EUROPA

Quanto è fragile il potere

Il Centro Sociale Autonomo Klinika di Praga continua, per il momento con successo, la propria battaglia contro le istituzioni pubbliche che vorrebbero sgomberare lo spazio occupato.

“Klinika” è un centro sociale occupato di Praga. Ad oggi è l’unico presente in Repubblica Ceca ed il solo nella storia del paese il cui destino non sia stato deciso arbitrariamente dalla polizia. Al contrario, la sua duratura esistenza è stata sancita da un tribunale, grazie al lavoro portato avanti con le istituzioni pubbliche e statali proprietarie dell’immobile. Gli occupanti erano stati sgomberati dopo appena dieci giorni di occupazione ma, dopo una campagna durata mesi, sono riusciti ad ottenere dall’Ufficio di Rappresentanza dello Stato per il Patrimonio Pubblico (UZSVM [corrispettivo dell’Agenzia del Demanio in Italia – ndt]) un accordo di affitto gratuito della durata di un anno.

L’occupazione dello stabile è continuata dopo il rifiuto di rinnovare il contratto con motivazioni pretestuose (decisione attualmente impugnata in tribunale da parte del collettivo di Klinika) e i mesi successivi hanno visto un periodo di pesanti multe, minacce costanti da parte dello stato e un paio di attentati dinamitardi anonimi contro lo spazio che hanno sollecitato l’intervento della polizia e complicato ulteriormente lo status di Klinika. L’ultima svolta di questa storia drammatica ha visto il trasferimento della proprietà dell’immobile ad un’altra istituzione statale, l’Amministrazione per il Trasporto Ferroviario (SŽDC). La nuova proprietà ha cercato di strumentalizzare la confusione generale riguardo le occupazioni per imporre il proprio controllo sull’edificio, ignorando completamente l’iter giuridico e l’ampio sostegno comunitario verso lo spazio occupato.

Da allora, lo sviluppo del conflitto ha sollevato la questione dei rapporti di forza tra le istituzioni e la comunità, domanda che si ripropone continuamente ogni volta che la cittadinanza si assume la responsabilità di definire i propri spazi in maniera autonoma e secondo le proprie necessità. Il seguente testo è un riassunto analitico del conflitto tra SŽDC e Klinika visto dalla prospettiva degli occupanti.

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Quando il nostro palazzo venne “preso in carico” dal nuovo proprietario (SŽDC) eravamo convinti di avere ancora a disposizione alcune forti argomentazioni per poterci tenere la nostra casa. Una su tutte, avevamo la conferma ufficiale della non esistenza di alcun progetto, né in corso né in fase di preparazione, che potesse modificare il nostro centro sociale. Questo confermava la validità della nostra posizione, condivisa anche dall’opinione pubblica, secondo la quale il palazzo sarebbe tornato all’abbandono e alla rovina qualora fossimo stati sgomberati. Eppure, SŽDC non ha esitato a presentare immediatamente la proposta di convertire il palazzo in uffici per i propri dipendenti del dipartimento di geodetica, attualmente distribuiti su vari spazi affittati, nonostante il ricorso presentato da Klinika contro il mancato rinnovo dell’affitto gratuito da parte dei precedenti proprietari sia ancora in corso. I nuovi proprietari non hanno mostrato alcuna intenzione di voler aspettare la risoluzione del contenzioso, passando subito all’offensiva senza esitazione.

Ancora una volta si è ricorso all’argomentazione banale che ci vede come occupanti illegali, argomentazione che omette convenientemente alcune sfumature importanti, tra cui proprio la causa ancora pendente, che rendono tali pretese alquanto dubbiose. Nonostante tutto, tale argomentazione è in grado di toccare le corde della società ceca che in larga parte sembra aver accettato le concezioni capitalistiche della proprietà privata e della sua inviolabilità. Finora Klinika era sempre riuscita a rispondere a tali accuse ma questa volta sono state presentate insieme ad un’altra questione creata appositamente per liquidare le nostre tesi difensive agli occhi dell’opinione pubblica, secondo la quale SŽDC si sarebbe presa cura dell’immobile e lo avrebbe riutilizzato.

