Quando il calcio è senza frontiere

Dalla scuola d’italiano del Lab! Puzzle ai Mondiali Antirazzisti

Sono venuti da tutta l’Europa e dal mondo per urlare forte il loro “no” ad ogni forma di discriminazione. Sono venuti a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena dove anche quest’anno, come da 17 anni, si sono svolti i Mondiali Antirazzisti, dal 3 al 7 luglio.

C’eravamo anche noi, per la prima volta, e con noi le studentesse e gli studenti della scuola di italiano di Puzzle.

Ma andiamo con ordine, e iniziamo a raccontare una storia. Una storia che unisce tutt@.

Non troppo tempo fa, per vie traverse, conosciamo la squadra dei Liberi Nantes, una squadra che gioca in terza categoria, una squadra composta esclusivamente da rifugiati politici e da richiedenti asilo, una squadra che per la FIGC non ha “i documenti in regola” per iscriversi regolarmente al campionato, e che per questo motivo gioca “fuori classifica”. Veniamo a conoscenza tramite loro, inutile dirlo veterani di questa competizione (che di competitivo ha veramente ben poco) dell’esistenza dei mondiali. Decidiamo che anche noi quest’anno saremmo andati li, anche noi con la stesso scopo, urlare forte il nostro no contro ogni razzismo.

Il 4 luglio, dopo vari intoppi e mille peripezie, da Puzzle (occupazione nel cuore del III municipio di Roma nata per sperimentare nuove forme di welfare dal basso) parte la macchina, parte la nostra delegazione con la squadra dei Liberi Nantes. Direzione, Castelfranco Emilia. Dopo quattro ore di macchina arriviamo a bosco albergati (la location dei Mondiali). Il clima in pianura padana non e’ proprio dei migliori: il sole picchia a non finire e l’umidità crea una cappa di afa che rende l’aria irrespirabile. Tutto questo demoralizza qualcuno? Assolutamente no, basti pensare agli ultras dello Shalke 04 che incontriamo subito al bar dei campi ad intonare cori senza sosta davanti ad una quantità innumerevole di birre. Scontato dirvi che li abbiamo lasciati domenica, al momento della nostra partenza per Roma, pressappoco nelle stesse condizioni! Si monta la tenda…contenti della facilità con cui la picchettiamo, ignari dell’epopea dell’ultimo giorno per chiuderla. I vari gruppi, che arrivano da tutto il mondo, allestiscono vere e proprie scenografie davanti alle piazzole con le loro tende (bandiere, striscioni, banchetti), il tutto condito dall’accensione di fumogeni.

E’ il momento tanto atteso, si comincia a giocare. Ma con chi? Non ci siamo iscritti online quindi dobbiamo sperare di unirci a qualche squadra non al completo o di convincere l’organizzazione ad aggiungere una squadra. Inutile dire che quest’ultima opzione non è praticabile ma all’improvviso, per caso, sentiamo che l’UNRWA(The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees) si è iscritta al torneo ma non ha giocatori da mandare in campo. Quale occasione migliore? Ed eccoci nel giro di 10 minuti indossiamo le loro magliette ed affrontiamo la prima partita del girone. Ovviamente, seppur lo spirito del torneo è tutt’altro che competitivo, chi ci sta a perdere la prima partita? Noi no, ci battiamo ma, ahimè, con scarsi risultati. Perdiamo 2 a 0. Va bene, ci rifaremo, è la prima partita insieme, non ci conosciamo abbastanza. Vabbè, le solite frasi di circostanza!

Al torneo sono iscritte 159 squadre. 70 sono le nazionalità e le comunità rappresentate. Scendono in campo (e per questo vengono anche premiate con un bonus di 3 punti) prevalentemente squadre miste. Tra le squadre più attese ci sono quelle dei ragazzi Saharawi, accompagnati da Fabio Campioli e dai volontari dell’associazione Kabara Lagdaf, e quella turca Kasif. In campo anche i Mediterraneo Antirazzista, squadra che detiene il titolo più importante per il numero di attività antirazziste promosse nell’arco della stagione. Le squadre che vengono da più lontano sono quelle del Camerun e dal Ghana.

Scende la sera e inizia lo spettacolo. Subito dopo cena fumogeni e cori ultras si alzano da tutti i bar e riempiono l’atmosfera di un non so che, qualcosa che ci prende e ci trascina fino alle 5 di mattina senza che ce ne rendiamo conto. Passiamo dai bar sotto il tendone dove si tengono i concerti. Beh, la prima sera ci sono stati i Los Fastidios. Sentire dal vivo “Antifà Hooligans” è sempre una goduria, la gente si fionda a “pogare” sotto al palco che ormai è quasi completamente coperto da una coltre di fumo rossa. Spettacolo!

La giornata seguente trascorre veloce tra partite di calcetto e pallavolo agli orari più impensabili. Giocare sotto il sol leone della pianura padana è un’esperienza che non potremo certo dimenticare. Sui campi le squadre non si riescono quasi mai a presentare al completo, c’è chi ha la partita alle 10 e ancora dorme beatamente dopo il delirio della notte, chi si dimentica…che problema c’è? L’organizzazione annuncia l’assenza del giocatore al megafono chiedendo a chi sia interessato di presentarsi, a volte ciò non serve perché basta una voce a chi passa lì vicino per coinvolgerlo nel match.

