ITALIA

Naufragi di Stato

Così un’inchiesta giornalistica ha fatto riaprire il processo a carico della Marina e della Guardia Costiera per il “naufragio dei bambini” dell’11 aprile 2013

C’è un’inchiesta giornalistica che ha avuto l’effetto detonatore di far riaprire un processo contro gli alti vertici di due corpi militari italiani, due ufficiali della marina militare e della guardia costiera, accusati d’omissione di atti di ufficio e omicidio colposo. È di Fabrizio Gatti, giornalista de “L’Espresso”, infatti, il merito se alcuni magistrati della procura di Roma vogliono vederci chiaro su una vicenda drammatica accaduta l’11 ottobre 2013, quando 268 persone in fuga dalla Siria persero la vita in un naufragio, episodio che sarà ricordato per sempre dalla storia come il naufragio dei bambini, dal titolo proprio dell’inchiesta del settimanale “L’Espresso. Nonostante pendano le richieste di archiviazione già avanzate da due procure, di Palermo, e quella di Roma, si sta svolgendo davanti al giudice per le udienze preliminari (Gup) di Roma, Bernadette Nicotra, il giudizio a carico di Leopoldo Manna, comandante responsabile della sala operativa della Guardia Costiera, e Luca Licciardi, comandante della sala operativa della squadra navale della Marina.

Le indagini erano state riaperte l’anno scorso proprio in seguito agli elementi nuovi portati dall’inchiesta giornalistica di Gatti. Il giudice per le indagini preliminari (Gip) della Procura di Roma, Giovanni Giorgianni, aveva disposto l’imputazione coattiva, motivandola con il fatto che «Leopoldo Manna è colui che alle 13.18 di quel giorno ricevette la telefonata dei migranti, indirizzandola verso le autorità maltesi, e che, nonostante una situazione di emergenza conclamata, avrebbe perso del tempo prezioso, necessario per evitare la strage in mare». Quanto all’altro indagato, il comandante della sala operativa della squadra navale della Marina, il gip scrive che: «Luca Licciardi era da considerare responsabile di quanto accaduto per aver imposto il non intervento della nave Libra, e poi, anche lui, per aver perso del tempo prezioso quando Malta aveva fatto sapere via radio di non essere in grado di intervenire». Già, perché, come ha svelato l’inchiesta giornalistica di Fabrizio Gatti, c’è una telefonata ora agli atti delle inchieste che smentisce la versione fornita dalla Marina sulla vicenda. Dura due minuti e cinquantasette minuti, e capovolge di senso, secondo il giudice di Roma che ha riaperto l’inchiesta, a questo punto, anche la versione fornita in Parlamento dall’allora ministra della Difesa Roberta Pinotti, che si era scusata altresì con i padri dei bambini morti ma che rispondendo alla Camera a una interrogazione parlamentare presentata dal Gruppo di Sinistra Italiana aveva fornito una versione dei fatti non vera. Perché, come appunto ha dimostrato il giornalista de “L’Espresso”, esistono delle telefonate, effettuate nello spazio di quattro ore l’una dall’altra, che non solo raccontano di richieste disperate di aiuto, proprio da parte di quei padri, ma che forniscono l’evidenza di un mancato, tempestivo, soccorso. In particolare, sono stati tre medici siriani che hanno perso i loro bambini in mare a presentare le prime denunce contro i corpi militari italiani che ora sono sotto inchiesta della Procura di Roma. Il 29 ottobre scorso c’è stata l’udienza preliminare, e così la Procura dovrà decidere se rinviare a giudizio (o meno) un pezzo importante delle gerarchie militari italiane, imputandole d’omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo.

