editoriale

Lampedusa non ha nazione. L’Europa meticcia in piazza

18 Dicembre. Le immagini del lager di Lampedusa fanno il giro del mondo. Le istituzioni rispolverano ipocrisia e lacrime di coccodrillo, i cosiddetti “forconi” e i tricolori riuniscono la parata dell’egoismo nazionale. Le piazze dell’Europa meticcia invece vogliono uscire dall’austerity senza frontiere. A Roma appuntamento ore 16.30 a Piazzale Esquilino

È il 18 dicembre e le immagini di Lampedusa stanno facendo di nuovo il giro del mondo. A soli 2 mesi dalla strage di migranti del 3 ottobre, la più grave del XXI secolo nel Mediterraneo, ancora una vergogna per l’Italia. Su quotidiani, siti e telegiornali rimbalzano le immagini di alcuni dei superstiti ai naufragi umiliati e vessati all’interno del Centro di detenzione dell’isola. Commentatori, parlamentari, ministri gridano allo scandalo. Ma di cosa si scandalizzano? Questa è la condizione diffusa a cui sono costretti i migranti nei centri di identificazione e espulsione (chiamati in alcuni casi di accoglienza!!). Questa è la condizione dei CIE che migranti, associazioni e movimenti denunciano da anni.

Il 18 dicembre, tragica ironia della sorte, è la “Giornata internazionale per i diritti di migranti e rifugiati”. Una tra le tante date del calendario che celebra con ipocrisia e per un solo giorno i soggetti sociali che durante il resto dell’anno sono vessati e ricattati nel silenzio generale.

Sappiamo bene che il 18 dicembre è anche questo: una giornata in cui coloro che hanno trasformato il Mediterraneo in un grande cimitero, diviso le nostre società per produrre nuove gerarchie e guerre tra poveri, stabilito che esistono persone illegali, prenderanno parola per mettere in mostra il loro finto lato umano, per dirsi capaci di comprendere le disgrazie delle persone più sfortunate.
Anche per questo, crediamo sia importante riempire quello spazio con i corpi, le voci e le rivendicazioni di chi tutti i giorni lotta per affermare diritti e dignità, per riappropriarsi della libertà di movimento e del diritto di scegliere dove vivere, per dire che la società che vogliamo è meticcia e non ha frontiere. Senza vittimismi e con grande passione e determinazione.

Negli incontri di Agora99 (Roma) e della Blockupy Conference (Francoforte) numerosi collettivi meticci europei e mediterranei hanno aderito alla mobilitazione del 18 dicembre, proponendo un’alternativa dal basso e conflittuale alla classica parata istituzionale.

In Grecia diversi cortei attraverseranno le principali città per reclamare la chiusura dei campi di detenzione per migranti. Quei centri che distruggono qualsiasi forma di dignità umana, impedendo il pieno riconoscimento dell’asilo politico e della libertà di movimento a uomini e donne.

In Germania, nel “cuore della bestia”, migranti, rifugiati e cittadini europei scenderanno in piazza contro il regolamento di Dublino per rivendicare diritti politici e sociali per tutti, mobilità attraverso le frontiere interne ed esterne dell’Unione Europea, la fine del business della detenzione amministrativa dei cittadini stranieri e l’abolizione di Frontex.

Le manifestazioni in Grecia e Germania ci parlano della necessità di costruire un nuovo spazio europeo, non più segnato dagli egoismi nazionali né dalla militarizzazione delle frontiere, ma al contrario capace di garantire la libertà di movimento di tutte le persone, senza alcuna distinzione di origine o status giuridico.

In Italia ci saranno numerose mobilitazioni. A Bologna e in altre città, cortei e azioni chiederanno la chiusura definitiva di tutti i CIE. A Mineo, in Sicilia, dove si trova il CARA più grande d’Italia, migranti e attivisti denunceranno ancora come l’accoglienza sia stata trasformata in una fonte di profitto per i privati. In tutta Italia, infatti, poche cooperative, quasi sempre le stesse, prendono in appalto la gestione dei centri di accoglienza, senza applicare le tutele minime stabilite dai trattati internazionali per le persone in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni e senza garantire loro alcuna dignità.

