MONDO

Legherin: Il silenzio e la morte in Rojava

Dal Nord della Siria ci è giunta la notizia della caduta di Legherin, compagna coraggiosa, in prima linea nella ricostruzione di un sistema sanitario in Rojava

Pochi giorni fa i media indipendenti raccontavano dell’occupazione turca di Afrin. La bandiera turca sul municipio della città è un simbolo di questa occupazione ed aggressione militare, che solo i media italiani non vedono. E non sentono neanche il rumore delle bombe che da 45 giorni cadono sulla provincia di Afrin. Giorni fa è stato bombardato l’ospedale. Migliaia i civili morti, fuggiti, perseguitati in questi giorni. Il silenzio complice prevale.

Il 17 marzo è morta una compagna. Si chiama Legherin ed era una delle responsabili della salute pubblica per l’amministrazione autonoma del Rojava. Il vero nome era Alina Sanchez, compagna e medico argentino. E lavorava ogni giorno per costruire un sistema gratuito, universalista, con una rete di centri sanitari di base che lavorassero sulla prevenzione. Come ci hanno insegnato per anni i medici democratici italiani che lottavano per difendere il sistema pubblico. Legherin non era una sognatrice. Attraversava in lungo ed in largo il Rojava per far sì che tutti gli interventi sanitari non fossero occasionali, magari frutto delle infinite emergenze umanitarie, ma parte di un pensiero di vita e società comune. Legherin era una giovane donna coraggiosa che era partita dall’altra parte del mondo recuperando la sua radice kurda per metterla a disposizione di un’utopia. L’utopia che manca alle Ong, alla società occidentale ed a molti di quelli che stanno intervenendo con progetti vari di emergenza in Rojava. L’utopia persa tra i vari imperialismi che giocano con la vita dei siriani da 7 anni.

Legherin passava le sue serate con alcuni medici internazionali che operano in Siria per disegnare il piano sanitario del Rojava. Perché le era chiaro che oltre l’emergenza bisognava pensare alla vita materiale delle persone. Alla loro speranza di avere una vita normale in un territorio attraversato da anni di guerre. Due parole invece hanno raccontato la sua fine. “Legherin è caduta”, con la compostezza e le lacrime asciutte che solo chi combatte sempre può avere.

Ma appunto la lotta in Siria non è finita. Ci sono donne e uomini che hanno dedicato la vita all’utopia di liberarla da dittatori ed ingiustizie. Ma è evidente che siamo di fronte a molteplici tradimenti. Il primo è quello di Damasco che ha assistito con i russi alla presa di una parte del suo territorio da parte di uno stato confinante. Forse il regime pensa che indebolire i kurdi sia un suo punto di forza. Ed invece perde un’altra parte del suo territorio. Ma a decisione è dei russi, che hanno ritirato le loro truppe dal confine prima dell’attacco turco. Il regime obbedisce ai suoi mandanti internazionali e può sacrificare migliaia di suoi cittadini, come ha sempre fatto. Poi c’è il tradimento della coalizione internazionale contro Daesh. Che ha usato fino a ieri i kurdi ed i loro alleati arabi delle Syrian defence forces (SDF) per combattere il mostro. Siriani carne da cannone contro Daesh. E poi al primo sussulto dei turchi sono stati abbandonati al loro destino. Alleati sacrificabili in ogni momento. Infine c’è il tradimento di tutti coloro, ONU in testa, che pensano di poter usare il Rojava a singhiozzo. Quando gli fa comodo aprono i rubinetti degli aiuti. Quando sono spaventati da Damasco o dalla Turchia li chiudono, abbandonando centinaia di migliaia di persone al loro destino.

E poi c’è la congiura del silenzio. A cui assistiamo da anni per la Siria. E per lo Yemen sotto attacco con armi italiane dall’Arabia Saudita. Nessuno racconta la strage di Afrin. Pochi l’assedio della Ghouta. Nei giorni scorsi notizie non confermate raccontavano di 1200 dollari chiesti ad ogni famiglia che voleva uscire attraverso le linee nemiche dall’assedio del regime. L’Onu è morta e non riesce a garantire la protezione dei civili. Il diritto internazionale umanitario è assente. Afrin ha visto la morte di centinaia di civili in pochi giorni e nessuno ha detto nulla. Neanche durante il bombardamento dei centri delle Mezza Luna Rossa Kurda o dell’ospedale civile della città. Neanche quando un convoglio umanitario del Comitato Internazionale della Croce Rossa è stato attaccato. Ed ogni giorno dal confine turco si spara su civili in Rojava, non solo ad Afrin ma lungo tutto il confine.

Gli affari con la Turchia, di cui l’Italia è uno dei principali partner commerciali, non permettono critiche. Ma il tradimento dei kurdi e dei loro alleati, unico baluardo a Daesh, non porta pace nell’area. E loro sono come i protagonisti del Partigiano Johnny. Non si arrendono, da decenni. Ed hanno coraggio da vendere come la nostra compagna Legherin. Never give up.