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La vita oltre il sé, oltre la specie, oltre la morte

Alcuni brani del libro Il Postumano di recente pubblicato da DeriveApprodi

Introduzione

Non tutti noi possiamo sostenere, con un alto grado di sicurezza, che siamo sempre stati umani, o che non siamo null’altro all’infuori di questo. Alcuni di noi non sono considerati completamente umani ora, figuriamoci nelle precedenti epoche della storia occidentale sociale, politica e scientifica. Non se per “umano” intendiamo quella creatura che ci è diventata tanto familiare a partire dall’Illuminismo e dalla sua eredità: il soggetto Cartesiano del cogito, la Kantiana comunità di esseri razionali, o, in termini più sociologici, il soggetto-cittadino, titolare di diritti, proprietario. E tuttavia questo termine gode di ampio consenso e conserva la rassicurante familiarità del luogo comune. Noi affermiamo il nostro attaccamento alla specie come se fosse un dato di fatto, un presupposto. Fino al punto di costruire attorno all’umano la nozione fondamentale di Diritto. Ma stanno davvero così le cose?

Postumanesimo: la vita oltre l’individuo

L’umano dell’umanesimo non è un ideale, nè una statica media obiettiva o un mediatore necessario. Esso enuncia piuttosto un modello sistematizzato di riconoscibilità – di Identità- grazie al quale tutti gli altri possono essere valutati, normati e assegnati a una definita posizione sociale. L’umano è una convenzione normativa, non intrinsecamente negativa, ma con un elevato potere regolamentare e dunque strumentale alle pratiche di esclusione e discriminazione. Lo standard umano rappresenta la normalità, la normazione, la normatività. Esso funziona trasponendo un particolare modo di essere umano in un modello generalizzato, che è categoricamente e qualitativamente distinto dagli altri sessualizzati, razzializzati e naturalizzati ed in opposizione agli artefatti tecnologici(…). Il mio antiumanesimo mi conduce ad avversare il soggetto unitario dell’umanesimo, comprese le sue varianti socialiste, e a sostituirlo con un soggetto più complesso e relazionale, caratterrizato principalmente dall’incarnazione, dalla sessualità, dall’affettività, dall’empatia e dal desiderio. Altrettanto centrale in questo approccio è l’intuizione appresa da Foucault circa la doppia natura del potere, inteso sia come forza restrittiva (potestas) che produttiva (potentia). Questo significa che le formazioni di potere non agiscono solo al livello materiale ma trovano anche espressioni in sistemi di rappresentazioni teoretiche e culturali, in narravative politico-normative, in modelli sociali di riconoscimento. (…) Se il potere è complesso, diffuso e produttivo, così deve essere la nostra resistenza ad esso. E una volta che questo movimento decostruttivo viene attivato, sia la nozione tradizionale di Uomo, che quella del secondo sesso, della donna, vengono messe in questione proprio in nome della loro complessità intrinseca.

Postantropocentrismo: la vita oltre le specie

La dialettica dell’alterità è il motore interno del potere umanista dell’Uomo, il quale distribuisce le differenze su una scala gerarchica come metodo per governarle. Tutti gli altri modelli di tipi corporei sono allontanati dalla posizione del soggetto, pur includendo essi alcuni altri antropomorfi: non bianchi, non maschi, non normali, non giovani, non in salute, disabili, malformati o in età avanzata. L’esclusione riguarda anche categorie ontologiche divisorie tra l’uomo e lo zoomorfo, l’organico e le altre specie. Tutti questi altri sono descritti in termini di peggioramento, sono patologizzati ed espulsi dalla normalità, sono spostati sul versante dell’anomalia, della devianza, della mostruosità e della bestialità. Questo processo è completamente antropocentrico, secondo linee di sesso e razza, in quanto sostiene ideali estetici e morali basati sulla civilizzazione europea bianca, maschilista ed eterosessuale (…).

In un’epoca in cui la filiazione naturale è sostituitia dai marchi aziendali e dai bioprodotti brevettati, gli imperativi etici di creare legami transpecie e di essere responsabili per il benessere degli “altri” rimangono forti come sempre. Ma ora abbiamo bisogno di nuove genealogie, rappresentazioni alternative, teoriche e giuridiche, di un nuovo sistema di parentela, di narrazioni che siano all’altezza di questa sfida epocale. L’universo che mi trovo a vivere come soggetto postindustriale del cosiddetto capitalismo avanzato, è caratterizzato da molta familiaritá e fin troppi punti in comune tra il posizionamento materiale e simbolico di diversi esseri umani sessuati femminili, la pecora clonata Dolly e gli oncotopi usati come cavie. Mi sento altrettanto in debito verso i membri geneticamente modificati dell’ex regno animale, che verso gli ideali umanistici che proclamano l’unicità della mia specie. Allo stesso modo, la mia posizione situata di femmina della specie mi rende strutturalmente più vicina agli organismi viventi da cui preleviamo organi e cellule senza il loro consenso, che a qualsiasi nozione astratta di inviolabilità e di integrità della specie umana.

So che ciò può apparire incosciente e avventato, ma io rimango da questa parte: dalla parte di ciò che non si identifica più con le categorie dominanti del soggetto, ma che non è ancora del tutto libera dalle gabbie dell’identità, ovvero dalla parte di ciò che è differente e continua a differenziarsi da sè, e quindi è vicina a zoe, al soggetto postantropocentrico. Questi elementi ribelli sono per me connessi alla consapevolezza femminista di cosa significa incarnare un corpo di donna. In quanto tale, io sono una lupa, un’allevatrice di molteplici cellule in tutte le direzioni; io sono un’incubatrice e un veicolo di virus vitali e letali. Io sono la madre terra, generatrice di futuro. Nell’economia politica del fallologocentrismo e dell’umanesimo antropocentrico, che predica la sovranità del Medesimo in un falso modo universalista, il mio sesso ricade sul versante dell’alterità, considerato come differenza peggiorativa, come essere meno degno. Il divenire postumano si rivolge alla mia coscienza femminista, perché il mio sesso, storicamente parlando, non ha mai del tutto preso parte all’umanità, ecco perchè la mia fedeltà a tale categoria resta negoziabile e mai data per scontata.

Conclusione

(…)

Noi stiamo divenendo soggetti etici postumani grazie alle nostre plurime capacità d’intessere relazioni di ogni sorta e modalità di comunicazione, attraverso codici che trascendono il segno linguistico eccedendolo in ogni direzione. In questo momento particolare della nostra storia collettiva, noi ignoriamo semplicemente che cosa i nostri sé incarnati, le nostre menti e i nostri corpi insieme, sono realmente in grado di fare. Per capirlo abbiamo bisogno di abbracciare un’etica fatta di sperimentazioni con le intensità. L’immaginazione etica sopravvive e prospera grazie alle soggettività postumane, nella forma della relazionalità ontologica. Un’etica sostenibile per soggetti non unitari poggia su un senso allargato d’interconnessione tra sé e gli altri, compresi gli altri non umani o della terra, da un lato attraverso la rimozione dell’ostacolo rappresentato dall’individualismo autocentrato, dall’altro attraverso la rimozione delle barriere della negatività.

In altre parole, essere postumani non significa essere indifferenti agli umani, o essere disumanizzati. Al contrario, ciò implica piuttosto un nuovo modo di combinare i valori etici con il benessere di una comunità allargata, che includa le interconnessioni territoriali e ambientali di ciascuno.

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