ROMA

Non c’è pace per i residenti nei Piani di zona

La storia di Marco, inquilino di un condominio nel Piano di zona di via Monte Stallonara (fra la Pisana e Malagrotta), prima truffato dal padrone di casa e poi condannato allo sfratto dal giudice, racconta molto dei problemi legati all’abitare a Roma

Nuovo presidio anti-sfratto a Roma ieri mattina: componenti dei Movimenti per il diritto all’abitare, rappresentanti di Asia Usb e cittadin* solidal* si sono ritrovati in via Monte Stallonara per portare solidarietà a Marco, inquilino di un condominio in un Piano di zona, che aspettava l’ennesima visita dell’ufficiale giudiziario. Una vicenda complessa che interseca problematiche che vanno ben oltre la dimensione privata.

«Io abito qui dal 2012. Ho preso questa casa pensando che fosse in edilizia residenziale normale, ho sottoscritto un contratto e ho sempre pagato tramite Rid bancari», racconta Marco, che vive con la figlia diciassettenne. La realtà dei fatti è però diversa. Infatti, l’appartamento si trova in un Piano di zona. «Prevede quindi alcune restrizioni da parte dell’assegnatario, che non è padrone di casa ma appunto assegnatario: le due più importanti, che sono state violate, sono il subaffitto e il non avere altri alloggi di proprietà».

Nel 2016 Marco scopre, per pura casualità, che il contratto non è mai stato registrato: «L’assegnatario ha subaffittato in nero quindi e, oltretutto, il numero di conto che mi è stato dato per il versamento dei canoni mensile non era il suo, ma quello del padre».

Un escamotage per sostenere di non sapere nulla del subaffitto, nonostante nella convenzione stipulata da tutti i soci delle cooperative nazionali che operano nei Piani di zona si dica che l’assegnatario deve sempre rispondere in prima persona di tutto ciò che accade nell’appartamento. Non solo. L’altra condizione per accedere a una casa in Piano di zona è quella di non possedere altri appartamenti. «Bastava una visura catastale come quella che ho fatto io per scoprire che questo assegnatario era già padrone di un altro immobile, di ben novanta metri quadrati, sempre nel comune di Roma», prosegue Marco, sottolineando anche le responsabilità da parte delle istituzioni nella mancata vigilanza al momento dell’assegnazione.

Marco racconta la sua storia (video di Patrizia Montesanti)

Presente al picchetto anche Monica Polidori del Comitato Piano di zona Monte Stallonara. «Questi palazzi sono stati costruiti in edilizia agevolata, su terreni che sono di proprietà del Comune, quindi gli operatori non pagano gli oneri del terreno, e con contributi pubblici che vengono dati a fondo perduto dalla regione Lazio. Parliamo di milioni di euro», spiega: «Queste case nascono proprio per dare la possibilità alle persone che non possono prendersi un affitto privato né accollarsi un mutuo perché non hanno un reddito che glielo permetterebbe. Il principio era quello di dare possibilità di pagare un affitto calmierato oppure di prendere casa senza soffrire affanni economici. Nessuno nell’arco degli ultimi venticinque anni a Roma ha mai però controllato quello che stava succedendo, nonostante ci siano denunce già a partire dal 2012».

Anzi, non solo le istituzioni non hanno mai controllato, ma le sentenze dei tribunali finiscono per colpire sempre gli e le inquilin*. Proprio come nel caso di Marco che, addirittura, è stato denunciato per occupazione senza titolo dall’assegnatario fraudolento che, non pago, gli ha anche chiesto la somma di cinquantamila euro come indennizzo.

«A quel punto io ho informato il curatore fallimentare perché, nel frattempo, la cooperativa era andata in fallimento. Il curatore mandato dal Ministero dello sviluppo economico ha certificato la mia presenza dentro la casa ed è partito il processo civile per occupazione senza titolo. Come succede spesso in Italia, io sono stato condannato perché secondo il giudice sono un occupante». Successivamente però il curatore fallimentare avverte la Regione e chiede di far rogitare l’assegnatario, a patto che lo stesso restituisca i contributi erogati anticipatamente. È in questo momento che Marco scopre l’altro stabile di proprietà del suo padrone di casa e denuncia tutto al Comune di Roma. «Mi viene data ragione e il Comune scrive una lettera alla Guardia di finanza per tutti i bonifici (non essendo stato registrato il contratto, infatti, sono state anche evase le tasse), al locale commissariato di polizia e all’ufficiale giudiziario sostenendo le mie ragioni. Il Comune poi revoca anche la superficie del suolo, ma non può concludere l’iter ed estromettere l’assegnatario se la Regione non revoca anche lei i contributi al tempo erogati, ma non può più farlo perché già se li è fatti restituire».

Marco si trova così in un paradosso. «Il Comune di Roma mi dà completamente ragione, la Regione non si schiera e lascia le cose in un limbo, permettendo così a questo signore di continuare a chiedere lo sfratto». Sfratto che ieri mattina ha visto consumarsi l’ennesimo episodio doloroso.

Infatti, dopo un paio di ore dall’inizio del picchetto, arrivano assegnatario, ufficiale giudiziario e forza pubblica. Marco non viene ancora buttato fuori dalla sua abitazione, ma gli viene detto che al prossimo accesso, fissato per martedì 26 ottobre (a neanche una settimana di distanza dunque), si procederà allo sgombero. Commenta Margherita Grazioli, attivista dei Blocchi precari metropolitani: «Nonostante ci sia un’udienza fissata per la sospensione di questo sfratto al 24 novembre, l’ufficiale giudiziario ha rinviato lo sfratto a quando ritiene di avere la disponibilità della forza pubblica».

Una decisione che conferma quanto i Movimenti all’abitare hanno appreso nell’incontro in Prefettura di martedì scorso, il 19 ottobre. «Quanto successo ieri mattina ci restituisce uno scollamento assoluto tra le varie autorità preposte nella gestione di una delle questioni più calde in questa città, l’emergenza abitativa. Perché l’approccio che sta emergendo, al netto della retorica della collaborazione tra prefettura e Unep, è che tutto viene delegato all’ufficiale giudiziario, che gode di autonomia totale sia nella richiesta della forza pubblica sia rispetto al non comunicare nemmeno se vi sia un profilo di fragilità».

Tutte le foto di Patrizia Montesanti.