Nel frattempo, del naufragio dei bambini, più in generale, dei 2278 morti nel Mar Mediterraneo nell’ultimo anno, quasi 15.000 negli ultimi quattro anni secondo le Nazioni Unite, si è discusso il 30 ottobre scorso durante la tavola rotonda Desaparecidos del Mediterraneo. Le responsabilità degli Stati, che si è tenuta a Roma all’interno del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, in viale del Castro Pretorio. L’avvocato Arturo Salerni, presidente del Comitato Verità e giustizia per i nuovi desaparecidos del Mediterraneo e difensore di familiari delle vittime del naufragio dell’11 ottobre 2013, aprendo l’incontro di Roma, ha definito cinico e irresponsabile l’atteggiamento degli Stati in riferimento al soccorso in mare e poi citato una serie di eventi che ci parlano di queste responsabilità, dal naufragio del 3 ottobre 2013 in cui morirono centinaia di eritrei a poche miglia da Lampedusa, alla campagna di criminalizzazione delle organizzazioni non governative impegnate nell’attività di ricerca e soccorso in mare, passando per il caso “Diciotti”, fino appunto al naufragio dei bambini, a proposito del quale Salerni dice «le telefonate rivelate da Fabrizio Gatti rappresentano in questo senso dei documenti agghiaccianti, che testimoniano uno scaricabarile tra la guardia costiera e i vertici della Marina, che ordinano alla Nave Libra di allontanarsi e andare a nascondersi oltre l’orizzonte, per far intervenire le motovedette Maltesi». A sostegno delle sue tesi, Salerni riferisce anche i racconti delle persone sopravvissute, come quella del medico siriano Wahid, che di figlie quel giorno in mare ne ha persi quattro, il quale chiese ripetutamente telefonicamente il soccorso già da mezzogiorno e mezzo mentre il peschereccio su cui viaggiava si capovolse qualche minuto dopo le 17.

Lo segue a ruota nella denuncia sulle responsabilità degli Stati rispetto ai naufragi, l’avvocato Stefano Greco, legale delle parti civili al processo; il quale offre una carrellata, tutta una serie di elementi giuridici in materia di diritto della navigazione e diritto internazionale del mare e racconta: «Vi segnalo che nella prima telefonata di richiesta di aiuto che viene fatta dal peschereccio, effettuata alle 12.27, vengono fornite le coordinate esatte dell’imbarcazione». E ancora, «Nella telefonata si sente dire chiaramente alle persone: siamo 300 siriani e stiamo imbarcando acqua. Le comunicazioni sono chiare». Prosegue Greco, e conclude: «la Procura di Palermo ha ricostruito, in questo senso, tutta la vicenda, mettendo a disposizione dei magistrati romani che ora hanno riaperto il caso una gran mole di testimonianze, documenti e telefonate».

Così, «il Mediterraneo, da mare storicamente usato per la comunicazione e il contatto fra culture diverse, è divenuto un limite, una frontiera, ed è importante riflettere sul nostro desiderio di chiusura», dice Mauro Palma, garante nazionale per i detenuti, anche lui intervenuto alla tavola rotonda. «L’Europa, da un insieme di arcipelaghi in continua comunicazione tra loro, sta divenendo un insieme di isole, che ergono barriere l’una contro l’altra», ha ribadito Palma, puntando l’accento sulla necessità di «concentrarsi oggi non solo sulle privazioni di libertà de iure, ma anche de facto: si pensi alla strategia dell’aver tenuto in ostaggio, nel caso della “Diciotti”, delle persone per poter avere potere negoziale al tavolo delle trattative», ha concluso Palma, che lo scorso agosto, salendo sulla nave della guardia costiera “U. Diciotti” così aveva denunciato: «Ci sono assolutamente i termini per parlare di trattenimento illegale, per sequestro di persona ci deve pensare la Procura». Ed è proprio di ieri la notizia della richiesta di archiviazione avanzata dal Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, a carico del ministro degli Interni, Matteo Salvini, per la questione della nave “Diciotti”, la nave della guardia costiera italiana che aveva a bordo 117 migranti a cui era stato impedito lo scorso agosto, per diversi giorni, lo sbarco in un porto italiano. Zuccaro era il magistrato salito alla ribalta della cronaca nell’estate del 2017 per le sue dichiarazioni in merito alle attività delle Ong impegnate nelle attività di ricerca e soccorso in mare. L’attuale procuratore di Catania, ascoltato dalla Commissione difesa del Senato aveva detto che «le Ong rispondevano a un disegno teso a sovvertire l’ordine economico e sociale italiano attraverso il massiccio afflusso di migranti, ammettendo, però, di non possedere uno straccio di prova rispetto alle sue affermazioni».