ROMA

La prima volta che ho incontrato il Lab! Puzzle

Il Lab! Puzzle in III Municipio è sotto sgombero, questo il racconto di una ragazza che si è avvicinata pochi giorni fa chiedendo “posso dare una mano alla scuola d’italiano”.

La prima volta che ho incontrato i ragazzi di Puzzle discutevano su cosa organizzare per festeggiare il loro quinto compleanno, cioè l’anniversario del giorno in cui hanno occupato il palazzo dell’ex assessorato ai Servizi Sociali del Municipio. Un edificio in disuso ormai da anni nel quartiere Tufello.La giornata era stata una delle poche davvero fredde dell’inverno romano e loro erano lì, con una stufetta e qualche plaid, alcuni comodamente in ciabatte, a chiacchierare tra amici.

Mi sono seduta vicino alla porta, un po’ in disparte. Se si sono chiesti chi è questa e cosa ci fa qui l’hanno nascosto molto bene, perché nessuno mi ha osservato (a parte due ragazze che mi hanno sorriso carinamente), nessuno mi ha fatto sentire di troppo e soprattutto nessuno mi ha chiesto quale sia il mio orientamento politico, se sono iscritta a qualche partito, se ho votato alle ultime elezioni e se sì per chi.

Mi sento pertanto in dovere di sfatare il primo mito che spopola tra la gente riguardo i centri sociali: non devi essere comunista per farne parte!

La cosa che mi colpisce subito di questi ragazzi è il loro modo di organizzare una festa. Hanno elencato in 10 minuti almeno 10 band che avrebbero potuto suonare e 5 artisti di strada che avrebbero potuto contribuire all’intrattenimento. Nella maggior parte delle comitive (la mia inclusa) quando si fa una festa si trova una casa, ognuno porta una bottiglia e al massimo, se vogliamo esagerare, si sceglie un tema.

Invece loro no, conoscono gente che suona, che fa arte. Sono rilassati, ridono e scherzano tra di loro, ma parlano uno alla volta e ognuno espone la sua opinione. Comportamenti tanto basilari quanto ammirevoli.

È qui che decido di essere io a raccontarvi di Puzzle. Perché se ve lo dicesse uno di loro quanto sono fighi non ci credereste. Se ve lo dico io che sono la quasi trentenne media che come voi il venerdì fa una fila di mezz’ora al guardaroba del Lanificio e di sabato beve un cocktail in un bicchiere di plastica davanti al Bar della Pace magari leggete fino alla fine.

La mia prima curiosità è come nasce Puzzle.

«Puzzle nasce come studentato – mi racconta Simona – nasce per permettere a tutti coloro che vogliono studiare a Roma di avere un tetto sopra la testa senza dover pagare affitti esagerati, ma al lato abitativo si affiancano le attività di formazione e cultura. Dopo cinque anni si è trasformata anche la componente abitativa, molti si sono laureati e da precari continuano a vivere qui perché non trovano un lavoro stabile. Quando nel 2010 dicevamo che stavano precarizzando le nostre vite avevamo ragione e i fatti l’hanno dimostrato». Simona studia medicina e viene da Bari, ma vive al secondo piano dell’edificio di via Monte Meta, ha una stanza singola (come tutti coloro che ci abitano) e condivide gli spazi comuni con tutti gli altri. Gli spazi comuni sono la cucina, la sala da pranzo, i bagni e la sala studio. Al piano superiore c’è un terrazzo enorme e un’altra sala comune, questo piano, però, viene usato soprattutto durante la bella stagione, dato che d’inverno si gela.

Al primo piano, invece, ci sono le stanze in cui si svolgono tutte le attività di Puzzle:

– La Scuola Popolare “Carla Verbano”, che fa da sostegno pomeridiano ai ragazzi della scuola media;

– La Scuola di Fumetto e Illustrazione;

– La Scuola di Italiano per stranieri (a cui si accede senza documenti);

– Le Camere del Lavoro Autonomo e Precario (un sindacato autonomo fornito di sportello di consulenza);

– Sportello di Consulenza per i Migranti;

– Sportello per le politiche abitative giovanili (cioè consulenza a giovani lavoratori e a studenti).

Al pian terreno, invece, c’è uno spazio dedicato al co-working “PopUp!” in cui lavorano insieme due giornalisti, una ricercatrice universitaria e dei freelance della comunicazione . E ci sono anche scrivanie libere!

A farmi da Cicerone nell’edificio è Beatrice, che fa parte del gruppo ma non abita nello studentato ed è una delle volontarie che insegnano italiano agli immigrati, per agevolare l’ormai necessario processo di integrazione tra culture che, come si sa, comincia dalla lingua e al quale il Comune di Roma non ha dato ancora una soluzione risolutiva.

