ITALIA

Nel Cpr di Torino, oltre a freddo e cure mediche insufficienti, anche il divieto di portare solidarietà ai reclusi

Attivistə torinesə denunciano le scarse condizioni igieniche e le poche tutele per le e i reclusə nel Cpr di via Brunelleschi: organizzato per sabato 06 febbraio un presidio di solidarietà

 Il freddo è una costante nei lunghi inverni torinesi e non fa certo eccezione il Deportation Camp di Brunelleschi: un non luogo nato 15 anni fa nel mezzo di un quartiere residenziale torinese, circondato da alte mura color calcestruzzo, affiancato da caserme di ogni genere di corpo e da palazzi di dieci piani riservati alla classe media .Chi viene recluso nei Centri per il rimpatrio (Cpr) ha generalmente con sé pochi indumenti, perlopiù inadatti alle temperature invernali, e Gepsa, l’ente gestore che si occupa di «fornire i servizi» alle persone recluse nel Cpr di Torino, si guarda bene dal fornire sufficienti ricambi per non sforare il budget.

 

D’altronde Gepsa, come tutte le aziende private che investono nel settore della detenzione, ha come unico obiettivo quello di ricavare introiti fornendo il servizio minimo, facendo affari sulla vita delle persone detenute.

 

Il Cpr di Torino è stato al centro delle polemiche nel luglio del 2019 a seguito della morte di Faisal Husseini, un ragazzo bengalese morto in isolamento sanitario. Una scomparsa avvenuta in circostanze mai chiarite, complice il celere rimpatrio dei testimoni che denunciavano condizioni da abbandono sanitario da parte di medici, forze dell’ordine ed ente gestore.

Le proteste di attivisti e attiviste, unite alle polemiche scaturite dalla morte di Faisal Husseini, hanno acceso per un breve lasso di tempo i riflettori sulla struttura detentiva, scatenando passerelle di consiglieri regionali, la visita della Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale del capoluogo piemontese Maria Elena Gallo e la sostituzione dei medici assunti da Gepsa con dottori che si sono prestati volontariamente ad una sorta di «monitoraggio sanitario attivo» all’interno del Cpr.

 

Dottori che a loro volta sono stati assunti dall’ente gestore, perdendo in men che non si dica l’indipendenza e la possibilità di fare denuncia dall’interno.

 

Oggi infatti, stando alle testimonianze dall’interno, sono essi stessi i protagonisti di quanto sta accadendo da mesi nella struttura detentiva dal punto di vista medico.

Le voci, che con grande difficoltà riescono a superare quelle mura, lamentano l’assenza di cure mediche, denunciano il lassismo dei medici incaricati e l’indifferenza di tutto il personale gestionale e poliziesco nei confronti di casi sanitari gravi, se non gravissimi.

La continuità con la precedente gestione sanitaria è evidente, nonostante questo cambio di passo sia nato almeno a parole con i migliori propositi.

 

Sono ormai decine le testimonianze raccolte da avvocatə e reclusə che dipingono un quadro inquietante.

 

Dal rifiuto sistematico di cure e tamponi, a detenzioni autorizzate nonostante arti rotti o problemi psichici evidenti, arrivando anche ad operazioni chirurgiche svolte all’interno del Cpr, anziché in una sala operatoria di un ospedale, proprio come avviene in una zona di guerra.

Qui non siamo però in una zona di guerra, ma in un paese in cui tutti e tutte, sulla carta, dovrebbero avere accesso alla sanità pubblica ed alle cure necessarie. Risultati alla mano, è quanto mai evidente che umanizzare una struttura come il Cpr non rientri nel campo delle possibilità.

L’unica opzione di cambiamento reale per una struttura detentiva come i Centri per il rimpatrio è la loro totale e definitiva chiusura.

Proprio le condizioni denunciate da reclusi e avvocati hanno portato il collettivo Mai più lager – Mai più Cpr, realtà composta da diversi spazi sociali torinesi, a lanciare una raccolta di coperte ed abiti pesanti destinati ai reclusi.

L’idea nasce dalla reale necessità espressa da chi è rinchiuso in quelle infami mura e dagli/dalle avvocatə che quelle mura le varcano per lavoro.

Mercoledì scorso però, quando alcune attiviste del collettivo sono andate a portare il frutto della raccolta solidale al Centro per il Rimpatrio, sono state rimbalzate all’ingresso da un incaricato dell’ente gestore per la presunta violazione di ipotetiche procedure mai adottate le scorse consegne solidali, comprese procedure sanitarie di cui neanche gli avvocati degli stessi reclusi sanno stabilire la veridicità. Questo perché le regole del funzionamento del Cpr vengono stabilite in maniera totalmente discrezionale da Gepsa e forze dell’ordine.

L’episodio non ha scoraggiato attivisti e solidali, che per questo sabato hanno indetto un presidio con l’obbiettivo di far entrare oltre mura e cancelli la solidarietà che in tanti e tante hanno espresso regalando coperte, maglioni e felpe.

 

 

Di seguito il comunicato del collettivo Mai più lager – Mai più Cpr.

 

MENZOGNE SU MENZOGNE. INGIUSTIZIE SU INGIUSTIZIE

Denuncia di quanto accaduto mercoledì 17/02 al Cpr di Corso Brunelleschi.

Dopo le svariate testimonianze sul freddo che attanaglia i reclusi del Cpr e sull’insufficiente fornitura di abiti adeguati alle temperature invernali, abbiamo organizzato una raccolta vestiti e coperte da destinare alle persone rinchiuse in corso nella struttura detentiva di Brunelleschi.

Ci vediamo però costretti e costrette a denunciare l’ennesima ingiustizia inflitta ai reclusi: infatti mercoledì 17, quando abbiamo provato a consegnare il risultato della solidarietà di molte e molti, abbiamo ricevuto un rifiuto giustificato da molteplici ragioni assolutamente incongruenti con la realtà dei fatti, dimostrando ancora una volta la totale discrezionalità del regolamento con cui Gepsa e forze dell’ordine gestiscono quel luogo di detenzione.

La prima motivazione fornitaci riguardava l’esigenza di consegnare i pacchi ad una precisa persona di cui avremmo dovuto dare il nominativo; già in passato abbiamo consegnato dei pacchi contenenti generi alimentari e mai ci è stato chiesto di indirizzarli ad una precisa persona.

In secondo luogo ci è stato detto che il gestore non si voleva assumere la responsabilità della consegna e che le persone trattenute «hanno fin troppi vestiti».

L’ultima scusa riguarda il Covid: i vestiti devono essere sterilizzati con certificato. In uno spazio in cui non vengono attuate le norme di protezione dall’epidemia, all’improvviso il Covid diventa un problema.

 

Nonostante tutto noi non ci perdiamo d’animo. Riproveremo ancora a portare dentro l’infame centro la nostra solidarietà.

 

Ci vediamo sabato, tutte e tutti insieme, sotto le mura del lager di Corso Brunelleschi per protestare, urlare il nostro dissenso e ritentare la consegna della raccolta solidale.
Mai più lager! Mai più Cpr!