EUROPA

Non pagare, creare forza, imporre la crisi politica: intervista a Don’t Pay UK

Mentre in Italia volge al termine una campagna elettorale che non propone soluzioni alla crisi energetica, dal Regno Unito arrivano importanti spunti di lotta. Parla un attivista della campagna Don’t Pay

Gli aumenti dei prezzi dell’energia stanno colpendo duramente i settori più esposti del tessuto sociale ed economico italiano. All’ombra del delirio informativo tipico della campagna elettorale, la vertiginosa inflazione sta colpendo duramente quel 25,2% di popolazione che i recenti dati di Eurostat sull’Italia etichettano come “a rischio povertà» (con 5,6 milioni di persone in condizione di povertà assoluta e 2,9 in povertà relativa, dati Istat), ma anche settori sociali non considerati da queste statistiche.

La paura cresce anche tra ciò che è rimasto della cosiddetta “classe media” e appare sotto forma di disperazione in quei settori della piccola imprenditoria e del lavoro autonomo più colpiti dalla congiuntura economica innescata dal periodo pandemico.

Lo sconforto e la rabbia sono tanto più giustificati dalla mancanza (nonostante il clamore elettorale) di serie proposte politiche in vista dell’imminente inverno e dalle deflagrazioni belliche dietro l’angolo.

Le reazioni ai costi impazziti hanno così cominciato a farsi evidenti anche in Italia, nonostante la macchinazione mediatica che coniuga politica e spettacolo sia a pieno regime. Da quando il “Movimento Disoccupati 7 Novembre” ha bruciato le bollette a Napoli davanti alla sede centrale delle Poste, molti hanno ripetuto il loro gesto.

Circolano inoltre su Telegram e nei social media due campagne che invocano allo sciopero dai pagamenti: “Io non pago” e “Noi non paghiamo”, entrambi tentativi di tradurre la campagna inglese “Don’t Pay”, da cui “Noi non paghiamo” ha tratto anche le rivendicazioni, gli obbiettivi e l’impostazione grafica nel sito www.nonpaghiamo.it. Alcuni gruppi formati a livello locale hanno già prodotto azioni di piazza e hanno annunciato la presenza in alcune piazze degli scioperi climatici di venerdì 23 settembre.

Abbiamo già trattato la situazione inglese nel suo complesso, sottolineando le specificità temporali e tematiche che un contesto così fortemente finanziarizzato implica. Proviamo ora ad approfondire la prospettiva che ha mosso la campagna “Don’t Pay” intervistando un attivista che ne ha seguito gli sviluppi sin dal principio.

Per chiarezza ai lettori italiani si segnala che, come già emerso nello scorso testo, è all’opera anche un’altra campagna sul carovita chiamata “Enough Is Enough” (EiE). Quest’ultima sta portando in giro per il paese un programma di 5 rivendicazioni (aumento salari, riduzione bollette, diritto al cibo, diritto alla casa, tassazione dei ricchi) attraverso eventi serali partecipati da un’ampia platea di sinistra, dove gli speakers sono deputati del Labour, ex corbyinisti, rappresentanti delle charities (enti di beneficenza), dei sindacati in sciopero e giovani attivistə che si sono unitə ai picchetti sindacali e invitano il pubblico a fare lo stesso.

Sulle tematiche energetiche, l’accento è molto politico e fortemente improntato alla nazionalizzazione delle aziende, in contrasto alle politiche proposte dalla premier Truss che non trova differenze sostanziali con la direzione attuale del Labour. L’1 ottobre sono previsti cortei e picchetti di EiE in tutto il paese.

Ecco l’intervista a Jay di Don’t Pay Campaign.

Prima di tutto, puoi spiegare brevemente qual è il significato della campagna “Don’t pay”, da chi è nata e in quale contesto si è sviluppata?

Don’t pay è l’articolazione politica delle forti contraddizioni che stanno affrontando decine di milioni di persone qui nel Regno Unito, ma anche in molti altri paesi. L’aumento delle bollette energetiche è stato causato dai molteplici shock della riapertura dell’economia mondiale dopo la pandemia, dal ripiegamento sul nazionalismo economico ed è ora amplificato dalla militarizzazione delle esportazioni di gas e petrolio causata dalla guerra russa all’Ucraina. Questo momento ha visto un aumento dell’inflazione nelle principali economie. Nel Regno Unito, che sin dai tempi della Thatcher ha assunto un’economia di mercato iper-neoliberista e del tutto privatizzata per quanto riguarda la produzione, la distribuzione e l’approvvigionamento di energia, la situazione è peggiorata enormemente. Le bollette dell’energia sono destinate ad aumentare da una media di 1.781 sterline dal 2021 a una stima di 6.000 sterline all’anno entro aprile 2023.

