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Per un sindacato dell’industria mondiale dei videogiochi

Game Workers Unite è il primo sindacato internazionale degli sviluppatori di videogiochi. Perché anche nell’industria videoludica, che interessa più di 2 miliardi di persone al mondo e fattura 135 miliardi di dollari all’anno, si verificano fenomeni di sfruttamento, molestie, licenziamenti ed esternalizzazioni, che Game Workers Unite si propone di combattere

L’industria videoludica non merita ancora la stessa attenzione dedicata all’industria cinematografica o musicale nell’informazione tradizionale, ma ormai i videogiochi interessano più di due miliardi di persone al mondo, possono arrivare ad avere budget di decine o anche centinaia di milioni di dollarie incassano globalmente più della somma di botteghini cinematografici e industria musicale e più di TV e streaming. Nel 2018 l’intera industria dei videogiochi avrebbe incassato in tutto il mondo quasi 135 miliardi di dollari, una ricchezza che, come in molte altre industrie, non si è però trasformata in maggiori diritti per i suoi lavoratori.

La crescita dell’industria ha invece accresciuto la fame degli investitori, che ora sognano profitti e vendite sempre in aumento, anche a detrimento della qualità delle condizioni di lavoro, dei diritti dei lavoratori e dei giochi stessi. In febbraio il grande editore Activision Blizzard (che pubblica la serie Call of Duty, la più venduta serie di videogiochi per console)ha licenziato quasi 800 lavoratori (l’8% dei suoi dipendenti)   dopo un anno di profitti record. I licenziamenti sono parte di una ristrutturazione della società e dei suoi obiettivi. Ma Bobby Kotick, amministratore delegato della compagnia, nel 2017 ha incassato 28,7 milioni di dollari(in varie forme), un compenso pari a 306 volte lo stipendio medio di un suo dipendente, e appena prima che i licenziamenti venissero annunciati il nuovo direttore finanziario Dennis Durkin è stato premiato con 15 milioni di dollari.

 

 

Gli sviluppatori hanno poca voce in capitolo in queste decisioni: in regioni importanti per lo sviluppo di videogiochi come gli Stati Uniti d’America mancano ancora sindacati che proteggano i lavoratori dell’industria videoludica. E, in generale, come in molte altre industrie manca una concertazione internazionale che sappia rispondere alle mire delle multinazionali con una risposta sindacale internazionalista: un grande videogioco può essere sviluppato con la collaborazione di molteplici studi sparsi in Europa, Stati Uniti d’America e Canada, con alcune sue parti appaltate a ulteriori studi nell’Est asiatico. E le compagnie videoludiche, come tutte le multinazionali, non hanno scrupoli a chiudere uno studio in uno Stato per spostare lo sviluppo da un’altra parte del mondo dove la forza lavoro costi meno. Game Workers Unite  vuole cambiare questa situazione.

«Game Workers Unite è un movimento internazionale che spinge per la sindacalizzazione all’interno dell’industria videoludica globale» – mi scrive via email Marijam Didžgalvytė, capo del comitato di comunicazione di Game Workers Unite International e creatrice di contenuti su giochi e politica. «È un’organizzazione guidata dai suoi stessi membri e orizzontale e ha lo scopo di amplificare le voci dei lavoratori e provare a cambiare la mentalità secondo la quale devi sentirti un privilegiato se lavori in questa industria. Game Workers Unite è nato durante la conferenza GDC [Game Developers Conference, festival dedicato agli sviluppatori di tutto il mondo] del 2018, quando c’è stato il tentativo di istigare i lavoratori contro i sindacati l’hashtag GameWorkersUnite ha iniziato a diventare di tendenza su Twitter. Scott Benson, creatore di Night In the Woods, ha creato il logo di GWU, furono realizzati un sito internet e un account Twitter e da allora migliaia di persone hanno risposto alla nostra chiamata. A maggio 2019 Game Workers Unite ha 27 sezioni locali in 5 continenti, tutte impegnate a organizzarsi per portare rappresentanza e supporto in mezzo alle difficoltà che incontriamo sui luoghi di lavoro. Un momento di svolta è arrivato a dicembre del 2018 quando GWU UK è diventato il primo sindacato legale nato dall’azione di GWU  sviluppandosi come ramo dell’Independent Workers Union of Great Britain (IWGB)».