Uso il termine “creata” intenzionalmente perché esistono varie prove che suggeriscono come questo trasferimento di proprietà verso SŽDC non sia altro che una manovra politica per metterci di fronte ad nuovo proprietario più deciso, così da poter sgomberare il collettivo Klinika.

Dopotutto, SŽDC ancora non sapeva se il palazzo fosse idoneo ad ospitare degli uffici al momento dell’acquisizione (suggerimento: non lo è) e non avendo visto l’edificio dall’interno, elemento che ha reso difficile la stesura di un adeguato piano di riqualificazione specifico, l’annuncio di SŽDC risulta alquanto affrettato. Allo stesso modo non hanno richiesto alcun permesso per il necessario cambio di destinazione d’uso nel piano regolatore, procedura che di norma richiede anni e senza la quale la ristrutturazione non può iniziare. Tali cambiamenti del piano regolatore di Praga sono suscettibili di contestazione popolare che li potrebbe rendere irrealizzabili (escludendo manovre politiche rilevanti dietro le quinte).

Inoltre sappiamo fin troppo bene che la nostra casa è ben lontana dall’essere in buono stato per i loro scopi e che dovrebbero spendere ingenti somme di denaro per portarla agli standard istituzionali. È proprio per questo motivo che abbiamo dichiarato che SŽDC – tra i principali proprietari immobiliari del paese – avrebbe potuto acquisire qualunque altro spazio abbandonato di proprietà pubblica visto il loro grande numero e che si trovano anche in condizioni migliori rispetto a quelle di Klinika. Eppure, nessuno ha messo in discussione questa loro strategia audace, perchè hanno tutti dato per scontato che SŽDC si fosse fatta dei conti prima di fare certe affermazioni.

Date le evidenti difficoltà e contraddizioni che SŽDC dovrebbe affrontare per realizzare il suo sogno di uffici nuovi di zecca, non possiamo non sospettare che ci sia una manovra politica dietro il trasferimento della proprietà. In ogni caso, inventate o no, le pretese di SŽDC hanno avuto effetti su entrambi i fronti: hanno eliminato ogni possibilità di dialogo stando bene attenti a non politicizzare la questione e ci hanno minacciato con delle sanzioni (per quanto non siano realisticamente applicabili) e intensificato le richieste per la riconsegna delle chiavi e per la nostra uscita dallo spazio.

In seguito, ci è stata presentata la loro ultima istanza: la richiesta di accedere all’edificio per svolgere dei sopraluoghi (mappatura dello stabile, controllo dello stato dell’arte relativo ad elettricità, sicurezza antincendio, ecc.) e, ancora una volta, la restituzione delle chiavi. Trovandoci sotto i riflettori della loro campagna mediatica che sosteneva assiduamente come noi gli stessimo impedendo di accedere alla loro proprietà (in realtà gli avevamo già proposto in precedenza di venire a prendere visione dello stabile) e vedendo che le nostre argomentazioni cadevano spesso nel vuoto, abbiamo deciso di lasciarli entrare. Dopotutto, non eravamo disposti a concedergli il pretesto per rivolgersi ad agenzie di sicurezza privata o alla polizia e procedere allo sgombero, e non volevamo nemmeno scadere in un antagonismo non necessario ma che essi stessi avevano creato, abbastanza coscientemente.

Il 14 dicembre, giorno della visita e della pantomima di SŽDC che dichiarava di star procedendo al restauro dell’edificio, abbiamo invitato i nostri sostenitori ad una colazione e alla proiezione di un classico amato dagli occupanti: Pippi Calzelunghe.

Fin dalla prima mattina la casa era piena di persone che si divertivano in attesa dei burocrati. Anche i media, impazienti e speranzosi di fare un servizio sugli scontri, erano in prima fila davanti alle nostre porte. Per quanto ci riguarda non ritenevamo che la situazione sarebbe potuta degenerare, ma non sapevamo se e quanto SŽDC avrebbe tenuto fede alla propria retorica.