Questi enormi aumenti, regolati dall’Ofgem (un’autorità indipendente di regolamentazione dei prezzi dell’energia), significherebbero che qualcosa come 45 milioni di persone verrebbero spinte verso la povertà energetica.

Il movimento Don’t Pay è nato in questo contesto e, dal suo lancio pubblico nel giugno 2022, ha ottenuto il sostegno di un cittadino su tre nel Regno Unito, con circa 3 milioni di persone (secondo un importante sondaggio) disposte a rifiutarsi di pagare le bollette energetiche a partire dal 1° ottobre. Il movimento stesso, ai fini di raggiungere e riflettere pienamente le condizioni di classe dell’attuale situazione, si è formato al di fuori della sinistra tradizionale o radicale e si è radicato dentro una coscienza popolare. Lo abbiamo progettato per essere “non codificato” (uncoded), in modo da aggirare sia gli algoritmi dei social media che la retorica “destra o sinistra” con un semplice piano: se vogliamo combattere questi incredibili aumenti dei prezzi, 1 milione di persone devono impegnarsi a scioperare e a trattenere i pagamenti. Ciò può fornire un’enorme forza, minacciare l’intero mercato dell’energia e costringere ad una crisi politica.

Quali prospettive avete per i prossimi mesi? Cosa succederà se non riuscirete a raggiungere l’adesione di un milione di persone? Si può dire che il dibattito pubblico britannico sia già fortemente influenzato dalla vostra campagna?

Secondo il Times e altri sondaggi, la maggioranza dei residenti nel Regno Unito è favorevole all’idea di un mancato pagamento di massa, e oltre il 50% [dei più di 3 milioni di persone che sarebbero intenzionate a scioperare] è stato influenzato dalla campagna Don’t Pay. Attualmente abbiamo raggiunto 190.000 adesioni allo sciopero, numero ancora lontano dal milione. Negli ultimi 3 mesi abbiamo assistito a diversi interventi, dettati da enormi interessi, per spaventare coloro che vogliono intraprendere questa azione.

Le compagnie energetiche, gli enti di beneficenza (charities) e il settore della consulenza sul debito hanno usato tattiche di paura per spaventare coloro che si stanno attivando. Ma la realtà è che già 1,5 milioni di persone non possono pagare e hanno accumulato oltre 1,7 miliardi di sterline di debito energetico.

Questa situazione eccezionale, con così tanti milioni di persone disposte a intraprendere questa azione, ha costretto il governo a intraprendere un massiccio intervento fiscale, promettendo di limitare gli aumenti per due anni a un costo stimato di 170 miliardi di sterline. In pratica, questa manovra verrebbe pagata attraverso il debito pubblico e garantirebbe i profitti dei grandi produttori di petrolio e gas. L’intervento del governo di Liz Truss comporterebbe un costo per i contribuenti britannici pari a quasi tre volte il costo della pandemia, senza risultare comunque sufficiente a coprire completamente gli aumenti.

Abbiamo così mantenuto che lo sciopero non andrà avanti a meno che non si raggiunga il milione di persone, ma la data del 1° ottobre diventa adesso meno rilevante.

Da quali esperienze passate – britanniche o estere – prende spunto la campagna Don’t Pay? Puoi inoltre chiarire il rapporto con altre campagne in corso come Enough is Enough?

La nostra principale influenza è la ribellione contro la Poll Tax alla fine degli anni ’80, che ha visto più di 17 milioni di persone rifiutarsi di pagare le tasse. Questo portò a riot diffusi nel paese e alla caduta del governo Thatcher. Ci ispiriamo inoltre ai movimenti di “autoriduzione” in Italia negli anni ’70, che hanno visto rivolte popolari di massa guidate dalle famiglie proletarie e dai lavoratori delle fabbriche.

Per quanto riguarda EiE, questa campagna è stata sviluppata, senza essere lanciata, nello stesso periodo di Don’t Pay. Poiché Don’t Pay stava diventando sempre più egemone, il lancio pubblico di EiE è stato anticipato ed è servito per i sindacati, i parlamentari del Labour e la sinistra ad occupare uno spazio [politico], proponendosi come ‘IL’ fronte contro il costo della vita.

Don’t Pay ha contattato più volte EiE ma non ha ricevuto risposta, ignorando completamente l’esistenza della nostra campagna e portando avanti invece una campagna dall’alto top-down con un suo centro di controllo. Al contrario, Don’t Pay si considera una piattaforma per favorire l’auto-organizzazione e abbiamo attualmente facilitato la creazione di circa 450 gruppi in tutto il Paese, che si occupano di rendere democratico il movimento.

Immagine di copertina da dontpay.uk