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«In Nigeria morire uccisi dalla polizia è diventato normale». Proteste contro la Sars

Da settimane ormai in Nigeria continuano le proteste contro la brutalità della polizia: nate spontaneamente, queste manifestazioni sembravano aver mosso la classe politica a prendere provvedimenti, ma negli ultimi giorni il livello dello scontro è aumentato visti anche gli interventi militari che hanno lasciato oltre cinquanta vittime sull’asfalto

«È una protesta che va oltre la sola brutalità della polizia: i giovani della Nigeria vogliono una riforma totale del sistema di governo». A parlare è Olawale Williams, rifugiato nigeriano residente in Italia, a Padova: «Tutti i giovani in Nigeria si sono riuniti per fare queste richieste, senza lasciare indietro nessuno. Dagli stati del sud, del nord-est e dell’ovest, tutta la Nigeria si è riunita per chiedere la fine della brutalità dell’unità Special Anti-Robbery Squad (Sars) e della polizia in generale. I giovani nigeriani non possono vestirsi bene, possedere un’auto costosa o usare un i-phone, avere tatuaggi o dreadlocks perché la polizia li etichetterà come ladri e criminali per poi procedere con violenze, estorsioni o addirittura l’omicidio. Morire per mano della polizia è diventata una cosa normale in Nigeria: le persone che dovrebbero proteggerci sono quelle che ci stanno uccidendo».

 

Le proteste sono iniziate giovedì 8 ottobre e, dalla capitale Abuja, si sono espanse in quasi tutto il paese africano, già colpito da una crisi politica e sociale che continua da anni. Gli stati del nord della Nigeria sono, infatti, ancora coinvolti nella lotta al gruppo islamico fondamentalista Boko Haram, mentre la corruzione dilaga in tutto su tutto il territorio.

 

La Sars rappresenta solamente il caso più eclatante di una brutalità generalizzata e pervasiva da parte delle forze dell’ordine: secondo Amnesty International, che monitora le attività della sezione speciale già da anni, sono almeno ottantadue i casi riportati di tortura, trattamento ingiusto ed esecuzioni extragiudiziale. Le vittime sono soprattutto giovani tra i diciotto e i trentacinque anni.

Già nel 2017 si erano verificate numerose manifestazioni contro la Sars: è in quel periodo che su Twitter emerge per la prima volta l’hashtag #EndSARS. La protesta, grazie anche a una petizione lanciata dall’attivista Segun Awosanya e sostenuta da migliaia di firme, era arrivata fino ai palazzi del potere di Abuja. Nonostante la presa di posizione dell’allora Ispettore Generale della Polizia Ibrahim Idris, che aveva promesso una riorganizzazione dell’unità speciale e maggior professionalità ed efficienza, le richieste della società civile erano rimaste perlopiù inascoltate. Recentemente è stato il video dell’omicidio a sangue freddo di un ragazzo a far riemergere la protesta. «Le persone si sono lamentate spesso negli ultimi anni, ma dal 2016 al 2020 il tasso di uccisioni di giovani è aumentato. Il governo aveva detto di aver vietato le operazioni della Sars, invece continuano a lavorare e a uccidere persone. Ecco perché i giovani chiedono con sempre più insistenza la fine della Sars», racconta Williams.

Dopo la prima settimana di proteste il governo nigeriano, nella persona del presidente Buhari, eletto per il secondo mandato a maggio 2015 (dopo aver rivestito, tra il 1983 e il 1985, la carica di Presidente del Consiglio Militare Supremo in seguito al colpo di stato che aveva destituito Shehu Shagari, eletto democraticamente), sembrava aver accettato le richieste dei manifestanti. La mobilitazione popolare è però continuata.

 

Ci spiega sempre Williams: «La protesta va al di là della brutalità della polizia. Abbiamo molte richieste: strade, acqua, elettricità e soprattutto sicurezza. Niente funziona in Nigeria. Il governo però non si è sentito a suo agio di fronte a queste richieste, ecco perché ha mandato i militari a massacrare i giovani che stanno manifestando pacificamente».

 

Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre la polizia ha iniziato ad aprire il fuoco sui manifestanti e a oggi si contano quasi cinquanta vittime, sostiene Sahara Reports. Nel frattempo le mobilitazioni hanno assunto una dimensione internazionale. Sin dai primi giorni la comunità nigeriana in diaspora ha offerto il proprio sostegno ai connazionali in terra natia: a Londra migliaia di persone hanno manifestato davanti all’ambasciata nigeriana a Westminster, supportati anche da star della musica come Wizkid e Davido. In Italia invece i riflettori si sono accesi sulle proteste in Nigeria dopo che alcuni calciatori di Serie A hanno espresso, con le proprie esultanze, solidarietà ai manifestanti: si tratta di Victor Osimhen del Napoli e di Simy Nwankwo del Crotone, entrambi a segno nell’ultima giornata di campionato. Lunedì si è tenuto poi un presidio, rispettoso di tutte le regole di distanziamento sociale necessarie per la Covid-19, sotto l’ambasciata nel Rione Prati.

«Ci siamo sentiti in dovere di unire le nostre forze alle sorelle e ai fratelli a casa», ci ha detto uno dei manifestanti. «Chiediamo, in modo pacifico, giustizia e riforme sistemiche. Conosciamo fin troppo bene la brutalità della polizia in Nigeria: la popolazione è stanca e ha deciso di scendere in piazza. È una protesta spontanea: senza nessuna organizzazione o leader dietro. È un movimento collettivo del popolo. Sono usciti in piazza a manifestare pacificamente. Noi, anche se stiamo in Italia o in altri stati, siamo comunque nigeriani: ovunque uno si trovi, c’è bisogno della sua partecipazione. Infatti sta succedendo un po’ dappertutto».

 

Immagine di copertina di Kaizenify da commons.wikimedia.com