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Il Movimento Sem Terra e le sfide del presente: una conversazione con Daniel Mancio

L’attivista dei Sem Terra è anche docente di agroecologia: uno sguardo ampio alla congiuntura attuale, dalle strategie da mettere in campo a livello nazionale e internazionale fino alle responsabilità governative di quanto sta succedendo in Amazzonia

Daniel Mancio è attivista del Movimento Sem Terra e ordinario di sviluppo rurale e agroecologia presso l’Università Federale Espírito Santo. La sua vicinanza alla causa della riforma agraria e dei diritti delle popolazioni nelle aree rurali del Brasile è, oltre che ideologica, “biografica”: il padre perse il proprio terreno di lavoro durante la rivoluzione verde, in un processo di espropriazione in favore dei grandi proprietari che, fra rallentamenti e accelerazioni, va avanti ancora oggi e che anzi si sta gravemente inasprendo sotto la presidenza di Bolsonaro. Con lui proviamo a dare uno sguardo ampio alla congiuntura attuale, alle strategie da mettere in campo a livello nazionale e internazionale e, non da ultimo, alle responsabilità governative di quanto sta succedendo in Amazzonia.

 

Cosa sta cambiando per la vostra lotta, dal momento che Bolsonaro è diventato Presidente del Brasile?

Siamo in un momento molto complesso. Nell’attuale congiuntura lo sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro umano da parte del capitale si fa via via più marcato e profondo con conseguenze gravi per la classe lavoratrice e soprattutto per quanti lavorano la terra nelle aree rurali del paese, dove infatti è presente la nostra base sociale.

Bolsonaro ha iniziato una politica di privatizzazioni, che intende consegnare i beni dello stato e i beni della natura a privati. L’Amazzonia, tanto per citare un esempio sotto gli occhi di tutti, sta diventando protagonista di numerosi conflitti che riguardano il possesso della terra, delle aree boschive, del territorio in generale. Le strutture del Movimento Sem Terra (Mst), dove ci occupiamo di formazione politica e comunitaria, anche stanno subendo tentativi di smantellamento.

Perciò si fanno sempre più necessarie la lotta, la formazione, l’organizzazione ma soprattutto gli spazi internazionali di informazione e denuncia su quanto sta portando avanti il governo Bolsonaro. In questo senso l’azione del suo governo si dispiega su tre fronti principali: ideologico, militare ed economico, con le già citate privatizzazioni.

 

Una sostenitrice di Bolsonaro. Foto di Gianluigi Gurgigno.

 

Su cosa si basa il suo consenso?

Oggi il consenso a Bolsonaro si aggira attorno al 25-30% e, a grandi linee, possiamo dire che è costituito da due tipi di classi sociali. Nelle aree rurali e nelle città, esiste un insieme di cittadini e forze politiche che lo appoggiano anche perché la sua figura copre un “vuoto”: nel nostro paese manca una borghesia nazionale che sia capace di portare avanti un effettivo sviluppo economico. Tutte queste persone, comunque, sono liberiste e vedono di buon occhio le tasse di lucro e guadagno sia nelle aree rurali che nelle città.

 

L’agrobusiness allo stesso tempo è una forza molto importante sia in parlamento che nell’economia che nei mezzi di comunicazione e sono capaci di generare un conflitto molto grande contro la lotta del Mst.

 

Più nello specifico, c’è una parte di sostenitori costituita dalle persone più dogmatiche e fasciste con le quali c’è poco da fare. Un’altra parte è invece rappresentata da lavoratori legati alla Chiesa. Una fazione considerevole della Chiesa brasiliana supporta infatti Bolsonaro e, di conseguenza, trascina con sé in questo consenso anche pezzi della classe operaia che per vari motivi sono legati alle istituzioni religioso del contesto in cui vivono.

Un’altra parte ancora si trova invece fra quanti si sento convintamente anti-PT (il Partito dei Lavoratori di Lula, ndt), i quali – in assenza di alternative – hanno deciso di votare per l’attuale Presidente. Tuttavia, la tenuta del loro appoggio non è scontata: la politica economica portata avanti dal governo finirà per danneggiare anche loro. Uno dei nostri compiti è appunto quello di convincere, attraverso la nostra lotta, tale fazione a entrare a far parte del nostro progetto politico.

 

Esistono dei focolai di resistenza? Tu sei attivo anche nel contesto universitario e accademico che ha portato avanti alcune proteste…

Lo smantellamento dello stato democratico e dello stato di diritto in Brasile è un processo molto rapido, che si dispiega su tutti i fronti: educazione, salute, riforma agraria… Nel campo dell’educazione e dell’università, in cui sono attivo, si stanno verificando tagli molto cospicui per ciò che riguarda le strutture pubbliche, che hanno come conseguenza una sempre più crescente precarizzazione del corpo docente, del personale tecnico e amministrativo e anche degli studenti.

 

Proprio in questi giorni, dal 2 al 4 di ottobre, è stato portato avanti un blocco delle università, rivendicando la richiesta di un’educazione pubblica, gratuita e popolare. Oltre ai tagli, il governo porta avanti però anche una forte persecuzione di stampo ideologico verso professori e maestri, che presentano punti di vista dissidenti.

 

Molti docenti sono stati arrestati, sulla base di accuse di poco conto, così come è avvenuta la chiusura di scuole e centri di formazione attivi nelle aree rurali, con il conseguente trasferimento forzato degli studenti nelle città. È chiaro che per noi si tratta di un fatto gravissimo e pesante, dal momento che ci impedisce di costruire un’educazione che possa riflettere la nostra prospettiva di pedagogia popolare.

 

 

Come invertire dunque questo processo repressivo?

