ITALIA

No Tap: oltre il gasdotto, la lotta è contro l’ingiustizia sociale

Aurora e Gianluca, attivisti salentini di passaggio per Roma, invitati per iniziative al Forte Prenestino e La Città dell’Utopia, raccontano cosa sta avvenendo a Melendugno e che tipo di fase sta attraversando il movimento NO TAP. Mentre è di ieri la notizia che l’emendamento per arrestare chi entra nei cantieri è stato dichiarato inammissibile

Cosa è successo nel weekend scorso in Salento, nei luoghi dove vogliono costruire il gasdotto TAP?

Gianluca: È successo che la prefettura ha cancellato l’ordinanza che stabiliva una zona rossa attorno al cantiere, probabilmente sono servite tutte le denunce fatte dagli attivisti e dal pool di legali che ci seguono. La popolazione pertanto sta riprendendosi i terreni San Basilio un po’ alla volta.

Aurora: C’è da dire che ci siamo riappropriati di quei terreni, anche solo passeggiando, ma lo scenario che abbiamo trovato è devastante, hanno cambiato interamente il paesaggio, alcune strade di campagna che conoscevamo non ci sono più, hanno buttato giù muretti a secco che sono diventati cumuli di pietre, mentre erano la storia dei nostri territori. Inoltre, molte strade sono state allargate stravolgendo le paludi e zone di fitodepurazione. È terribile e angosciante vedere questo scenario per noi che abitiamo quei posti. La macchia mediterranea per noi è motivo di orgoglio e la stanno distruggendo, è piena di reti metalliche, cemento, filo spinato. Nonostante abbiano tolto la zona rossa, questa roba esiste ancora, non c’è più la zona interdetta intorno, ma il cantiere c’è, il cemento c’è e ora è visibile da tutti.

Quale è stata la reazione della polizia davanti al vostro riappropriarvi dei terreni?

Gianluca: Sono stato il primo a entrare all’interno dell’ex zona rossa, assieme ad alcuni giornalisti. Quando siamo entrati abbiamo capito che anche i poliziotti erano molto disorientati. La società aveva speso milioni di euro in sistemi di protezione e sicurezza: vedere tutto questo smantellato in trenta giorni è stato qualcosa di profondamente destabilizzante, prima per noi, e poi anche per loro. Da quando la zona rossa non è stata rinnovata ancora non è successo nulla, anche se ci aspettiamo reazioni. Giusto pochissimi giorni prima che venisse smantellata la zona, il 9 dicembre, 52 persone, inclusa Aurora, sono state prese e trattenute per 9 ore in questura. La loro colpa non era aver fatto attività contro il cantiere, ma aver fatto una passeggiata nelle campagne intorno, pure al di fuori della zona rossa stessa.

Aurora: Volevamo fare un gesto simbolico di riappropriazione: passeggiare nelle nostre campagne. Mentre lo facevamo ci siamo visti inseguire dalla polizia che non aveva per nulla un atteggiamento amichevole. Non volevano farci uscire dalla zona e hanno fatto di tutto per farci arrivare in una zona poco praticabile, con rovi, pietre scoscese. Lì siamo stati accerchiati, alcuni di noi sono stati ammanettati, tenuti in ginocchio per un ora, insultati e trattati come i peggiori criminali. Un quadro surreale: tutto questo è successo perché volevamo fare una passeggiata, trasformata poi in una fuga che è stata repressa con violenza dalle forze dell’ordine. Cercavano in noi un capro espiatorio per giustificare la loro violenza, ma non ci sono riusciti, non avevamo per nulla intenzioni violente. Siamo quindi stati in questura per 9 ore, ci sono state prese le impronte, siamo stati denunciati ed interrogati, per cosa? Per manifestazione non autorizzata.

Quale sono le prossime tappe che immaginate come movimento?

Aurora: Decideremo il futuro anche in conseguenza di quanto accade, l’aver tolto la zona rossa ci ha spiazzato, siamo sotto controllo e cercano che qualcuno di noi faccia qualcosa di sbagliato per poi così intrappolarci. Stiamo cercando di avvicinare il più possibile la gente del posto a quanto sta accadendo ed è accaduto. Lo facciamo con passeggiate, iniziative di ogni tipo. È fondamentale per noi creare informazione dal basso, organizzare assemblee e far capire alla gente, con i propri occhi, la realtà. Ora stanno creando una base lavorativa per il cantiere: ad esempio basi di cemento per le case, stanno preparando il terreno per fare il pozzo di spinta dentro il cantiere.

