EUROPA

Paris burns for Gaza

Decine di migliaia di persone hanno sfidato i divieti a manifestare nella capitale francese in solidarietà alla Palestina. Un pomeriggio di scontri tra la polizia, che usa le maniera forti, e centinaia di giovani.

Il conflitto israelo-palestinese non si può importare in Francia”: con queste assurde parole François Hollande aveva giustificato venerdi il divieto di manifestare imposto dalla prefettura di Parigi. In seguito agli incidenti di domenica 13, provocati dalla Ligue de Defense Juive a margine di un’altra grande manifestazione contro l’offensiva israeliana a Gaza, le autorità francesi avevano interdetto le iniziative previste per questo sabato (a Parigi) e domenica (a Sercelles, banlieue nord-ovest).

Nonostante cio’, gli organizzatori – tra cui pezzi importanti delle realtà giovanili musulmane e arabe di Parigi, il Nouveau parti anticapitaliste (NPA), l’Unione degli ebrei francesi per la pace (UJFP), vari collettivi antifascisti di Parigi e altrove – hanno mantenuto l’appuntamento, consapevoli che in ogni caso, migliaia di persone si sarebbero presentate all’incrocio dei boulevards Barbès e Rochechouart, nel cuore dell’arrondissement meticcio per eccellenza, il XVIII, ai piedi di Montmartre. E’ un quartiere particolare, nella Parigi ormai gentrificata degli sceicchi del Qatar e degli oligarchi russi. La Goutte d’Or, al centro del 18esimo, è l’unica zona della capitale classificata a ‘sicurezza prioritaria’, ovvero sia sotto stretto controllo da parte di forze dell’ordine e militari. Cio’ che resta, insomma, della Parigi popolare, con tensioni e stereotipi annessi e connessi.

Alle 15, almeno 4-5000 persone si stanno pressando attorno alla stazione della metropolitana Barbès. La polizia ha lasciato la metro aperta, cosi come un certo spazio perché la gente possa confluire. In piazza ci sono tutti: famiglie, bambini, il nocciolo duro – in tutti i sensi – del quartiere, studenti di provenienze arabe e occidentali, attivisti e attiviste delle varie scene politiche di Parigi. In testa lo spezzone dell’NPA e delle altre organizzazioni, leggermente distaccato, dietro, quello delle associazioni giovanili arabe e musulmane.

Nell’arco di un centinaio di metri il divieto prende forma: una fila di camionette e poliziotti della CRS stanno bloccando ermeticamente il boulevard de Magenta, impedendo al corteo di raggiungere la destinazione annunciata di place de l’Opéra. Siamo chiusi davanti e dietro, fa molto caldo, le strutture che dovrebbero essere più organizzate non sanno come muoversi, vorrebbero spostare questa massa, sempre più numerosa, da un punto morto. Qualcuno dice di sedersi. Un cordone viene improvvisato, ma non sembra molto solido. Inoltre, e qui è legittimo chiedersi se ci faccia o ci sia, la polizia si è schierata di fianco a… un cantiere, quasi completamente aperto, immediatamente invaso dai manifestanti. Incontro un giornalista dell’Express, settimanale francese: “è assurdo il divieto, oggi succederà di tutto. E poi, di fianco a un cantiere…”

Poco prima delle quattro, in seguito al lancio di qualche petardo e qualche sasso, parte il primo lancio di lacrimogeni. E’ una raffica di avvertimento, una nuvola di gas. Il corteo indietreggia. Un pezzo rimane tagliato fuori su di una strada laterale, ci s’inerpica su fino al Sacro Cuore, in cima alla collina di Montmartre, là dove molto tempo fa il popolo di Parigi, svegliatosi senza i cannoni sul piazzale, decise l’insurrezione e fece la Comune. In alto, scampati ad altri gas e altri blocchi – oggi, la polizia è ovunque, a ogni angolo – si respira con un po’ di calma. “Ci sono i turisti americani”, dice un ragazzo di origine algerina, “qua non ci vengono!” Poi, rivolto a un manipolo di CRS aqquattati ai piedi della collina, bersagliati da oggetti e scherni di ogni tipo: “non salite, eh? Qua ci sono gli americani, dite un po’, c’avete paura di Obama!”

