La penna di Iqbal

“La guerra siriana non finirà con la fine del regime. E forse il peggio deve ancora arrivare”

*Da oggi su DinamoPress ripubblicheremo i post che Gabriele Del Grande pubblica sulla pagina facebook di FortressEurope dalla Siria. Gabriele in questo momento è una delle poche voci internazionali e indipendenti che si trovano nel cuore del conflitto, che sta vivendo la guerra dalla parte della popolazione civile e assieme ad essa, per questo motivo abbiamo deciso di farci megafono delle sue parole e delle sue riflessioni.

Questa sera avrei dovuto raccontarvi della città vecchia di Aleppo, dove ho passato tutto il giorno. Dei suoi hammam secolari devastati dall’incendio che ha distrutto uno dei suq più antichi di tutto il medio oriente, delle volte di pietra distrutte dai colpi di cannone e della grande moschea degli omayadi, la più antica della città, che otto secoli dopo la sua costruzione è semidistrutta: del minareto selgiuchide dell’undicesimo secolo resta un cumulo di macerie, il colonnato e le cupole delle fontane dell’abluzione nella corte sono crivellate di colpi. E invece ho deciso di raccontarvi la storia di una penna. La penna di Iqbal.

Iqbal è un ingegnere di Idlib, ma vive ad Aleppo. L’ho incontrato su un taxi collettivo tornando a casa. Prima che cominciasse la guerra lavorava come impiegato al ministero del petrolio. Ed è sempre sceso in piazza durante le manifestazioni contro il regime del 2011, quando la parola d’ordine era ancora nonviolenza. La penna è di una sua collega. Una ragazza alawita, la minoranza a cui appartengono la famiglia Asad e i suoi uomini di fiducia, che da 40 anni governano con il pugno di ferro la Siria. Gliel’ha data prima di partire. Era l’anno scorso e gli scontri ad Aleppo erano da poco cominciati. Da allora non l’ha più vista. È fuggita a Ladhiqiyah, sulla costa, dove vive la maggior parte degli alawiti. Iqbal guarda la penna, si lascia trasportare dai ricordi per un attimo, poi mi guarda e mi dice: quando la troveranno gli taglieranno la gola.

La guerra siriana non finirà con la fine del regime. Il peggio deve ancora arrivare e sarà la feroce resa dei conti con gli alawiti. E questo è il motivo per cui Iqbal non crede più alla rivoluzione. E non è l’unico. Accanto al partito della pace, di tutta la gente comune che è stanca e basta e che è disposta a barattare la libertà con la sicurezza, cresce il partito dei pentiti. Di chi ieri era in piazza e oggi non sa più con chi stare perché teme che il paese diventi un mare di sangue. Hanno paura di parlare per non passare come traditori agli occhi dell’esercito libero e delle sue corti islamiche. Ma se insisti ti dicono che da quando il movimento per il cambiamento ha preso le armi, sono stati fatti troppi errori. E la storia dei saccheggi fatti in città dall’Esercito libero è il minimo. Quello che più lo preoccupa è il patto con le milizie dei fondamentalisti.

Iqabl non parla del look rivoluzionario dei ragazzi di Aleppo: mimetica e barba incolta che fa un po’ partigiano un po’ jihadista. Non parla dei discorsi degli imam nelle moschee il venerdì che cercano di consolare i fedeli esaltando il valore dei martiri morti in difesa della propria gente. Non parla nemmeno delle milizie dei Salafiti e dei Fratelli musulmani siriani, rispettivamente a libro paga di Arabia Saudita e Qatar e delle relative ambizioni sulla Siria. Quelle le considera armate popolari, di siriani, gente comune e islamisti moderati.

Iqbal parla del Jabhat al Nusra, il Fronte della Vittoria, e del Dawla Islamiya fi Iraq w Sham, lo Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante. Due costole dell’organizzazione internazionale di Al Qaeda, i cui combattenti, in parte stranieri, pur rappresentando ancora una piccola minoranza dell’Esercito libero, stanno facendo parlare molto di sé. Per le importanti conquiste militari ottenute grazie ai loro attentatori suicidi, ma anche per il fanatismo religioso con cui stanno governando le zone che amministrano (la città di Raqqa e alcuni villaggi nelle campagne di Idlib e Aleppo), e per la facilità con cui passano a fil di spada ogni sospetto collaboratore del regime. La guerra siriana non finirà con la fine del regime. E forse il peggio deve ancora arrivare.

Aleppo, 9.09.2013