Tra uno sport e l’altro troviamo il tempo per andare a fare qualche domanda alle realtà che animano l’evento. Incontriamo Francesco, il responsabile dell’associazione Younet, una Ong attiva nel campo della mobilità internazionale, delle politiche giovanili, europrogettazione ed inclusione sociale, che ci racconta che come associazione erano ai mondiali perché partecipavano ad un progetto europeo (sport for change), che ha portato lì 30 ragazzi e ragazze provenienti da tutta Europa, infatti da lui apprendiamo che nel progetto è coinvolto un ragazzo turco del gruppo ultras del Galatasaray. Quale occasione migliore per avere una testimonianza diretta del ruolo dei gruppi ultras durante i giorni della rivolta? Eren, studente di medicina di Ankara, ci racconta quello che ha visto, tende a sottolineare più volte che i tifosi del Besiktas sono i primi a scendere in piazza e a trascinare gli altri, denuncia la barbarie di cui si fa protagonista la polizia nel tentare di reprimere il dissenso che cresce sempre più. Ci racconta come la protesta ad Ankara sia stata più pacifica di quella di Instanbul, racconta di come la televisione non abbia mai trasmesso le immagini degli scontri o notizie riguardo a ciò che accadeva per le strade.

Guardiamo l’orologio, già l’ora di tornare in campo! Pareggiamo la partita, doccia al volo e dritti al dibattito “sport contro omofobia e femminicidio”. Quasi dimenticavamo che uno dei temi molto sentiti è la lotta contro il sessismo, lo si legge ad ogni angolo del campeggio e viene sottolineato con forza il legame indissolubile tra antirazzismo, antifascismo e antisessismo. Non ci dilungheremo sul racconto dell’incontro, ma sulla sensazione che ci ha lasciato, ovvero la reale possibilità che tramite lo sport questi concetti vengano declinati effettivamente nella realtà. Unica nota negativa che abbiamo registrato è la scarsa partecipazione, la strada è ancora lunga.

Si mangia e di corsa a parlarecon Fabio Campioli, responsabile dell’associazione Kabara Lagdaf, “scortato” da Hamdi (un ragazzo di 15 anni veterano dei mondiali). Fabio ci racconta che l’associazione nasce nel 1992 con lo scopo di fare conoscere la situazione del popolo saharawi, esiliato nel deserto a sud di Tindouf (Algeria), di portare sostegno alle persone che vivono in condizioni molto dure, di sostenere il Piano di Pace dell’ONU per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale. Ci racconta inoltre che In collaborazione con la Provincia di Modena e i Comuni modenesi gemellati con il popolo saharawi, vengono organizzati molteplici progetti di solidarietà, tra cui l’accoglienza estiva dei bambini a cui vengono offerti controlli sanitari attraverso un protocollo di visite sanitarie concordate con l’Assessorato alla Sanità dell’Emilia-Romagna.

A seguire gli immancabili 99 Posse. Tra un ballo e l’altro, una bevuta e poi un’altra, ci accorgiamo che sono le 5.30 di mattina e alle 10 del giorno dopo scendiamo in campo. Voliamo a letto. Tanto sforzo per svegliarsi, ancora di più per tirarsi su dal materassino. Tutto questo per un misero pareggio! E pensare che intanto abbiamo ingaggiato a parametro zero Koffi, il nostro vicino di tenda togolese dei Liberi Nantes. La sua forza fisica (gioca a piedi nudi!) e la sua classe non bastano. Oddio, a pensarci bene forse questo potevamo ometterlo. La stanchezza inizia a farsi sentire, ma andiamo all’incontro sulla cittadinanzanza sportiva al quale parteciperà anche la ministro per l’Integrazione Cècile Kyenge, per la prima volta alla manifestazione in una veste istituzionale. Durante il dibattito un’attivista del Progetto Melting Pot Europa chiede alla ministra cosa ne pensa dei Cie, e purtroppo ascoltiamo una risposta banale e insufficiente.

Arriviamo a sabato sera, tutto è pronto per la finalissima, una sfida ai rigori nella piazza antirazzista. Giusto per assicurarci che non vincesse il più forte ma quello più fortunato, per ribadire che si era lì per giocare e divertirsi. A contendersi la coppa ci sono i Liberi Nantes vs RFC Lions (ska football club Caserta). Vince la squadra dei rifugiati, grazie al grandissimo portiere (juventino ci tenevamo a sottolinearlo) Mamadou! Ci uniamo ovviamente a loro nel post partita e si iniziano i festeggiamenti, che manco a dirlo dureranno fino alle 6 di mattina. Ah, quasi ci dimenticavamo, al terzo posto si è classificata la squadra Start Lazionet, che hanno raccolto gli applausi della platea raccontando la scommessa durata 12 anni per emancipare il nome Lazio dalla nomea fascista.Start, proprio come la squadra di prigionieri ucraini che nel ’42, nonostante la minaccia di morte che incombeva loro in caso di vittoria, sfidò e sconfisse i nazisti della Luftwaffe a Kiev. Il triste epilogo lo potete facilmente immaginare.

Così in un attimo arriviamo a domenica, è l’ultimo giorno, e ci prepariamo a una partenza tanto sospirata (dormire per terra per 4 giorni non è poi così comodo a 30 anni suonati!). Siamo pronti, ultimo caffè, si smonta la tenda (con non poche difficoltà), si salutano tutte le ragazze e i ragazzi che abbiamo avuto la fortuna di conoscere in questi giorni, e si sale in macchina.

Andando via, quello che ci rimane è una sensazione bellissima, l’idea di aver partecipato ad una manifestazione nella quale si sono alternati momenti di grande ilarità e convivialità a momenti di grande riflessione. La voce non c’è praticamente più, le gambe sono pesanti. Ma la frase di Katia tornando in macchina per noi è tutto: “grazie, è stato bellissimo stare tutti insieme senza che nessuno litigasse, ci torniamo anche l’anno prossimo?”.

Beh, come dire…”è stato bello? Avoja! E lo rifamo? Avoja!”.