EUROPA

Non puoi bruciare la libertà: sull’11 novembre neonazista in Polonia

Si terrà oggi a Varsavia una manifestazione contro le violenze dei neonazisti avvenute durante la marcia nazionalista dello scorso 11 novembre. In un clima segnato da tensioni e violenze xenofobe, la capitale polacca ha vissuto la compresenza della manifestazione neonazista e l’inizio dei lavori del COP17, conferenza ONU sul climate change.

Przychodniasquat assaltato e dato alle fiamme, diverse macchine bruciate, un monumento raffigurante un arcobaleno di fiori distrutto al centro della città, l’ambasciata russa attaccata, sassi contro la polizia. Questo il bilancio della marcia del movimento nazionalista polacco,“Ruch Narodowy”, nel giorno dell’indipendenza. Le strade di Varsavia sono state teatro, come accade da qualche anno, di una vera e propria guerriglia urbana dai contenuti profondamente xenofobi e razzisti. A nulla è valsa la promozione, da parte del governo, di una manifestazione ufficiale, la cosiddetta “marcia del presidente”, per cercare di contenere l’escalation di questo movimento dai tanti volti e dalle tante contraddizioni: la manifestazione istituzionale, iniziata alle 11, è stata decisamente meno partecipata di quella del pomeriggio, nonostante la pubblicità, nonostante la convocazione molto trasversale (hanno sfilato sotto i nostri occhi anche gruppi femministi di sinistra), nonostante vecchi cimeli militari in parata, che hanno attirato famiglie e bambini. Nonostante tutto ciò, abbiamo assistito alla crescita esponenziale di un sentimento assolutamente antieuropeo, anticomunista e decisamente intollerante.

Tra saluti romani, cori goliardici ed evergreen delle organizzazioni fasciste di tutta Europa la piazza si è riempita con un lungo comizio d’apertura del Presidente Bronisław Komorowski seguito poi da vari esponenti dell’estrema destra europea. Immancabile anche l’intervento di Roberto Fiore, giunto a Varsavia con un manipolo di forzanovisti al seguito. La piazza si è presto riempita non solo di organizzazioni politiche neofasciste, ma soprattutto di migliaia di Kibole, come vengono chiamati gli appartenenti alle frange più violente e razziste delle curve di calcio polacche. Sono proprio questi i protagonisti indiscussi della giornata, emblema di una cultura razzista, nazionalista e populista che sta pervadendo l’Europa ai tempi della crisi. Dalla Grecia alla Polonia, all’Ungheria, all’Ucraina, dal Portogallo all’Italia.

La risposta ai sacrifici imposti dalla Troika sembra passare anche per un sentimento di rifiuto verso l’UE. Non è un caso che uno degli striscioni del corteo fosse proprio “EU is a cancer, nationalism is the answer”. Si sta delineando in Europa un quadro molto pericoloso in vista delle prossime elezioni europee del 2014, dimostrato dalla riorganizzazione dei movimenti nazionalisti e di estrema destra sul piano delle alleanze. Questo disegno trova conferma nell’incontro all’Aja mercoledì 13 novembre tra Geert Wilders (PVV-Olanda) e Marine Le Pen (FN-Francia) che ha sancito l’intesa politica verso le lezioni europee per raccogliere gli euro-delusi ed i movimenti nazionalisti di tutta Europa attraverso una campagna anti-Bruxelles a favore della sovranità monetaria e territoriale.

Tornando alla manifestazione, ciò che è emerso dai mass media non è nulla di diverso da quello che potrebbe accadere in qualsiasi altro paese: la stampa mainstream ha raccontato l’attacco allo squat, e tutte le altre azioni, come atti vandalici compiuti da piccoli gruppi di hooligans, che si sono staccati dal corteo e che ci sono rientrati per disperdersi nella folla, sfuggendo alla polizia. Il tentativo di circoscrivere gli eventi come atti illegittimi rispetto all’intera manifestazione non è durato molto di fronte all’evidenza della situazione. Infatti i militanti di Przychodniasquat sono tra i promotori della manifestazione antinazionalista e antifascista tenutasi a Varsavia lo scorso sabato Antifa Flash Mob Warszawa 9-11-13, oltre al fatto che il clima in città era già teso: infatti la sede di Krytyka Politiczna, circolo culturale di sinistra, era stata attaccata con granate lacrimogene durante la proiezione di un film sul tema LGBT. Per non parlare di tutti gli altri obiettivi: l’arcobaleno era stato appena ricostruito dopo essere stato infuocato altre 2 volte e l’ambasciata russa era già stata attaccata durante le manifestazioni di estrema destra precedenti a questa.