Allo scoccare delle nove, orario previsto per il loro arrivo, non si è presentato nessuno e giravano voci su alcune tensioni a causa dell’evento che avevamo organizzato. Dopo aver chiamato SŽDC abbiamo scoperto che i loro rappresentanti avevano deciso di indire una riunione e che sarebbero arrivati con mezz’ora di ritardo. Le troupe di giornalisti infreddoliti erano sicuramente dispiaciute della mancanza dei burocrati che si sono presentati con un’ora di ritardo, evidentemente preoccupati di farsi vedere davanti alle telecamere e alla folla dei sostenitori all’interno.

Erano in evidente imbarazzo e si sono comportati in maniera sgradevole con tutti, cercando di parlare il meno possibile. La confidenza aggressiva che avevano dimostrato fino ad allora era completamente sparita. D’un tratto, il potere era chiaramente nelle mani del collettivo e della comunità piuttosto che in quelle degli sgherri al soldo di SŽDC. In buona sostanza, la capacità di condurre il gioco risiede nella percezione del potere e il nostro esempio lo illustra chiaramente. In ogni caso bisogna precisare che qui ci riferiamo unicamente al potere discorsivo, visto che l’intera questione verte su chi otterrà maggior sostegno da parte dell’opinione pubblica per vedere soddisfatte le proprie richieste. Avremmo assistito ad una forma di conflitto completamente diversa se SŽDC avesse messo in campo le proprie forze e, ad esempio, si fosse rivolta ad un’agenzia privata per buttarci fuori.

Ovviamente non ritenevano di avere la forza (agli occhi dell’opinione pubblica) per fare una cosa del genere, almeno non contro una comunità così fortemente pacifista. Ecco perché pretendevano di avere richieste legittime per prendere possesso del palazzo: sanno quello che fanno e noi gli siamo chiaramente di intralcio.

È a questo punto, nonostante le nostre ragioni fossero state fino ad allora ignorate, che gli abitanti si sono riuniti in una splendida dimostrazione di senso comunitario forte abbastanza da incrinare il potere discorsivo messo in campo da SŽDC, dimostrando dove risiede davvero il potere. Occupando insieme lo spazio in cui abbiamo deciso di incontrarci, dibattere, condividere cibo, storie e competenze. Alla fine questo aspetto è molto più importante e legittimo della restituzione di questo immobile ai suoi proprietari.

Però non dobbiamo dimenticarci del potere materiale di questa istituzione: hanno un loro bilancio (nota importante, è pagato con soldi pubblici), delle proprietà e dei privilegi sanciti per legge. Così, mentre noi abbiamo dovuto riesumare Klinika dalle macerie della società capitalistica convinti che la cittadinanza avesse bisogno di uno spazio di questo tipo e che avrebbe costruito il potere necessario per difenderlo (come si è poi verificato), i nostri nuovi proprietari possono semplicemente richiedere i propri diritti sull’immobile. Questo è sufficiente per rendere il conflitto impari, e come abbiamo visto la nostra posizione viene messa da parte nonostante dovrebbe essere affrontata, a prescindere che si condividano le nostre politiche o meno.

Forse quello a cui abbiamo assistito il 14 dicembre ci dice come, nel combattere questa disuguaglianza di potere materiale, le vittorie che possiamo ottenere tramite il “potere discorsivo” siano importanti e a loro volta potenti. Viviamo in tempi sempre più incerti e segnati da grandi disuguaglianze sociali e, nonostante Klinika rappresenti una questione piccola e locale, il suo esempio ci ricorda dove risiede davvero il potere e come possiamo invertire la tendenza.

Tratto da Political Critique

*Michaela Lovak

Michaela Lovak è una scrittrice, un’idealista e un’occupante del collettivo Klinika che crede nel diritto alla città per i cittadini.

Traduzione a cura di Michele Fazioli, per DINAMOpress.