Più conosco questi ragazzi, più il loro modo di vivere mi affascina. È cazzutissima la scelta di vivere così intensamente la convivenza, è un modo di crescere e diventare adulti, tutto diverso dagli standard con cui la sciocca che non sono altra si confronta; è davvero una scelta coraggiosa quella di decidere come vogliamo diventare grandi e che tipo di “grandi” essere.

La mia successiva domanda sarebbe stata: «molta gente pensa che frequentare uno spazio sociale autogestito sia una fase tra adolescenza ed età adulta. Cosa ne pensi?». Ma non ho bisogno di porla a nessuno, perchè osservandoli riesco a darmi una risposta da sola. Puzzle non è una cosa da ragazzini. Per prendersi certe responsabilità ci vuole passione, altruismo e la consapevolezza che ciò che è di tutti è anche proprio e che tutti possiamo fare qualcosa per migliorarlo. Ci vuole una maturità che io per prima non so se riuscirei ad avere. Bisogna rinunciare alla palestra, all’aperitivo con le amiche o a stare in ciabatte davanti alla tv, e venire qui dopo il lavoro a darsi da fare anche se si è stanchi.

Altra domanda per Simona «Non pensi mai che stai usufruendo gratuitamente di risorse pubbliche mentre tanti studenti e lavoratori dopo aver pagato l’affitto e le spese non hanno denaro effettivo per vivere?».

«Se guardiamo solo il lato abitativo senza considerare le scuole e gli altri progetti che producono qualcosa di utile per tutti, mentre la casa riguarda la sfera privata di ciascuno, Puzzle è nato nel momento di massima espansione del mercato immobiliare, con affitti indecenti, migliaia di edifici pubblici vuoti e pochi alloggi a disposizione degli studenti nelle residenze universitarie (si parla di 2.000 alloggi per una popolazione studentesca di circa 250.000). Allora perché non dire che uno spazio vuoto e abbandonato può diventare qualcos’altro? Perché lasciare edifici al degrado quando possono rendere migliori le vite di qualcuno? E poi non abbiamo occupato solo per noi, abbiamo uno sportello pubblico in funzione a cui qualunque giovane precario si può rivolgere per prendere una stanza, tant’è che del nucleo originario degli abitanti ne è rimasto soltanto uno».

Quello che a tal proposito ci tiene a sottolineare è che «Puzzle è il frutto di un’esperienza di lotta che prova a costruire un’idea diversa di cultura, formazione e di città, ma nasce con l’idea di essere riproducibile da altri in contesti diversi come alternativa. Infatti è stato il secondo studentato in Italia seguito da esperienze simili in altre città come Pisa, Cagliari, Bologna e Torino, ma ora tutte queste esperienze sono in serio pericolo».

Simona con queste parole si riferisce a un episodio dolente che si è abbattuto da poco sulla comunità di Puzzle così come su altre comunità simili ad essa sul territorio romano. Un’ingiunzione di sgombero dai locali di proprietà del comune. L’esperienza di Puzzle insomma rischia di finire. E perché poi? Classico caso di miopia.

È solo una mia impressione o la soluzione di Puzzle potrebbe essere ottima per risolvere l’emergenza abitativa nella Capitale e per supportare gli studenti e le famiglie in difficoltà? È solo una mia impressione oppure i ragazzi di Puzzle offrono dei servizi non banali né scontati al quartiere, che il settore pubblico non dà o dà parzialmente, in maniera non accessibile a tutti?

Sono comunque in corso tentativi di instaurare tavoli di confronto politico. Il problema è l’interlocutore. In una città commissariata quante possibilità ci sono che l’amministrazione sia interessata alla dialettica politica con le parti sociali piuttosto che a far quadrare il bilancio tagliando le spese inutili, come ad esempio la cultura, rinomato passatempo per scansafatiche? Molto poche, ahimè.

Spazi sociali come quello di Puzzle sono tutelati dalla Delibera 26 approvata nel 1995 che ha riconosciuto il valore sociale di queste esperienze pur non dando loro alcun sostegno economico. Quello che manca in questa delibera sono strumenti di tutela di queste realtà.

L’unica possibilità che ha Puzzle e tutti gli altri centri sociali e associazioni culturali al momento è sensibilizzare l’opinione pubblica. Cioè noi. Che divoriamo serie tv tra una rata e l’altra dell’iPhone, sempre pronti a lamentarci che Roma fa schifo.

La differenza tra noi e loro è che i ragazzi di Puzzle non si lamentano. L’amministrazione non fa abbastanza? Bene! Si rimboccano le maniche e fanno. E il paradosso è che devono anche lottare per rendersi utili e per non perdere quell’importante concezione della città che noi tutti stiamo perdendo. E cioè che è nostra.