Nel frattempo, la parte più consistente del corteo era rimasta bloccata sul boulevard di Barbès, dove continuano fitti i lanci di lacrimogeni. Ormai il grosso del corteo si è dileguato in tanti rivoli, che piano piano si sono esauriti, la zona è blindata a ogni angolo ed è impossibile ricongiungersi, inoltre non c’è nessuna struttura, gruppo o individuo che tenga un punto fermo, che aggiri i blocchi. Lo zoccolo duro dei manifestanti resiste, respinto piano piano dai gas, sempre più idietro sul boulevard de la Chapelle, in direzione Gare du Nord. Bloccati, da una parte e dall’altra, cercano di ritardare come possono la tenaglia della polizia. Riesco a infilarmi nel mezzo del boulevard, in un attimo di distrazione degli agenti. Il corso è molto grande, sopra ci passa la metro 2 che in quel tratto è all’esterno, in sopraelevata. In mezzo, un grande marciapiede pieno di ogni tipo di oggetti: oggi è (era) giorno di mercato. Cominciano a spuntare le prime barricate, mentre il fumo dei lacrimogeni si fa più rado. A fianco a noi, sorge un grande ospedale, il Lariboisière: alla finestra, due vecchietti in canottiera commentano gli scontri con la stessa mimica del pensionato intento a osservare i lavori pubblici. I negozi sono sbarrati, ovunque ci sono tracce di latte di capra, la versione locale del maalox (per inciso, funziona benissimo).

In questa isola infiammata di Parigi, chiusi davanti e dietro da ingenti schieramenti di polizia in antisommossa, dinamiche contrastanti si sovrappongono rendendo ipocrita ogni lettura univoca della situazione. I giovani della banlieue e quelli di Barabès, gli studenti bianchi, gli islamisti – perchè ci sono anche loro, è inutile negarlo – e il movimento storico e compatto per la solidarietà a Gaza, ognuno porta istanze e comportamenti diversi, dietro le barricate che danno un’immagine illusoria di unità. Cosi’, per qualcuno che da fuoco a un gruppo di pellets del mercato ormai deserto, ce ne sono altri che trascinano i cassonetti dei pescivendoli, rovesciando le montagne di ghiaccio sopra le fiamme. Poi, tutti assieme a rilanciare indietro i lacrimogeni. Mentre il gruppo avanza e arretra a ritmo di scoppi, famiglie della Goutte d’Or fanno capolino con le borse della spesa, incredule dei gas, delle fiamme, delle urla. C’é chi simpatizza, c’è chi accusa, ma tutti sanno che è stata la polizia a porre il divieto di manifestare, e ogni sfida a cio’ gode di simpatia, per quanto tiepida.

Dopo tre ore di sommossa nel boulevard, la polizia inizia la manovra a tenaglia. A lanciare l’offensiva in stile militare non sono i poiliziotti in assetto antisommossa, ma anche agenti in borghese, armati di “flashballs”, una specie di cannone nero (il cui aspetto ricorda un fucile a canne mozze) che spara dei grossi proiettili di gomma dura, simili in tutto e per tutto alle bolas de goma spagnole. L’impatto è paragonabile a quello di una calibro 38, ma essendo la superficie del proiettile più grande, la giustizia la ritiene un’arma non letale. Gli uomini (ma c’è anche qualche donna) in borghese sono poliziotti delle Brigades anti-criminalité, venuti da ogni parte della banlieue nord, oltre che gli stessi del quartiere. Sono i “duri”, quelli – per intenderci – che si vedono nel film “L’odio” di Matthieu Kassovitz. Si muovono come fossero un commando, facendosi gesti con la mano e nascondendosi dietro i veicoli. Tira brutta aria, e i restanti manifestanti si dileguano sotto una pioggia di flashballs, lacrimogeni e urticanti in una via laterale che sfocia direttamente sulla Goutte d’Or. Piano piano si indietreggia nel cuore del quartiere, lontano dai boulevard, dove le strade sono strette e la resistenza più facile. Quelli della BAC continuano a sparare, adesso pero’ ad altezza d’uomo: una sagoma nera mi vola sopra la testa, spacca un vetro e rimbalza a terra. “Via! Flashball!” Urla, terrorizzato, un nero gigantesco, alto due metri e largo tre. Lasciano delle brutte ferite, questi proiettili: un ragazzo col terrore negli occhi ha una mano insanguinata, per fortuna è solo un taglio. Ma c’è chi ha grosse ferite sulla pancia, sul collo, sembrano dei colpi di coltello a lama piatta e incandescente.

Attraversiamo tutto il quartiere in un fuggi fuggi generale, mentre le serrande si abbassano al ritmo delle flashballs. Sbuchiamo finalmente dall’altro lato, mentre il quartiere, piano piano, assorbe nelle sue case i manifestanti. Quando raggiungiamo rue Ordener non c’è polizia, ma piove.

Oggi Parigi ha bruciato, non succede quasi mai. Ma quando succede fa paura, soprattutto a chi scopre solamente in queste occasioni i parigini veri, quelli che vivono dall’altro lato della Senna rispetto ai palazzi del potere. Mercoledi ci sarà un’altra manifestazione, sabato un’altra ancora: i divieti non funzionano, chissà se i francesi se ne accorgeranno, loro che sono sempre ostinati, quando si tratta di difendere l’ordine.