Anche a Roma scenderemo in piazza. Quest’autunno le mobilitazioni nella nostra città sono state segnate da una straordinaria composizione meticcia. A partire dalla riappropriazione del diritto all’abitare, tantissimi migranti hanno rivendicato libertà di movimento, chiedendo l’abolizione della Bossi-Fini e di tutte le leggi razziste, contestando il reato di clandestinità e il regolamento di Dublino. Migliaia di persone hanno reclamato un’accoglienza dignitosa e capace di promuovere l’inserimento socio-lavorativo dei cittadini stranieri, l’accesso ai servizi e la tutela dei diritti politici e sociali.
Tutte tematiche che vivranno nella manifestazione del 18 dicembre e che porteremo anche a Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio, quando sull’isola associazioni e movimenti italiani, europei, mediorientali e nordafricani si incontreranno per scrivere la Carta di Lampedusa.

Le recenti vicende politiche nazionali, però, hanno impresso un segno nuovo alla giornata di migranti e rifugiati. Il 18 dicembre le manifestazioni si svolgeranno in contemporanea alla annunciata adunata dei cosiddetti “forconi”. Questa sarà quindi anche un’occasione decisiva per rompere la cappa del dibattito politico e delle cronache dei giornali delle ultime settimane: forconi, tricolori, jaguar che mirano all’egoismo nazionale per uscire dalla crisi.

Vogliamo dirlo chiaramente e senza ambiguità: la crisi continua a colpire settori sociali sempre più ampi, ma le risposte nazionaliste e corporative fomentano solo nuove guerre tra poveri. Queste retoriche populiste nulla hanno a che fare con l’urgenza generalizzata di maggiori diritti, dignità e reddito. L’Europa dell’austerity, delle banche e dei mercati finanziari impoverisce, discrimina e uccide quanto l’Europa degli stati nazionali, delle piccole patrie e dei nazionalismi.

Ormai è chiaro a tutti che nella maggior parte delle città, e soprattutto a Roma, tra i cosiddetti “forconi” hanno trovato spazio organizzazioni neofasciste e lobby corporative e padronali. Un’accoppiata che nel corso della storia si è ripetuta spesso, soprattutto nei momenti di crisi. Nonostante questa evidenza, però, non dobbiamo chiudere gli occhi sul fatto che esiste una composizione sociale fortemente impoverita e disgregata che ha visto in quella mobilitazione una possibile risposta alla crisi. A loro, ai ceti medi impoveriti e ai precari sempre più poveri, vogliamo parlare anche a partire dalla piazza del 18 dicembre.

Vogliamo dire che è interesse di tutti che in Italia e in Europa milioni di persone non siano più ricattabili, clandestini e costretti in molti casi alla schiavitù. L’abbassamento della soglia di diritti e salari a cui sono costretti i migranti è lo strumento per costringere tutti alla disoccupazione o ad accettare qualsiasi condizione di lavoro. Di questo parlano le grandi lotte dei lavoratori (in grande maggioranza migranti) del settore della logistica e del trasporto di merci. Di questo parlano le prime proteste dei migranti che continuano a pagare tasse, versano o accumulano contributi INPS di pensioni e welfare che non vedranno mai. Nella crisi dobbiamo lottare insieme, italiani e migranti, attraverso inedite forme di mutualismo e di coalizione, perché alimentare l’egoismo, le divisioni sociali e il corporativismo è funzionale soltanto a perpetrare i ricatti e a renderci più deboli. Tutti quanti.

Per questo abbiamo immediatamente risposto alla provocazione della Questura di Roma, che fino a ieri vietava il corteo a causa della concomitante concentrazione dei “forconi”, affermando che non avremmo accettato restrizioni. Sotto le pressioni delle reti antirazziste e dei movimenti per il diritto all’abitare, le forze dell’ordine sono state costrette ad autorizzare la manifestazione.
Un primo risultato da sottolineare, quindi, è che oggi, al contrario di chi sarà circondato in Piazza del Popolo, la Roma meticcia sfilerà in corteo e si prenderà le strade della città. Partiremo da piazza Esquilino, a dispetto di qualsiasi presenza e retorica neofascista, e finiremo a piazza Indipendenza, vicino al palazzo occupato da centinaia di rifugiati a cui le istituzioni non hanno garantito l’accoglienza a cui hanno diritto.

Siamo convinti che le piazze del 18 dicembre non debbano essere soltanto le piazze dei migranti. Nella crisi si combatte insieme, abbiamo detto. Abbiamo una grande occasione per dimostrarlo. Invitiamo tutti i cittadini migranti e italiani, le associazioni antirazziste, gli studenti medi e universitari (caricati nei loro spazi dalla stessa polizia che davanti ai tricolori si toglieva il casco), i lavoratori precari che si organizzano insieme rifiutando le divisioni tra italiani e stranieri (come nella logistica) a partecipare al corteo e a mostrare che lotte contro l’austerity non hanno frontiere!