editoriale

La legge non è uguale per tutti. Contro gli anarchici è vendetta di Stato

Il 41 bis ad Alfredo Cospito è la punta dell’iceberg dell’accanimento giudiziario contro anarchiche e anarchici. Un fenomeno sistemico, che va dalle indagini preliminari ai processi e continua dopo le condanne, che chiama in causa chiunque si batta per una trasformazione radicale dell’esistente

Uso spregiudicato dell’associazione a delinquere o sovversiva, diffusa sproporzione tra fatti e accuse, ampio ricorso al carcere preventivo anche in regime di alta sorveglianza, condanne pesantissime e, infine, il 41 bis. È con questa realtà che anarchiche e anarchici si devono confrontare nelle aule dei tribunali italiani e in misura ancora maggiore durante la fase delle indagini preliminari.

Il caso di Alfredo Cospito è la punta dell’iceberg di un fenomeno di carattere sistemico. 

Cospito è in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso. Il prigioniero si trova nel carcere di Bancali (Sassari). È stato condannato per la gambizzazione dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi avvenuta nel maggio 2012 e per due pacchi bomba nella Scuola allievi carabinieri di Fossano (Cuneo) esplosi tra il 2 e 3 giugno 2006. Per questa seconda vicenda ha ricevuto una condanna all’ergastolo ostativo perché la Cassazione, nonostante nell’attentato non ci siano stati morti né feriti, ha riqualificato il capo di imputazione da strage contro la pubblica incolumità a strage contro la sicurezza dello Stato. Si tratta del reato più grave dell’ordinamento penale italiano. Non è stato applicato nemmeno per le stragi (vere) che negli ultimi decenni hanno causato decine di morti: da piazza Fontana alla stazione di Bologna, dall’Italicus a Capaci e via d’Amelio. 

Non solo: l’ex ministra Marta Cartabia ha anche firmato, d’accordo con il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il decreto per sottoporre Cospito al regime di carcere duro: il 41 bis.  Questa disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano è stata introdotta nel 1986 dalla legge Gozzini. Il suo scopo dovrebbe essere impedire al recluso non pentito di coltivare relazioni con l’organizzazione criminale esterna. In pratica comporta l’interruzione di qualsiasi rapporto tra il detenuto e il mondo attraverso l’isolamento e il divieto di comunicare. Significa seppellire una persona da viva nei pochi metri quadrati della sua cella. 

Una disposizione ai limiti dell’incostituzionalità per cui l’Italia è stata duramente criticata a livello internazionale. Una misura che nei casi di un prigioniero anarchico, che non fa riferimento ad alcuna associazione criminale strutturata ma a un’area politica di affinità, mostra il suo carattere vendicativo. 

Contro il 41 bis a Cospito e in sostegno al suo sciopero della fame, per cui il prigioniero ha già perso oltre 20 kg, sono state organizzate manifestazioni in diverse città italiane. Il 25 ottobre è stata occupata la sede di Amnesty International, silente sull’argomento. Il 12 novembre nel quartiere romano di Trastevere si è tenuto un partecipato corteo. Scritte e manifesti di solidarietà sono comparsi da nord a sud della penisola, isole comprese. Domenica scorsa ci sono stati due blitz: a Bologna durante una messa nella chiesa del Sacro Cuore e a Roma al teatro Argentina.

«Non lasceremo morire Alfredo senza dare tutto quello che possiamo per sostenere la sua battaglia», hanno detto gli anarchici in diverse occasioni. Grazie alla loro determinazione la vicenda è diventata oggetto di dibattito anche sui media nazionali. Sono stati pubblicati articoli su “Repubblica”, “La Stampa”, “il manifesto”, “Il Riformista”, “Il Dubbio”L’1 dicembre il tribunale di sorveglianza di Roma deciderà sul reclamo contro il 41 bis avanzato dai legali della difesa, gli avvocati Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus.

La vicenda di Cospito è parte della persecuzione sistematica contro gli anarchici. L’11 ottobre scorso 20 avvocati di diverse città italiane – Bologna, Milano, Roma, Firenze, La Spezia, Napoli – hanno promosso un appello per «denunciare l’erosione delle garanzie del processo penale» nei confronti dei soggetti appartenenti o attribuiti a tale area politica. Oltre al caso di Cospito è citato quello di Juan Antonio Sorroche Fernandez condannato in primo grado a 28 anni dalla corte d’Assise di Torino con l’accusa di aver fatto esplodere due ordigni nella sede leghista di Villorba nell’agosto del 2018. Anche in questo caso: nessun morto, nessun ferito, ma massimo della pena. Nell’estate 2020 cinque militanti sono stati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di terrorismo, trascorrendo un anno nel circuito di alta sorveglianza.

I fatti loro attribuiti, con cui è stato costruito il teorema associativo, erano di carattere bagatellare: imbrattamenti, manifestazioni non autorizzate, istigazione a delinquere. Per quest’ultimo capo di imputazione, con l’aggravante della finalità di terrorismo, altri anarchici sono stati portati a processo a Perugia. Alla sbarra per un reato di opinione.

«Riscontriamo la sempre più diffusa e disinvolta sottrazione delle garanzie processuali a questa tipologia di imputati: in primo luogo in tema di valutazione delle prove in ordine alla riconducibilità soggettiva dei fatti contestati; oppure di abbandono del diritto penale del fatto, a vantaggio del diritto penale del tipo d’autore, realizzato attraverso l’esaltazione della pericolosità dell’ideologia a cui il reo appartiene», scrivono gli avvocati. Che si chiedono se se gli anarchici rappresentino davvero un tale pericolo per l’incolumità pubblica da richiedere un trattamento «in termini muscolari e a volte spregiudicati» oppure se sulla loro pelle si stia sperimentando, come avvenuto altre volte nella storia, una chiusura autoritaria degli spazi di agibilità politica e delle garanzie del processo penale. 

Di certo le condanne esemplari e sproporzionate, l’accanimento fin dentro le mura del carcere non servono soltanto a colpire anarchiche e anarchici finiti nella macchina della repressione ma anche a lanciare un messaggio a tutti gli altri, a quelli che stanno fuori ma non vogliono abbassare la testa.

Per questo la battaglia contro il 41 bis e la difesa di indagati, imputati e condannati riguarda anche chi non ne condivide le pratiche di lotta o l’orizzonte strategico. Riguarda tutti coloro che sentono l’esigenza di una trasformazione radicale dell’esistente.

Immagine di copertina: screenshot di un video del corteo a Trastevere