Gianluca: È evidente che ora sono in grossa difficoltà. Il 12 dicembre la BEI (Banca Europea degli Investimenti ndr) non ha concesso il finanziamento di 1,5 miliardi di euro per la costruzione dell’opera, grazie anche ai tanti, al di fuori dell’Italia, che ci hanno sostenuto e hanno fatto pressione, come Recommon o 350.org. La cosa chiara è che si sta cercando di criminalizzare il movimento proprio perché stiamo facendo quella informazione molto dettagliata sulla realtà di cui parla Aurora. Ci sono ingegneri del movimento che entrano nel cantiere ogni giorno e chiedono informazioni su quanto accade. Togliersi dalle scatole il movimento con una zona rossa era uno tra gli obiettivi, ora è fallito. Il 12 novembre la zona rossa è stata istituita, per supposti gravi motivi di sicurezza e ancora nessuno a quella data era stato condannato per reati sul Tap. Quali sono allora questi motivi di sicurezza?

Se dovessi spiegare in poche parole il motivo della vostra opposizione al TAP, cosa diresti?

Aurora: Il nostro territorio si basa su agricoltura, turismo e progetti di ecosostenibilità. Tutto questo verrà distrutto da quest’opera che toglierà ampi terreni agricoli e quindi lavoro e cambierà lo scenario della costa con divieti di balneazione in ampie zone. Le attività commerciali già vedono un futuro molto buio. È dannosa perché verrà costruito un impianto di depressurizzazione che produrrà sostanze inquinanti in atmosfera, dannose per la salute pubblica. È un’opera che il territorio non vuole, ci si è opposti in tanti modi ma a volte ci si sente impotenti davanti a governi e multinazionali che ti fanno vivere in un sistema che vogliono loro. Il gas che dicono sarà utile per l’Italia andrà in realtà Germania. Il TAP non è né produttivo né strategico per l’economica italiana. Inoltre pensare che sia necessario nel 2017 il gas è ridicolo, con tutto il sole che c’è in Salento e con la possibilità di investire in fonti rinnovabili.

Gianluca: Come comitato No Tap abbiamo focalizzato una questione essenziale: anche se agiamo localmente contro il TAP stiamo combattendo contro un sistema ben più grande che genera queste opere inutili ed imposte. Quando Calenda illustra la Strategia Energetica Nazionale ci viene da ridere: è solo la lista della spesa per le lobby che l’hanno scritta, non c’è un piano energetico nazionale strutturale che dica dove vogliamo andare dal 1988, giorno del referendum sul nucleare. Tutto questo è il prodotto di un sistema che a sua volta produce opere come il TAP.

Come immaginate di poter allargare la vostra lotta?

Aurora: È fondamentale portare la voce dei comitati fuori dal Salento. Finora non l’abbiamo fatto sufficientemente per ragioni tempo, la priorità era contrastare i lavori. Anche una persona in più era importante. La popolazione non è abituata alla lotta e non pensa di poterla contrastare in quanto è troppo diffuso il pensiero “tanto decidono loro”. Questo atteggiamento va superato, e si devono ricercare legami e sostegno anche al di fuori della nostra zona geografica.

Gianluca: Abbiamo iniziato un percorso per fare rete. Il 15, 16 e 17 settembre c’è stata una bella risposta. A Borgagne abbiamo messo assieme rappresentanti di tutti i comitati contro l’opera che, ricordiamo, non si ferma a Melendugno, ma arriva fino a Minerbio (Bologna) con stoccaggi di gas in Lombardia. Abbiamo così prodotto un documento condiviso, elaborato con la tecnica dell’OST, dove si sollevano non solo sono questioni sul singolo progetto, come vogliono farci credere i media, ma sul sistema che genera queste opere inutili e imposte e su come esse vengono agevolate da politici corrotti e leggi ad hoc. Solo una visione così ampia può portare a comprendere che la nostra lotta non è solo una per una questione di legalità o di ambiente, ma è una vera e propria lotta per la giustizia sociale.