 

 

«L’organizzazione di GWU opera su molteplici livelli», prosegue Didžgalvytė. «Ci sono chat su Discord dove le persone condividono le loro esperienze e si organizzano individualmente, ci sono eventi nel mondo reale che aiutano a creare solidarietà ed empatia tra i lavoratori. E poi, certo, ci occupiamo anche di spingere verso [la costituzione] di sindacati legalmente riconosciuti. La verità è che, almeno qui in Europa, le politiche neoliberali hanno punito i sindacati di massa e represso i loro diritti, ma spesso i sindacati stessi non sono stati d’aiuto. Molti di loro sono molto bianchi, maschili, stantii, inefficienti e a volte persino corrotti. Ma sono stata ispirata dalla nascita di nuovi sindacati internazionalisti e più piccoli che mescolano un nuovo modo di organizzarsi su internet con la dedizione a emozionanti eventi nel mondo reale. Qui nel Regno Unito dove vivo, Independent Workers Union of Great Britain e United Voices of the World sono casi esemplari di quello che voglio dire. Quindi sono davvero emozionata per questa nuova generazione di sindacati che spero diano potere alle future generazioni di lavoratori».

“L’industria videoludica è estremamente prona a quello che è noto come crunch», mi spiega Didžgalvytė quando le chiedo quali siano i maggiori problemi nell’ambiente. «[Il crunch] è un periodo di tempo, appena prima dell’uscita di un gioco, in cui le squadre sono obbligate a lavorare 60-100 ore a settimana senza alcun pagamento degli straordinari. Creatori come Rockstar hanno anche provato a vendere questa dedizione come un aspetto positivo del gioco. Noi ci opponiamo fermamente a queste pratiche perché distruggono la salute fisica e mentale dei lavoratori, rovinano la loro vita personale e sinora ci sono stati ben pochi metodi per denunciare la pressione che i lavoratori subiscono dalla dirigenza [per fare straordinari]. Anche se l’industria dei videogiochi può essere stata abbastanza sicura e basata su contratti di lavoro a tempo pieno in passato, ora vediamo sempre più l’introduzione di contratti a zero ore, contratti da libero professionista, appalti, lavori svolti senza contratti… Tutto questo deve finire, ora».

 

«Certamente le industrie della moda, della musica e delle arti visive impiegano una quantità sproporzionata di lavoro gratuito grazie agli stagisti», continua Didžgalvytė. «E le persone coinvolte nell’industria tecnologica in generale sono spesso soggette a crunch quando devono consegnare un nuovo software. Ma il fatto che queste cattive pratiche di lavoro siano diffuse non dovrebbe influenzare la nostra volontà di cambiare le cose. Altre industrie creative inoltre godono dei benefici dei sindacati, mentre l’industria videoludica è ancora carente in questo senso».

Durante i periodi di crunch  gli sviluppatori possono lavorare sino a tardi ogni giorno, a volte tornano in ufficio nel fine settimana, in casi estremi non tornano a casa anche per settimane. Gli sviluppatori dormono allora poche ore in sacchi a pelo in ufficio, uscendo solo per prendersi magari un cambio di vestiti e farsi una doccia, e il crunch può durare persino mesi e non è limitato all’ultimo periodo dello sviluppo: avviene quando va sottoposto un prototipo ai dirigenti della compagnia, quando va presentata una versione dimostrativa al pubblico di una fiera, quando un videogioco viene lanciato e ha problemi che vanno immediatamente risolti e quando un videogioco viene lanciato e ha un enorme successo che va cavalcato senza sosta con continui aggiornamenti. A volte questi straordinari sono pagati, in molti casi, come rileva Didžgalvytė, sono invece svolti gratuitamente. Secondo l’ultimo sondaggio svolto dalla GDC  il 44% degli sviluppatori lavora mediamente più di 40 ore a settimana e il 27% è arrivato a lavorare più di 60 ore a settimana tra 2018 e 2019 (e il 47% pensa che gli sviluppatori di videogiochi dovrebbero unirsi in sindacati, con solo un 16% di contrari).

