi passata la competenza territoriale, in un primo momento, ne aveva richiesto l’archiviazione, ma il Tribunale dei Ministri della città etnea lo scorso 24 gennaio ha richiesto l’autorizzazione a procedere  nei confronti del ministro degli Interni italiano per il reato di sequestro di persona aggravato. Ora Matteo Salvini, se verrà processato, rischia fino a quindici anni di reclusione, ma, al di là delle possibili implicazioni penali, questa è solo una delle tante vicende accadute negli ultimi due anni in cui il governo italiano ha violato i diritti fondamentali previsti da tutte le convenzioni internazionali.