OPINIONI

Ludi quirinalizi e movimento reale

Mentre la politica italiana si perde nei giochi di palazzo per l’elezione del presidente della repubblica, soffiano venti di guerra in Ucraina e monta la protesta studentesca. Segni di una realtà che si mette in moto

Forte è la tentazione di stare zitto, di lasciar cadere le braccia. D’accordo, la scheda bianca è una tattica consolidata, quando in prima battuta ci sono maggioranze qualificate, ma la liturgia quirinalizia è francamente insopportabile, con tutto il suo corredo di trattative, incontri, candidature fasulle o provocatorie, intrighi di ristorante e whatsapp. Per non parlare della sceneggiata semi-maschialfista e semi-ospedaliera di Berlusconi e delle commedie covidiche dei positivi. Il tutto spiattellato in insulse maratone-mentana e retroscena dalla durata di 10 secondi.

Intanto l’inflazione scavalla la soglia del 4-5%, le bollette vanno alle stelle, i licenziamenti non si fermano e le borse risentono pesantemente della situazione internazionale.

La curva pandemica si appiattisce, ma i morti crescono intorno a quota 400 – certo, l’ultimo dato a calare, ci sono sempre i 50 pregressi siciliani e poi chi se ne frega se muoiono no-vax e pluripatologici vaccinati.

Intanto in Ukraina soffiano venti di guerra ed entrambi i contendenti hanno solide ragioni per mostrare i muscoli: Putin per non perdere la faccia, Biden per contenere le perdite nelle elezioni di mid-term – la classica situazione in un conflitto può esplodere anche se nessuno lo vuole. Prima conseguenza, non ci arriverà il gas per la stagione invernale, tempo di gelo e blackout.

Ma da noi continuano le grandi manovre. Unico contraccolpo il veto (da sinistra, of course) alla candidatura del maestro di sci Frattini…, perché troppo filo-russo e poco atlantista!

La reazione a tanta insipienza e vuotaggine politica è tendenzialmente disperante, il mutismo appunto e l’imbarazzante previsione che, tanto se alla fine dei giochi uscirà distrutto Draghi, tanto se tutti alla fine saranno costretti ad appellarsi a Draghi, il sistema democratico italiana sarà gravemente leso.

Perché allora provare a rompere il mutismo, a dire qualcosa? Esiste forse uno spiraglio di speranza, un barlume di vita all’orizzonte?

Sì, esiste. Non a Montecitorio, non sui confini ukraini, non negli organismi europei, non nel ceto politico di sinistra, centro, destra.

Qualcosa – ancora molto poco, poco chiassoso, poco numeroso – possiamo intravederlo dove sempre si sono manifestate proteste e resistenze, cioè dove ha persistito un po’ di vita nel degrado dilagante della politica istituzionale, partitica e nel conformismo dell’informazione. Chi, per lunga esperienza, è più affaticato può però decifrare piccoli segni di movimento sotto le nebbie maleodoranti della palude, segni che ha visto crescere in passato e che potrebbero ritornare – sempre che non si tratti di wishful thinking, come pure è possibile.

(dalla pagina Facebook di Lupa-Scuole in lotta)

Non parliamo del reale, che pure conta – come abbiamo detto, inflazione, bollette, pericoli di guerra – ma del reale che si muove ovvero della protesta studentesca che è montata con le occupazioni scolastiche di Roma, Milano, Bologna e che è stata potentemente rilanciata dalla tragica morte di Lorenzo Perelli durante un apprendistato a Udine.

La manifestazione al Pantheon e poi al Miur, duramente caricata dalla polizia, e la convocazione per il 28 gennaio di iniziative di piazza in tutta Italia – con la significativa adesione della Fiom-Cgil – sono un salto in avanti del grado di coscienza e di organizzazione di forze ancora disperse e minoritarie ma in rapida aggregazione.

Una mobilitazione che va a toccare un punto decisivo delle riforme neoliberali – la malfamata “Buona Scuola” di Renzi, erede produttivistica esplicita dell’altrettanto nefasta riforma Gelmini che aveva scatenato l’Onda nel 2007-2008.

L’alternanza scuola-lavoro nelle sue varie forme è il rovesciamento simmetrico dell’unità fra lavoro intellettuale e manuale auspicata dai movimenti “sovversivi” negli anni ’60-’70 contro la divisione tecnica e sociale taylorista e fordista, è l’esatto inverso di quanto fu realizzato con le 150 ore, sancite con il contratto metalmeccanici del 1973, che assegnava un monte-ore retribuito agli operai per studiare, mentre adesso si reclutano gli studenti per stages in fabbrica non retribuiti, senza funzioni didattiche e con la medesima esposizione al rischio dei normali operai (ed è bello che la Fiom se ne sia ricordata).

Mentre gli incidenti sul lavoro non fanno più notizia, stavolta il clamore è stato notevole proprio per la paradossalità di una prestazione rischiosa neppure pagata e fuori dell’ordinario addestramento professionale.

Inoltre gli stages studenteschi sono la stessa cosa degli stages gratuiti o semi-gratuiti che sempre più si vanno diffondendo nel lavoro industriale e nei servizi, sostituendo l’apprendistato legale e contribuendo quanto il caporalato e i subappalti all’universale precarizzazione e informalizzazione del lavoro – il motore della “ripresa” e “resilienza” in èra pandemica e post-pandemica.

Per questo tali segnali di resistenza sono importanti per dissestare la logica del lavoro precario e per riavviare la protesta di una generazione che è stata massacrata dall’uso neoliberale della pandemia nei luoghi di studio e di lavoro, nella socialità scolastica e nelle prospettive occupazionali. Se questo movimento terrà e si intreccerà alle lotte operaie contro licenziamenti e delocalizzazioni, il reale farà irruzione negli schemi asfittici della politica e nel torpore sociale. Di qui e non dal ceto politico di sinistra (in tutte le sfumature) verranno nuove idee e nuovi militanti, come stanno dimostrando anche altre lotte – dai movimenti ecologisti a Non Una di Meno – che definiscono una nuova agenda per il futuro. Un futuro che stentiamo davvero a scorgere in Draghi, Casellati, Casini e zombi assortiti.

Immagine di copertina da commons.wikimedia.org