EUROPA

No Border Camp: mobilitazioni continue per la libertà di movimento

Giorni intensi per gli attivisti e i rifugiati al campeggio contro le frontiere a Salonicco. Cortei e azioni si moltiplicano dentro e fuori la città.
No Border Camp: prima giornata di mobilitazione contro le frontiere

Negli ultimi giorni, nel campus dell’università Aristetolou si è raggiunto il picco delle presenze. Cinque autobus sono arrivati domenica pomeriggio dalla Spagna, con la più lunga delle carovane dirette verso la Grecia, mentre altri attivisti di vari paesi sono giunti nei giorni successivi. Tanti i rifugiati che una volta entrati in contatto col campeggio hanno deciso di rimanerci giorno e notte, preferendolo di gran lunga ai campi ufficiali del governo.

20, 21 e 22 luglio sono stati tre giorni ricchi di proteste e azioni. Domenica, oltre 800 attivisti si sono diretti al centro di detenzione ed espulsione di Paranesti e poi a quello di Xanthi. Intorno all’ora di pranzo, il primo corteo ha attraversato il paesino di Paranesti diretto verso la struttura detentiva, fermandosi alle porte del centro. Le assemblee dei giorni precedenti avevano stabilito che obiettivo comune della manifestazione era fare pressione affinché un gruppo nutrito e composito potesse recarsi all’interno, monitorare le condizioni di detenzione e parlare con i rifugiati. Circa venti tra attivisti, avvocati, medici e interpreti sono entrati nel centro. Tra loro, anche DINAMOpress.

{igallery id=6492|cid=116|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0}

Superato il portone che separa l’area militare da quella esterna, bisogna percorrere un lungo corridoio all’aperto, tra muri e reti. L’immagine del lager è la prima che viene alla mente. Ogni edificio dell’area è circondato da filo spinato. Per accedere alla parte in cui vengono tenuti prigionieri i rifugiati, bisogna superare tre cancelli. Al di là di essi, si trovano le persone. Circa 300. ammassate dietro le reti, salutano e applaudono chi arriva per portare solidarietà. La scena sembra davvero quella di un documentario sui tempi più bui della storia recente: i volti e le mani di diversi colori si accalcano sulla recinzione, dietro la rete, sotto l’onnipresente filo spinato.


I rifugiati raccontano le condizioni di detenzione e lamentano alcuni problemi: cibo, mancanza di vestiti, mancanza di assistenza medica, latitanza degli avvocati. Ma la questione che pongono con chiarezza e determinazione è un’altra: non vogliono una detenzione più umana, vogliono la libertà. Vogliono uscire dal centro e rimettersi in viaggio. «Prigione in Algeria, prigione in Libia, prigione in Turchia e prigione in Grecia. Che ho fatto per meritare tutto questo? Perché anche qui in Europa mi trattano così», si sfoga un ragazzo nordafricano. «Voi non potete immaginare quello che abbiamo dovuto soffrire venendo a piedi dal Pakistan. Siamo partiti in due: io ho problemi politici e il mio amico è stato perseguitato per il suo orientamento sessuale. Siamo rifugiati. Perché ci tengono qui dentro?», racconta un altro. Un ragazzo afghano ci chiede: «Perché gli avvocati hanno preso i soldi e non sono tornati? Perché nessuno ci dà informazioni precise? Quanto ancora dovremo rimanere qua dentro?».

{igallery id=1133|cid=117|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0}

Circa 57.000 rifugiati sono al momento bloccati nel paese ellenico, nella speranza di essere “ricollocati”. Ma il sistema continua a non funzionare: meno di 500 le persone trasferite in altri paesi, dopo i primi mesi. E poi ci sono altri 6/7.000 rifugiati che si trovano nei centri di detenzione. Queste strutture vengono definite tecnicamente “centri di pre-espulsione”. Le persone prigioniere in questi luoghi hanno provenienze geografiche che tendenzialmente non danno diritto all’asilo (ma l’Afghanistan può essere considerato un paese sicuro? E il Pakistan?), oppure sono arrivate dopo la data dell’accordo UE-Turchia. Ci sono anche tantissimi minori. Non abbiamo potuto incontrarli, perché si trovano in una parte separata della struttura. Probabilmente, sono ragazzi che stano per diventare maggiorenni o che secondo il discusso e spesso inattendibile esame del polso risulterebbero maggiorenni.

I rifugiati detenuti in queste strutture sono in attesa di deportazione, eppure diversi attivisti sollevano dubbi rispetto al fatto che queste deportazioni possano essere effettivamente realizzate: sia che debbano avvenire verso la Turchia, che verso altri paesi terzi. Syriza ha abbassato il limite massimo della detenzione amministrativa da 18 a 6 mesi, ma bisognerà capire se anche la prassi di detenere i rifugiati anche dopo questa scadenza, e di fatto a tempo illimitato, cambierà. Durante il governo Samaràs, un cavillo giuridico permetteva di mantenere le persone nei centri con la motivazione che non potevano fornire un altro indirizzo dove attendere la deportazione.

Dopo il C.I.E. di Paranesti, i manifestanti si sono spostati in autobus verso quello di Xanthi. Questa volta la polizia si è schierata per impedire l’avvicinamento alla struttura, collocata anche in questo caso in una zona militare, all’interno di una scuola per poliziotti. Dopo aver intonato cori, fatto scritte e tagliato alcune reti, i manifestanti hanno effettuato una carica veloce contro gli agenti schierati davanti ai bus. È seguito un lancio di lacrimogeni, mentre il corteo si iniziava a muovere per tentare di girare intorno all’edificio e raggiungerlo da un altro lato. Un nuovo taglio di reti ha permesso l’ingresso in un appezzamento di terreno, da cui il C.I.E. era visibile. Da lì, è stato possibile comunicare con i rifugiati reclusi, attraverso cori, canzoni e messaggi.

{igallery id=4628|cid=118|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0}

Il giorno successivo il “Migrant Pride” ha sfilato nel cuore di Salonicco. Al grido di «Open the borders» e «Stop deportation» diverse migliaia tra rifugiati, sans papiers e cittadini europei hanno espresso la comune opposizione alle politiche europee di contrasto dei flussi migratori. “Stop the war on poor”, recitava uno striscione esposto da alcuni rifugiati che partecipano al campeggio. Lungo il percorso sono state sanzionate alcune ambasciate, con scritte e con la sottrazione delle bandiere di riferimento. La manifestazione è poi rientrata tranquillamente nel campus universitario, dove in serata si è svolto uno spettacolo teatrale e un concerto.

Nel pomeriggio di venerdì 22, invece, sono stati due gli appuntamenti di azione. Mentre andavano avanti workshop e discussioni, alcuni attivisti si sono radunati nel centro di Salonicco e hanno occupato una casa, che accoglierà diverse famiglie di rifugiati. Successivamente un corteo si è mosso nelle strade della città con lo scopo di raggiungere il consolato turco e manifestare l’opposizione alle politiche fasciste di Erdogan, che hanno come obiettivo tantissimi rifugiati e una larga parte della popolazione, che in queste ore sta vivendo momenti drammatici, con dispositivi repressivi di massa, licenziamenti e arresti di migliaia di persone. I bus della polizia hanno sbarrato la strada al corteo, che ha deciso di proseguire e rientrare all’università.

{igallery id=2747|cid=119|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0}

Per domani è prevista l’ultima mobilitazione: alla frontiera greco-turca, verso il muro di Evros.

Foto di copertina, scattata da Genti Guri