«Anche se un po’ di tempo fa il crunch era probabilmente una questione di cattiva gestione, ora sta diventando parte dello status quo, una spinta pianificata per abusare dei lavoratori»,  ribadisce Didžgalvytė. «Noi crediamo che impiegando più persone e creando modelli più sostenibili di pianificazione del lavoro il crunch possa essere evitato ma, siccome è più economico non farlo, le compagnie spesso si rifiutano di cercare soluzioni. Siamo determinati a sfidare e cambiare la cultura del crunch che affligge la vita di tanti lavoratori e quelle dei loro cari».

Nell’industria videoludica sentiamo molto parlare di “passione”. Gli sviluppatori di oggi sono gli appassionati di ieri e le compagnie hanno imparato a sfruttare il loro amore per i videogiochi, ad abusarne per i loro profitti. Se qualcuno se ne va perché la paga a inizio carriera è troppo bassa o perché il ritmo di lavoro lo ha sfinito, c’è sempre un appassionato disposto a sostituirlo. Intanto, le competenze dei veterani vengono perse e i giovani ripetono i loro errori senza che la situazione cambi.

 

Licenziamenti improvvisi e crunch non sono gli unici problemi dell’industria videoludica e non sono gli unici problemi che una maggiore presenza di sindacati riuscirebbe almeno a limitare. «La presenza di un sindacato nell’industria può anche aiutare persone che siano state vittime di molestie sessuali», aggiunge Didžgalvytė. Proprio in questi giorni Game Workers Unite sta sostenendo il sindacato francese Solidaires Informatique  nella raccolta di testimonianze sui casi di molestie e violenze sessuali nello studio di sviluppo parigino Quantic Dream, dove una serie di reportage ha fatto emergere le controverse pratiche lavorative.

In Italia esistono sindacati (ed esiste una sezione locale di Game Workers Unite  che vuole rafforzare il loro rapporto con gli sviluppatori) ma le condizioni di lavoro nei (pochi) grandi studi di sviluppo di peso internazionale non sono molto diverse da quelle che potremmo trovare in USA. Sono però molto meno investigate. Con la crescita del settore videoludico, anche in Italia, è invece necessario che i festeggiamenti di industriali e investitori per le crescenti opportunità di guadagno siano accompagnati da una crescente attenzione da parte della stampa, degli attivisti e della società civile per le condizioni di lavoro in cui tutto questo è realizzato. Come è necessaria la consapevolezza su come siano realizzati in tutto il mondo i videogiochi a cui giochiamo.

«Pensiamo davvero che possiamo trovare solidarietà e un terreno comune con i videogiocatori e i consumatori di videogiochi», mi scrisse Emma Kinema, co-fondatrice di Gamer Workers Unite, un anno fa. «Game Workers Unite non è contrario solo allo sfruttamento dei lavoratori, ma anche  a pratiche commerciali scorrette. Negli ultimi anni è montata la protesta dei videogiocatori contro cattive pratiche commerciali nell’industria videoludica: loot box  [scatole digitali di oggetti ugualmente digitali acquistate con valuta reale senza che i giocatori possano conoscerne il contenuto], meccaniche sleali ispirate al gioco d’azzardo  e DLC [contenuti aggiuntivi a pagamento]. Sappiamo di poter trovare un terreno comune su questioni come queste, come sul fatto che, se gli sviluppatori potessero avere un equilibrio più sano tra vita e lavoro, potrebbero creare giochi di qualità più alta. La copertura che abbiamo ricevuto dalla stampa è spesso arrivata sulla prima pagina di subreddit [sezioni del forum Reddit] dedicate ai videogiochi e la grande maggioranza dei commenti erano di giocatori che appoggiavano i nostri sforzi. Possiamo assolutamente lavorare insieme ai videogiocatori per contribuire a sindacalizzare l’industria».