ITALIA

Mediterranea torna in mare e querela il governo: «Di fronte alla guerra, la nostra azione è ancora più importante»

Questa mattina la Mare Jonio è ripartita dal porto di Marsala. Nonostante la guerra condotta dal governo italiano contro i soccorsi in mare fatti dalle imbarcazioni della società civile – una circolare ministeriale in cui si accusa la nave italiana del grave reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, i ripetuti controlli e ispezioni e, da ultimo, una “diffida” dal salvataggio di persone in mare – l’imbarcazione italiana ha iniziato oggi una nuova azione di monitoraggio nel Mediterraneo centrale.

La nuova missione si inscrive in un contesto drammaticamente mutato dalla recente esplosione del conflitto militare in Libia. Una guerra, secondo Alessandra Sciurba intervenuta assieme ad altri attivisti di Mediterranea nella conferenza stampa a Montecitorio, «esito di un conflitto latente da 7 anni. Con questa Libia in guerra da sempre, noi abbiamo firmato degli accordi nel febbraio del 2017, delegando a bande di milizie armate la vita e la morte di decine di migliaia di persone».

La Mare Jonio è infatti diretta nella zona Sar un tempo competenza della Libia dove ora, a causa del conflitto, risulta completamente saltata la presenza delle autorità e delle imbarcazioni libiche.

Solo ieri sera, è giunta la segnalazione di un’imbarcazione di legno di circa 4 metri con a bordo una ventina di persone che si trovava in difficoltà. All’allarme, diffuso nel primo pomeriggio di ieri e inizialmente raccolto dalla Guardia Costiera italiana, non ha fatto seguito nessun’altra informazione. In merito a questa emergenza, sempre nella giornata di ieri, un rappresentante dell’UNHCR è intervenuto mettendo in guardia qualsiasi autorità – ed in particolare quelle italiane –  di escludere l’ipotesi che queste persone, nel caso in cui venissero tratte in salvo, possano essere riconsegnate ad un porto libico.

La Mare Jonio si sta dunque dirigendo in una zona di Mediterraneo attualmente priva di presenza navale. Secondo Beppe Caccia, intervenuto in collegamento skype dalla nave «di fronte allo stato di guerra che si registra sulla terraferma libica, è chiaro che la nostra azione di osservazione e monitoraggio è ancora più importante in questo momento che in passato».

Il nuovo contesto libico comporterà inoltre un aumento delle partenze, questa volta non solo da parte dei migranti trattenuti nei centri di detenzione ma anche dai giovani libici in fuga dalla guerra. Di fronte a questo quadro, risulta ancora più paradossale che la Mare Jonio sia stata oggetto di una diffida ad attuare operazioni di salvataggio in mare.

Alessandro Metz, armatore della Nave Jonio ha però ricordato che «nel momento in cui ci fossero delle persone in difficoltà e a rischio di annegamento nel Mediterraneo, l’armatore e il comandante della Mare Jonio mai si sottrarranno alle normative internazionale, alle leggi del mare e a quelle dell’umanità. Mai verrà dato quest’ordine alla Mare Jonio. In un paese civile, data la situazione drammatica che si sta vivendo in Libia in questo momento, invece di una diffida avremmo avuto un invito a tutte le navi presenti nel Mar Mediterraneo ad essere pronte ad intervenire in soccorso delle persone a rischio di annegamento e in fuga da una zona di guerra. Quello sarebbe stato auspicabile da parte di uno stato civile».

 

 

Ma la diffida è solo l’ultimo atto di un insieme di intimidazioni rivolte alla nave italiana. Il 15 aprile scorso, una direttiva del Ministero degli Interni accusava la missione di Mediterranea di aver commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Oggi Metz, ha annunciato di aver depositato alla Procura della Repubblica una querela per calunnia aggravata e diffamazione: «Non potevamo tacere, la direttiva contiene affermazioni false e incredibilmente gravi». «Con questa denuncia, continua Metz, noi diamo un’opportunità al Ministro Salvini: può andare ora fino in fondo e dimostrare in un processo – se decide di non scappare – se quanto affermato in quella direttiva corrisponde al vero. Ma se così non è, ne dovrà rispondere».

 

Un estratto dell’atto di querela presentato alla Procura della Repubblica