EUROPA

L’università inglese è in sciopero

Professori e ricercatori delle università inglesi si preparano ad uno sciopero di quattordici giorni contro la riforma delle pensioni, il movimento studentesco supporta lo sciopero, sperando di allargare il campo delle rivendicazioni alle tasse e contro la mercificazione dell’università

Questa settimana, ricercatori e docenti in 61 università del Regno Unito daranno vita ad uno sciopero di 14 giorni indetto dal sindacato UCU (University and College Union). Lo sciopero – il più grande della storia del sindacato – è in risposta a una riforma del sistema pensionistico dei lavoratori universitari proposto da Universities UK – l’organizzazione di rappresentanza delle maggiori istituzioni accademiche del paese. Il progetto di riforma prevede una radicale trasformazione del sistema di erogazione del fondo pensionistico complementare del settore universitario. Secondo le stime del sindacato UCU, la riforma si tradurrebbe in una perdita per ogni lavoratore fino a £10.000 (circa 11.000€) l’anno dopo la pensione, ossia del 40% del valore totale della pensione.

In un paese, il Regno Unito, con uno dei peggiori sistemi previdenziali pubblici d’Europa, più di due terzi dei lavoratori sono inseriti in fondi pensionistici privati a livello aziendale o di settore, come quello dei lavoratori accademici. Per questa ragione, in Gran Bretagna la gran parte delle lotte sindacali negli ultimi anni si è concentrata sulla difesa delle pensioni complementari contro i tentativi dei datori di lavoro di peggiorarne le condizioni.

In aggiunta a questo, la disputa sindacale si inserisce in un più ampio contesto di mercificazione dell’università, di innalzamento delle tasse universitarie e di precarizzazione delle condizioni di lavoro. Il sindacato nazionale degli studenti ha annunciato il sostegno allo sciopero, in varie università gli studenti si stanno mobilitando per unirsi ai picchetti e occupare le aule. Una tattica discussa dagli studenti è quella di pretendere dall’università un rimborso di parte delle esorbitanti tasse universitarie (più di €10.000 l’anno), una mossa per mettere pressione sulle autorità accademiche. In varie università sono in programma lezioni alternative all’aperto, durante le quali docenti e studenti si potranno confrontare e costruire insieme nuovi percorsi di lotta.

Per lavoratori e studenti, una vittoria sul tema delle pensioni costituirebbe un primo segnale di cambiamento nei rapporti di forza con il management accademico e i promotori della mercificazione dell’università. La portata ridotta della vertenza sul solo tema delle pensioni è in gran parte dettata dalle leggi anti-sindacali introdotte dal governo Thatcher negli anni ’80, per cui lo sciopero è permesso su una sola istanza e sotto condizioni estremamente restrittive. L’ambizione è che una vittoria su questa vertenza possa dare inizio ad altre lotte contro la precarizzazione del lavoro in università, il divario retributivo di genere e il blocco degli aumenti salariali. Per il movimento studentesco – che fino a oggi non si è mai ripreso completamente dalla sconfitta nella lotta del 2010/11 contro la triplicazione delle rette universitarie – questa è un’opportunità per mettere pressione sul governo per smantellare l’attuale sistema di accesso all’università e rivendicare nuovamente un’università pubblica e gratuita per tutti.