La conferenza stampa a Przychodniasquat ha messo in luce le contraddizioni emerse nel contesto della manifestazione. Le dichiarazioni ed il comunicato stampa vertono su due punti principali: innanzitutto sul fatto che l’attacco non è stato un caso isolato perpetrato dagli hooligans, come fossero gruppi separati dal resto della manifestazione. Infatti, i militanti hanno posto al centro della questione la connivenza di tutta la manifestazione che ha permesso che ciò accadesse, legittimando di fatto l’attacco.

Il secondo punto centrale emerso è stato l’accusa all’inerzia dello stato e della polizia, che avrebbero potuto evitare qualsiasi degenerazione, in particolare quando la manifestazione si approssimava agli hotspot, perché luoghi già precedentemente e ripetutamente attaccati.

La risposta della polizia alle accuse non è tardata ad arrivare: gli accordi con gli organizzatori prevedevano che gli stessi col proprio servizio d’ordine paramilitare avrebbero garantito il controllo della manifestazione ed agito al fine di evitare qualsiasi disordine a patto che la polizia non si mostrasse nei dintorni. Così è stato, non vi era polizia nelle strade lungo il percorso del corteo, nemmeno nei punti prevedibilmente più caldi, permettendo la completa agibilità di coloro i quali hanno agito i disordini ed arrivando intempestivamente ad ogni disastro compiuto. L’azione della polizia e la presa di posizione da parte degli organi normalmente garanti dell’ordine dello stato è cominciata solo quando la manifestazione è stata dichiarata illegale e non autorizzata, risposta decisamente tardiva e inutile [Video e articoli dalla Polonia].

Apertura della 19esima Conferenza delle Parti sul Cambiamento Climatico.

L’11 novembre a Varsavia, però, non si sono solo tenute le manifestazioni nazionaliste e di estrema destra, lo stesso giorno infatti la mattina si è aperta la prima sessione dei lavori della COP19 che durerà fino al 22 novembre. Può sembrare casuale? Non lo è affatto. La Polonia all’interno dell’Unione Europea è il paese che più di tutti mantiene una posizione di resistenza sulla lotta al cambiamento climatico e all’applicazione della direttiva europea 20-20-20 che richiede ad ogni stato la riduzione del 20% delle emissioni di CO2, l’aumento dell’impiego delle energie rinnovabili del 20% entro il 2020.

Questo perché la sua economia è fortemente dipendente dall’estrazione del carbone fossile per almeno l’80% (basti pensare che il 96% dell’elettricità dipende da esso). Oltre al fatto che il paese vive come nel resto d’Europa una crisi economica profondissima dovuta ai tagli dei fondi dell’UE per la costruzione delle infrastrutture, lasciando dappertutto cantieri aperti per nuove linee metro (ad esempio Varsavia) o per ristrutturazione di strade e stazioni ferroviarie (come ad esempio a Lodz).

Tenendo tutto ciò in considerazione è facile capire come il governo abbia colto l’occasione per rafforzare la sua posizione all’interno della COP, contribuendo un ulteriore volta a rendere la conferenza dell’ONU sulla lotta al global warming priva di significato, e a ripetere uno scenario già visto da Copenhagen (COP15) in poi. Se aggiungiamo che lunedì 18 si terrà il Vertice delle multinazionali del carbone proprio a Varsavia durante la COP (in fondo sono gli stessi a partecipare anche alla COP), sappiamo già i prodotto finale di quella che dovrebbe essere la Conferenza che decide il futuro del clima: nessun accordo vincolante che obblighi i paesi ad ingenti riduzioni di emissioni dei gas inquinanti, nonostante i forti richiami dell’IPCCC che con il V rapporto di valutazione sul cambio climatico, uscito a settembre, invita tutti gli stati del mondo a trovare rapide soluzioni al riscaldamento globale che sta aumentando vertiginosamente.

Ma come si può pretendere di chiedere ai paesi di tutto il mondo di adottare misure che ne metterebbe in ginocchio molti, quando uno dei più grandi inquinatori gli USA non ha mai avuto alcuna intenzione di firmare il primo tra i trattati internazionali giuridicamente vincolanti, il Protocollo di Kyoto?