La nostra lotta si pone obiettivi che vanno al di là della terra e della riforma agraria, è una lotta per un cambiamento totale della società. Diventa perciò di vitale importanza che il maggior numero di persone possibile si avvicini alla nostra causa. A tal fine, è nostro compito costruire un progetto di trasformazione sociale che – a partire dal contesto rurale – sappia coinvolgere la classe lavoratrice anche delle città, che sappia coinvolgere gli studenti, l’appoggio dei quali è fondamentale.

 

Molti dei nostri dirigenti tra l’altro non provengono da contesti rurali e anzi sono ben radicati in quelli urbani, dove svolgono compiti di organizzazione della lotta per le strade della città.

 

Lo scopo, più ampio, è proprio quello di unire e “agglutinare” parte della sinistra non solo brasiliana attorno al nostro progetto di trasformazione rivoluzionaria. E va specificato che questo progetto non “appartiene” al Mst bensì alla classe lavoratrice e, pertanto, la sua costruzione è un processo aperto e in fieri.

Il coinvolgimento delle aree urbane è cruciale: soprattutto, per il futuro sarà dirimente la nostra capacità di mobilitare studenti e lavoratori dei grandi centri del paese, da San Paolo a Belo Horizonte. Siamo dunque aperti a un continuo scambio e a una continua collaborazione con le lotte della classe operaia urbana: pensiamo che siano parte della stessa catena di trasformazione totale e rivoluzionaria della società.

 

In tal senso, quanto è importante l’appoggio internazionale?

L’internazionalismo rappresenta uno dei valori fondamentali della classe operaia. Negli ultimi 15 anni gli equilibri di forze nel continente sono completamente mutati. Dopo aver conosciuto un periodo molto vantaggioso dal punto di vista dei lavoratori e dal punto di vista di una prospettiva progressista, ora assistiamo a un’ondata di governi di destra e fascisti che si estende a moltissimi paesi dell’America Latina.

Per noi è dunque fondamentale rinforzare le nostre “brigate di supporto e lotta internazionali” nel contesto latino-americano ma non solo. In questo senso, cruciale sarà anche la nostra capacità e la capacità di chi è complice con noi dall’esterno di portare avanti un’operazione di informazione e denuncia verso l’opinione pubblica.

 

Foto di Nacho Yuchark

 

A proposito di informazione, i media hanno parlato molto degli incendi in Amazzonia…

Non si tratta di una “tragedia ambientale”, come tanti hanno ripetuto. Al contrario, l’Amazzonia è vittima di una serie di crimini di natura ambientale perpetrati su larga scala, che rappresentano un tentativo del capitale di aumentare i propri spazi di profitto. Si sta tentando cioè di estendere le occasioni di guadagno e di sfruttamento attraverso il controllo e l’estrazione di valore da due fondamentali risorse: la natura e il lavoro umano.

 

In particolare, l’Amazzonia rappresenta una straordinaria fonte di guadagno per i capitalisti. È un territorio vergine, in cui lo sfruttamento delle risorse naturali può essere esercitato praticamente senza limiti.

 

E, infatti, i politici di destra, membri della bancada ruralista e dell’agrobusiness ma anche esponenti del governo precedente (come il Ministro dell’Agricoltura della presidenza Temer, per esempio) possiedono milioni e milioni di ettari della foresta amazzonica. Dal loro punto di vista, l’Amazzonia pone due principali problemi: i boschi e gli alberi ostacolano lo sviluppo capitalista mentre l’ambiguo status giuridico dell’area impedisce ancora di portare avanti uno sfruttamento in piena regola. Ecco perché il blocco capitalista ha aperto due fronti di battaglia: da una parte contro la natura in se stessa e dall’altra contro i popoli che abitano nella zona.

Attraverso la regolarizzazione giuridica della proprietà terriera e attraverso la rapida devastazione dei boschi e delle aree vergini in Amazzonia, si vogliono dunque espellere le popolazioni che vivono nella foresta. È una guerra combattuta tanto su un piano legale quanto con i mezzi della coercizione fisica e militare.

Gli incendi degli ultimi tempi – che hanno riempito le prime pagine dei quotidiani nazionali – sono direttamente provocati dal Presidente Bolsonaro e dal suo Ministro dell’Ambiente. Si tratta di una logica molto chiara: si crea un problema, si espellono le popolazioni dopodiché si applica la privatizzazione e la finanziarizzazione della zona presentandole come soluzione al problema (che il governo stesso ha creato). Se non si ferma questo piano criminale, continueranno anche gli incendi.

 

Anche sulla scorta di simili questioni, sono nati e si stanno diffondendo movimenti come il Climate Strike o Extinction Rebellion. Che opinione ti sei fatto?

Concordo, come dicono in molti, che si tratti di movimenti costituiti e portati avanti da gruppi della società in larga parte “borghesi”, che noi del Mst fatichiamo a sentire come vicini e solidali e che, credo, stentino a comprendere i nostri obiettivi e le nostre modalità di lotta. Tuttavia, in un momento come quello attuale, penso che si tratti di un fenomeno comunque importante e positivo. È vero, è una protesta che si concentra più sugli effetti, sull’apparenza del problema del cambiamento climatico e non sulle cause, sulla sostanza. Ma sono fiducioso che, se andrà avanti, le contraddizioni della protesta esploderanno e dobbiamo essere pronti a inserirci dentro tali contraddizioni con la nostra visione.

A ogni modo, ora come ora, il fatto che esista questo tipo di mobilitazione per l’ambiente che coinvolge anche la piccola borghesia costituisce una possibilità di ampliamento della lotta, una sorta di serbatoio di “energia sociale” che potrà essere meglio indirizzata in seguito.

 

Foto di copertina: Media Ninja