MONDO

La legge israeliana che permette il furto di terra è la punta dell’iceberg della colonizzazione

Se si condanna la nuova legge israeliana che autorizza il furto di terra palestinese, ma al tempo stesso si dimentica il furto di massa generato dall’impresa coloniale nel suo complesso, si sta facendo una ingiustizia alla lotta per l’uguaglianza.

La Knesset, lunedì notte, ha approvato la “legge di formalizzazione” (tradotta anche come “legge di normalizzazione”) che legalizza retroattivamente decine di insediamenti in West Bank– quasi 4000 unità abitative. La legge essenzialmente formalizza il furto di terra privata palestinese da parte dei coloni, permettendo allo stato di imporre compensazioni ai palestinesi per le terre di loro proprietà sottratte dai coloni.

La legge è scioccante, il Procuratore Generale israeliano, messo in quel ruolo da Netanyahu, ha già detto che è incostituzionale e che non la difenderà davanti alla Suprema Corte di Giustizia. Molte ONG di diritti umani hanno già manifestato il loro intento di fare ricorso alla Suprema Corte per annullare la legge. La legge è sconvolgente anche perché i territori occupati palestinesi non sono stati mai annessi a Israele, il che significa che le leggi al loro interno sono (o dovrebbero essere) determinate da ufficiali del regime militare di occupazione, e non dal parlamento israeliano che formalmente non ha giurisdizione.

Ma mettendo da parte lo shock dato dall’approvazione di una legge così tremenda, dobbiamo ricordare che questa legge non è che una goccia dell’impresa coloniale, il più grande progetto israeliano nei territori occupati.

Ogni governo israeliano negli ultimi 50 anni ha contribuito a portare gli attuali oltre 750.000 cittadini nei territori che Israele ha occupato nel 1967. Stabilire colonie in territori occupati è contro il diritto internazionale, come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ci ha recentemente ricordato. Nessun paese al mondo ha mai riconosciuto la legalità degli insediamenti, anche se la Suprema Corte di Giustizia Israeliana non si è astenuta dal farlo.

È logico e semplice ciò che bisognerebbe fare per proibire ad un paese occupante di trasferire i propri cittadini nel territorio che sta occupando: anzitutto permettere una soluzione al conflitto evitando così che lo stato in questione sviluppi obiettivi di lungo termine attraverso il regime militare; secondo proteggere il furto di risorse di chi è sotto occupazione; terzo evitare una situazione in cui due gruppi separati vivono nella stessa terra sotto sistemi legali differenti.

La realtà nei territori occupati dimostra però proprio questi punti: grazie agli insediamenti, la Cisgiordania è casa di cittadini israeliani che vivono sotto la democrazia israeliana e godono tutti degli stessi diritti di quelli che vivono in Israele, e a fianco a loro vi sono palestinesi che vivono sotto regime militare israeliano. Questi ultimi sono privi di diritti umani di base, non possono scegliere chi li governa e le proprie vite sono determinate da leggi militari emanate da ufficiali dell’esercito israeliano.

Il sistema legale separato permette il furto di risorse su ampia scala. Non è per casualità che solo l’1% del terreno di Area C controllato da Israele in Cisgiordania (oltre il 60% del territorio) è destinato allo sviluppo palestinese, il resto è per ebrei. E, con oltre 750.000 coloni, sarà sempre più difficile parlare di un ritiro israeliano dai territori occupati.

Ogni governo israeliano, da quando l’occupazione è iniziata, ha preso parte al furto sistematico di terra palestinese – da Shimon Peres, uno dei padri fondatori delle colonie, a Yitzhak Rabin, sotto la cui leadership il numero di colonie si è duplicato, fino alla coalizione che regge l’attuale governo. La Suprema Corte di Giustizia ha anche partecipato all’opera sancendo il furto, così come hanno fatto le banche che hanno concesso mutui per la costruzione di case illegali in terra palestinese.

Le imprese di sfruttamento e di estrazione prendono pure parte, così come quelle che hanno contribuito a costruire il Muro di Separazione. Il muro, in aperta violazione di una sentenza legale internazionale, non segue la Linea Verde e ha effettivamente annesso la terra palestinese a beneficio delle colonie.

Soldati e poliziotti che continuano a monitorare questo furto e mantenere il regime di discriminazione sono pure partecipi dell’avventura coloniale. La lista dei contributi è lunga.

La logica dietro ogni azione del governo nei territori occupati palestinesi negli scorsi 50 anni è stata “fare qualunque cosa sia buona per gli ebrei”. C’era, nel passato, un tentativo di ritrarre questa logica come un’occupazione illuminata, con il minimo rispetto per una sembianza di correttezza. La legge di formalizzazione appena approvata rappresenta il totale abbandono di questa pretesa.

Si può assumere che la Suprema Corte a tempo debito cercherà di ristabilire la pretesa di correttezza, anche se non prima di congelare l’evacuazione di almeno 16 colonie illegali su terra privata, e non prima che i coloni abbiano colto l’opportunità per accaparrarsi più terra.

Ma con o senza queste apparenze esterne, l’impresa coloniale è al cuore dell’occupazione. Chiunque parli della legge di formalizzazione dimenticando questo fatto sta facendo una ingiustizia alla lotta per la pace e l’uguaglianza in questa terra.

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Un commento finale, in risposta anticipata rispetto a reazioni a questo articolo: questo pezzo non vuole implicare che degli ebrei non dovrebbero vivere in una area specifica, in una regione o un territorio, o che l’unica soluzione è lo smantellamento di tutte le colonie, o che c’è bisogno di un’area senza ebrei.

Il problema fondamentale delle colonie – che rende l’occupazione un’occupazione – è il regime militare che determina due sistemi legali separati, per ebrei e palestinesi. Un’esistenza condivisa è possibile in questa terra, in uno stato unico i cui membri siano tutti cittadini con uguali diritti, o in due stati che vivano in pace uno a fianco all’altro, o in una federazione. Il problema è il furto e una politica unilaterale che nasce dalla percezione della supremazia ed esclusività ebraica in ogni area, supportata dalla forza militare.

Se ci liberiamo dal regime militare, se restituiamo ciò che è stato rubato e devastato, se riconosciamo i diritti palestinesi e assieme definiamo accordi basati sull’uguaglianza in questa terra, ogni cosa è possibile. Ma questo deve essere fatto assieme. Altrimenti tutto quello che facciamo è solo parte di una grande legge di “normalizzazione” che continua imperterrita da 50 anni.

*Articolo tratto da 972mag.com portale di informazione indipendente israeliano. L’articolo originale è qui

Traduzione a cura di Riccardo Carraro