Omofobia: tra una legge inutile e nessuna legge

Nel dibattito sulla legge, tutte le magagne e contraddizioni del Pd.

L’omofobia non si combatte nei tribunali ma con l’equiparazione totale di diritti e garanzie di welfare.

«Ce l’abbiamo fatta». La notizia, per come la riporta Ivan Scalfarotto sul suo blog, è che le “Norme urgenti in materia di discriminazione etnica, razziale, religiosa o fondata sull’omofobia o transfobia” arrivano, il 26 luglio, in Aula. Poco conta che durante l’inter in Commissione giustizia la proposta di legge, originariamente scritta dalla Rete Lenford – Avvocatura LGBT e basata sull’estensione della Legge Mancino-Reale ai reati motivati dall’omofobia e transfobia, arrivi a Montecitorio completamente snaturata; «la portata rivoluzionaria per il nostro Paese», come scrive il deputato PD, è già solo nell’«approdo» in aula. Come se fosse, insomma, la prima volta che tali norme arrivino in discussione e in votazione in aula. Al contrario, è già successo tre volte nella scorsa legislatura e, in tutti i casi, le sorti sono state delle peggiori: bocciatura per vizio di incostituzionalità.

Ivan Scalfarotto, insieme al co-relatore del PDL, Antonio Leone, piuttosto che “impuntarsi” per una modifica efficace della Legge Mancino-Reale, ha deciso di proporre, con il beneplacito di SEL, un emendamento che riscrive completamente la proposta originaria. Il 26 luglio l’Aula discuterà un «testo lungi dall’essere perfetto, e che ha anzi una magagna da riparare assolutamente». Quella che il deputato del PD definisce una «magagna» è la mancata modifica dell’art. 3 della Legge Mancino che – come spiega lo stesso Scalfarotto – «è la norma che riguarda non le nuove fattispecie di reato ma i fatti che costituirebbero comunque reato, indipendentemente dalla Mancino. Le lesioni personali, per esempio. Il tentato omicidio. L’ingiuria. Tutti reati previsti dal codice penale per i quali la Legge Mancino prevede, se commessi per finalità discriminatorie, un aggravamento della pena».

Questa magagna per la Rete Lenford «è una scelta del tutto irragionevole e ripropone una ingiustificata differenziazione a scapito delle persone omosessuali e trans vittime di reati».

In realtà, poi, c’è anche un’altra magagna: nella modifica all’articolo 1 della Legge Reale non si introducono i concetti di orientamento sessuale e identità di genere, ma di omofobia e transfobia. Rileva sempre l’associazione di avvocati LGBT: «l’inserimento delle espressioni “omofobia” e “transfobia” nella Mancino-Reale non garantisce che la legge potrà essere applicata per la repressione dei reati contro le persone omosessuali e transessuali. Le due parole hanno un significato nel linguaggio comune, ma dal punto di vista del diritto penale potrebbero risultare non tassative e indeterminate, in assenza di una loro precisa definizione come fattispecie penali».

Approdati in Aula, l’obiettivo, secondo il PD e SEL, è quello di riproporre un emendamento congiunto per reintrodurre l’aggravante. Scalfarotto prima presenta un emendamento peggiorativo in Commissione, poi si ripropone di presentarne uno migliorativo in Aula. Appare evidente la schizofrenia di questo atteggiamento, soprattutto se si considera che il deputato PD – a chi gli chiede se è contento – risponde che lo sarà «solo quando avremo la legge pubblicata nella Gazzetta Ufficiale».

Quale legge? Una legge di carattere repressivo e securitario e di portata minimale, come quella che portò avanti Paola Concia nella scorsa legislatura, denota già una scelta di politica del diritto in partenza problematica, perché – come una parte consistente del movimento lgbti fa notare da tempo – l’omofobia non si combatte nei tribunali penali (laddove occorrono invece equiparazione totale di diritti e garanzie di welfare). Ma l’attualità banalizza il confronto politico e spinge all’assurdo: è oggi in discussione una legge di fatto inutile, perché priva dell’aggravante di omofobia sui reati penali già esistenti. Viene da pensare che in ballo ci sia solo una questione propagandistica perpetrata dal PD. Come accadde già in passato, quando si tentò, nell’ottica – di nuovo – di un accordo trasversale, di approvare una legge minima che, al contrario di oggi, prevedeva esclusivamente l’aggravante da inserire nel codice penale.

Come nel 2007, quando le ministre Bindi e Pollastrini del governo Prodi approntarono una leggina, sostanzialmente inutile, sulle coppie di fatto nota come Di.Co, anch’essa finita (fortunatamente!) nel nulla.

Sei anni fa, di fronte all’offensiva familista, i movimenti lgbti si trovarono a scendere in piazza per difendere quella leggina. Oggi bisogna evitare di cadere nell’ennesima trappola propagandistica che il PD sta tendendo, perché l’operazione messa in atto è chiara: di fronte alla “moratoria sui temi etici” proposta dal PDL (nel 2007 si chiamava Family Day) meglio questa “magagna” che niente.

«Ho un retropensiero. Che il PDL faccia da apripista ma dietro ci sia una forte attività consenziente del Pd. La moratoria potrebbe convenire anche ai democratici». È il retropensiero di Giancarlo Galan e forse non ha tutti i torti.