ITALIA

La resistenza No Tav continua

14 anni dopo la liberazione di Venaus, in migliaia manifestano in Valsusa per ribadire l’opposizione al raddoppio della linea ferroviaria

Sono passati 14 anni dall’8 dicembre del 2005, quando un corteo popolare grande e determinato, partendo da Susa decise di riprendersi i prati di Venaus, che erano stati strappati con la forza dalla polizia tre giorni prima. Il progetto iniziale della Tav Torino-Lione doveva passare proprio per quei prati. Il corteo riuscì nell’impresa, Venaus venne liberata e per altri 6 anni l’Alta Velocità ferroviaria fu ritardata, fino alla calda estate del 2011.

A oggi il raddoppio della Torino-Lione è ancora sulla carta. Un progetto datato primi anni ’90, che la determinazione di una Valle ha permesso di ritardare di quasi 30 anni. A Chiomonte c’è un tunnel geognostico concluso e un cantiere fermo da più di un anno con militari e forze dell’ordine a presidiarlo. Diversi sono i progetti per realizzare l’opera riducendone i costi (dove “ridotto” vuol dire solo lievemente inferiore alle cifre astronomiche programmate).

Anche quest’anno il movimento No Tav, tra i più longevi movimenti popolari della storia del nostro paese, ha voluto percorrere la strada da Susa a Venaus per ricordare la giornata straordinaria di 14 anni prima e ribadire in modo la propria opposizione all’opera. In 15mila hanno sfilato sfidando il freddo di una gelida giornata invernale, in un corteo composto dalle tante anime del movimento: giovani, donne, anziani, famiglie, sindaci da tutta la valle, comitati, collettivi e centri sociali.

In testa alla manifestazione un grande spezzone del collettivo Giovani No Tav, composto da ragazzi under 25, nato nel 2017 per dare voce specifica e soggettività autonoma ai tanti ragazzi e ragazze che abitano in valle e che sono nati e cresciuti all’interno di questa lotta.

«Vogliono usare i soldi pubblici di tutti noi per fare un’opera devastante. Non viviamo in una vera democrazia perché non possiamo decidere. Siamo qui oggi perché vogliamo poter decidere sul nostro futuro», dice Marta, una di loro. Un’altra manifestante racconta invece: «Sono qui perché i miei genitori mi hanno portato fin da piccola e non era neppure una scelta politica, ma esistenziale. Non c’è lotta senza libertà e senza partecipazione e non c’è libertà senza la possibilità di attraversare i territori e autodeterminarli».

Ivan, invece, non solo è dei Giovani No Tav ma fa parte anche di Fridays For Future, realtà che in Valsusa sta prendendo sempre più piede e che era presente e visibile lungo il corteo. «Le alluvioni e i disastri di quest’autunno in tutto il paese ci dicono che dobbiamo agire subito – dice Ivan – Sappiamo che la questione dei cambiamenti climatici è così complessa e articolata che non si può ridurre al problema delle grandi opere, ma sappiamo pure che queste hanno un impatto devastante sull’ambiente, sul clima e che pensare globalmente e agire localmente deve necessariamente tradursi anche nell’opposizione netta e determinata contro quest’opera. La Tav è parte di un sistema economico che ha creato il cambiamento climatico perché è un sistema che distrugge l’ambiente di tutti per il profitto di pochi. Dovremmo dimezzare le nostre emissioni di Co2 entro 2030 secondo gli accordi di Parigi, mentre quest’opera manterrà un cantiere che per il 2030 produrrà 13 milioni di tonnellate di Co2, senza contare quelle dell’impianto di raffreddamento una volta che il tunnel sarà completato. I fondi pubblici dovrebbero essere spesi per messa in sicurezza del territorio, trasporto pubblico, energie rinnovabili, non in opere come questa».

Nel corteo viene anche ricordata più volte la vicenda di Salbertrand, paese dell’alta valle dove dovrebbe essere costruita una fabbrica di conci (le volte a botte di cemento che reggono le gallerie). L’area interessata è stata da poco posta sotto sequestro perché giace su un deposito preesistente di materiale inerte con grandi quantità di amianto, derivato dai tunnel scavati per l’autostrada.

Nel corteo erano presenti anche Eddi e Jacopo che assieme a Paolo stanno ancora affrontando un duro processo a Torino che vede per loro la minaccia della sorveglianza speciale per aver supportato la causa curda in Rojava. Il 9 e 16 dicembre ci saranno le ultime due udienze del processo e il timore che la vicenda possa realmente chiudersi con una condanna sono forti. Eddi ha ricordato che «la Valsusa è stato il primo luogo dove abbiamo imparato valori come solidarietà, autogoverno, autodeterminazione, ecologia intesa come il cambiamento del modo di vita. Questi stessi valori li abbiamo potuti vivere nell’esperienza rivoluzionaria delle donne e degli uomini in Kurdistan. Lì c’è una guerra drammatica, ma noi come loro vogliamo prenderci la responsabilità dei territori in cui viviamo, per questo ci schieriamo a fianco dei compagni e delle compagne che stanno combattendo. Non c’è luogo migliore per lanciare la nostra solidarietà di questa valle».

Il corteo si conclude al tramonto con i discorsi finali nell’arena di Venaus che da 4 anni, ogni estate, ospita un festival di musica e cultura frequentato da migliaia di giovani.

Il movimento No Tav si trova davanti l’ennesimo governo favorevole all’opera, una volta venuta meno anche l’ipocrita presa di posizione del M5s. Non sarà facile opporsi quando i lavori riprenderanno e vorranno realizzare l’allargamento il cantiere di Chiomonte, che alcuni dicono sia in programma per la prossima primavera. Al tempo stesso cortei come questo dimostrano la forza e la determinazione presenti e vive dopo quasi trent’anni di lotta e danno la certezza che il movimento non si darà per vinto. Lo stato non può permettersi di far vincere il movimento No Tav perché non possono vincere i valori che questo movimento incarna, ma imporre con la violenza un’opera inutile e distruttiva non sarà semplice: la storia è ancora da scrivere.