PRECARIETÀ

PRIN: Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale o Promesse di Reddito per Illusi Non-strutturati?

PRIN 2015 o dell’inutile politica del palliativo. Dopo quasi due anni di attesa, diversi annunci inevasi della ministra Giannini, in pieno stile “politica della promessa” in cui in maniera del tutto retorica si paventano sblocchi di turn-over e reclutamenti di eccellenza, è finalmente stato pubblicato il Bando PRIN 2015.

Letteralmente PRIN significa Piano di Ricerca di Interesse Nazionale, ma più che finanziare nuovi progetti che contribuiscano allo sviluppo della ricerca italiana, il PRIN di fatto continua ad alimentare le solite dinamiche interne all’università.

Qualcuno potrebbe obiettare: ma perché lamentarsi se per una volta invece di sottrarre risorse al mondo della formazione vengono concessi dei finanziamenti? Non certo per un semplice esercizio di polemica, ma perché in realtà questo PRIN, seppur mettendo a disposizione delle risorse, da una parte continua a promuovere la solita retorica del merito e dell’eccellenza (su cui torneremo dopo), mentre dall’altra contiene una serie di problematiche strutturali e formali.

Partiamo da un dato basilare: il tempo. Un mese di scadenza…..

– È possibile in un mese creare progetti innovativi, interdisciplinari, che aumentino le frontiere della conoscenza così come richiesto dai progetti europei da cui il PRIN mutua modello e intenzioni?

– È realistico, infatti, in meno di un mese creare relazioni reali con altri gruppi di ricerca italiani? O forse, in realtà, lo scopo è perpetrare e favorire ben note lobbies di ricerca, in cui potenti cordate, dal punto di vista politico e accademico, di professori ordinari si mettono insieme per gestire i propri e i soliti interessi?

Inoltre, anche da un punto di vista finanziario è una manovra irrisoria, un’inezia, soprattutto se messa in rapporto ai tagli strutturali degli ultimi anni. È vero, la disponibilità economica 91.908.209 € è aumentata rispetto al PRIN precedente (del 2012, 38.259.894 €, il meno finanziato della storia) e la ripartizione fra le tre aree di ricerca sembra più equa, ma in realtà l’importo totale è diminuito rispetto ai PRIN del periodo 2001-2011 (116 milioni di Euro/anno in media). Tutto questo a fronte di un taglio al fondo di finanziamento ordinario (FFO) di 1,8 miliardi di Euro dal 2008 ad oggi (il 20%): siamo evidentemente di fronte a delle briciole spacciate dalla narrazione renziana come inversioni di marcia, grandi investimenti.

Il vero ruolo dei PRIN

Questa tipologia di finanziamento è infatti andata a sostituire per molti ambiti di ricerca i fondi di finanziamento ordinario e regola in sostanza il reclutamento e l’allocazione delle figure precarie nel mondo dell’accademia. In altri termini, è maggiormente attraverso i Prin che vengono stanziati gli assegni di ricerca che permettono la sopravvivenza dei precari. A sostegno di questa predisposizione, altro fenomeno in aumento è il pagamento di Borse di dottorato pagate in questo modo a fronte della riduzione delle borse ministeriali e della giusta e sacrosanta scomparsa dei dottorandi senza borse. Quest’anno nel bando PRIN è stata infatti addirittura formalizzata questa linea di tendenza, chiedendo esplicitamente al PI di indicare quante figure non strutturate verranno finanziate tramite il progetto. La funzione dei PRIN è stata finalmente riconosciuta anche dal ministero stesso: finanziare le innumerevoli figure precarie che di fatto portano avanti le ricerche nei traballanti dipartimenti degli atenei italiani.

Lo strumento dei PRIN come somministrazione di contratti precari, in assenza dei bandi SIR che almeno consentivano alle figure non strutturate di “pagarsi il proprio RTD A” (pur sempre contratto precario), istituzionalizza la dipendenza totale e la completa subordinazione dei ricercatori precari al proprio Professore di riferimento, l’unico in grado di promettere, e a volte, se va bene, garantire, delle briciole di reddito fra un PRIN e l’altro. In altre parole, l’Università sta riorganizzando quindi il proprio funzionamento attorno all’unico vero Principio Fondamentale, l’economia della promessa. Quest’ultima si fonda su quello che ormai è diventato il pilastro che tiene in vita gli atenei, ovvero il lavoro gratuito, sottopagato se va bene, che prevede mansioni che vanno ben oltre quelli che dovrebbero essere i compiti dei “giovani” ricercatori (ormai fino ad oltre i 40/45 anni): lezioni, esami, attività di segreteria, gestione totale degli aspetti amministrativi di congressi e conferenze, tutoraggio agli studenti, relatori effettivi di tesi non riconosciuti, servizi di autista e via dicendo. Il livello di ricattabilità, la dipendenza totale dal proprio professore strutturato, ha raggiunto livelli tali da sfondare qualunque argine allo sfruttamento.

Ormai, dunque, l’unica possibilità di sopravvivenza dei precari all’interno dei dipartimento è vincolata ad una completa messa a disposizione delle proprie risorse a favore dello strutturato di turno, nella speranza che quest’ultimo, grazie alla sua eccellenza bibliometrica costruita a tavolino e alle relazioni di potere che ha saputo tessere all’interno dei dipartimenti, riesca a vincere dei bandi PRIN (o ERC) e mettere in piedi bandi cuciti su misura per i suoi collaboratori in cui gli unici parametri di valutazioni sono il grado di fedeltà e la disponibilità ad autosfruttarsi a livelli para-schiavistici.

In questo contesto, tanto per evidenziare il corto circuito tragicomico presente nelle Università, chi sarà mai a scrivere i progetti da sottomettere alle agenzie di finanziamento? Chi gli oscuri project ghost-writers? Naturalmente gli stessi precari che poi dovrebbero usufruire dei contratti (precari) contenuti nel progetto stesso! Progetto che naturalmente ricalcherà fedelmente le linee di ricerca del PI: tanti cari saluti alla libertà di ricerca (per i precari, naturalmente).

Infine due considerazioni sulla presunta eccellenza che attraverso i PRIN verrebbe premiata ed incentivata. Al di là delle osservazioni appena effettuate riguardo all’effettiva meritocrazia nelle procedure di somministrazione dei contratti precari, è necessario evidenziare come quella dell’eccellenza, è una retorica vuota e fuorviante. Saranno sempre infatti premiati gruppi di ricerca già grandi e già “eccellenti” in quanto già beneficiari in passato di altri finanziamenti. Con una conseguente crescente iniquità nella distribuzione di fondi, tesa all’estinzione di una grande fetta di gruppi di ricerca, e quindi di dipartimenti, con lo scopo di salvarne pochi (ma buoni eh) che guarda caso saranno parte di quella manciata di atenei di Serie A “punta di diamante” nella narrazione renziana di un sistema raso al suolo.

Alla luce di questi ragionamenti è quindi lampante come noi precari invece di partecipare ad una competizione sempre più truccata (neanche fra l’altro una guerra fra poveri, ma una guerra che stanno conducendo sulla nostra pelle) dovremmo invece riconoscere le dinamiche di sfruttamento e di messa a valore cui siamo tutte/i sottoposte/i e immaginare collettivamente delle forme di sottrazione e boicottaggio. Pena l’estinzione dopo essere stati spremuti fino all’osso.