EUROPA

La gentrificazione è inevitabile? Intervista a Leslie Kern

La gentrificazione non è un processo uguale per tuttə ed opprime maggiormente alcune popolazioni – questo ci spiega Leslie Kern – ma soprattutto ci racconta come possiamo lottare per città abitabili e vivibili da tuttə. Verso l’incontro europeo di lotte contro la gentrificazione “Take Back the City!” che si terrà dal 25 al 28 maggio al CSOA Forte Prenestino

Domenica 14 maggio il Forte Infoshop e il Laboratorio di Lotte alla Gentrificazione del CSOA Forte Prenestino insieme a Non Una Di Meno, Lucha y Siesta e Cagne Sciolte hanno incontrato e dibattuto con Leslie Kern, professoressa di Geografia e Ambiente e direttrice del programma di Studi sulle donne e sul genere presso la Mount Allison University in Canada. Kern è autrice di “La Gentrificazione è inevitabile e altre bugie” e “Città Femminista.” Questo dibattito è stato un incontro di avvicinamento verso l’incontro europeo di lotte contro la gentrificazione “Take Back the City!” che si terrà dal 25 al 28 maggio al CSOA Forte Prenestino. 

In La gentrificazione è inevitabile e altre bugie poni la domanda: “Da dove può partire allora una politica antigentrificazione queer femminista?” (2023, 247). Potresti dirci qualcosa di più?

Sì, penso sia cruciale capire come la gentrificazione si sviluppi sfruttando le differenze tra le gerarchie all’interno di vari gruppi, come anche le donne, le comunità queer…dobbiamo respingere questo processo, non possiamo accettare la gentrificazione, o accettare una città che sia vivibile soltanto per le donne con maggiori privilegi, o i membri più privilegiati delle comunità queer. Dobbiamo pensare alle persone marginalizzate, alle persone più escluse e chiederci: questi cambiamenti miglioreranno la vita di queste persone o la peggioreranno? Non dobbiamo quindi chiederci se, ad esempio, una donna come me avrà una vita migliore grazie a questo processo, dobbiamo pensare allə sex workers, alle donne migranti, alle donne trans, alle donne disabili, a quelle che percepiscono un basso reddito e così via, per poter capire quale sarà l’impatto di questo processo.

Nell’introduzione a La gentrificazione è inevitabile e altre bugie, rifletti sulle mutazioni storiche del concetto di gentrificazione. Dalla sua comparsa negli anni ’60, quando Glass coniò il termine per descrivere lo spostamento e/o sostituzione di popolazione in base alla classe sociale nelle aree urbane della classe operaia, alla messa in discussione negli anni ’80 quando la gentrificazione divenne sistemica intrecciandosi con investitori pubblici e privati, ​​e il concetto stesso sembrava perdere le sue capacità esplicative. La domanda che poni nell’introduzione è se la gentrificazione sia ancora il termine giusto, alla fine suggerisci di mantenerlo, dato che altri concetti come il rinnovo urbano non hanno la stessa capacità analitica. Puoi dirci perché pensi che sia ancora essenziale utilizzare questo concetto e in che modo lo hai adattato per riflettere la complessità urbana di oggi?

Penso che il termine gentrificazione sia importante perché si inserisce in un contesto politico. Il termine “gentry” – piccola nobiltà – significa persone con beni di proprietà, persone con potere, persone delle classi sociali alte, mentre termini come rinnovo o rigenerazione sono in qualche modo politicamente neutri o suonano molto positivi. La gentrificazione include quell’aspetto di cambio, sostituzione, o avvicendamento di classe nel termine stesso e per questo penso che sia ancora valido mantenerlo. Per me, il modo per precisare questo concetto è costruire un approccio più intersezionale che riconosca che il potere di classe non è l’unico tipo di potere che conti nella gentrificazione, ma piuttosto andare a vedere come la classe si interseca con il potere patriarcale, il potere legato alla razza e anche altri aspetti di potere nelle città. Penso che vada bene espandere il vocabolario sulla gentrificazione, non voglio controllare quel linguaggio o quella terminologia, ma per il momento penso che ci sia ancora utilità nel termine.

Quando rifletti sulla gentrificazione attraverso la lente dell’intersezionalità, critichi la narrazione per la quale questo processo sarebbe inevitabile. Nel libro, suggerisci di sfatare questa bugia, proponendo finali alternativi. Potresti darci qualche esempio?

Dunque, prima di tutto la cosa più importante è smettere di pensare alla gentrificazione come fosse un processo naturale, una parte integrante dei processi evolutivi delle città. Questa visione è estremamente problematica: è la vera bugia di cui parla il libro. Le alternative includono comprendere realmente e con chiarezza quali siano state le decisioni, le politiche, le pratiche poste in atto nelle varie realtà locali che hanno agevolato l’ascesa della gentrificazione e altri cambiamenti. Avendo questi dati specifici, è facile dire quali siano le parti in gioco più forti e quali soggetti siano stati invece marginalizzati, esclusi o costretti ad andarsene. Penso sia anche importante cambiare in parte il linguaggio che usiamo per parlare di gentrificazione come una nuova forma di colonialismo, poiché si tratta ancora di “vecchio” colonialismo per molte persone che continuano a essere espulse dal proprio territorio. La gentrificazione continua a trasformare la terra in proprietà privata per estrarre profitti ed escludere alcuni soggetti. Quindi, anche riconoscere la continuità tra la gentrificazione e altre forme di rimozioni forzate e colonizzazioni in corso fa parte di questo cambio di narrazione.

Ne La città femminista hai scritto sull’insostenibilità di una società basata sul modello della famiglia borghese eteronormativa mononucleare. Come superare questo modello? Quali sono le reti e le strutture che possiamo costruire nelle nostre città e società per raggiungere questo obiettivo?

In realtà le persone stanno già rompendo gli schemi da molto tempo, ma ciò che possiamo notare è che la maggior parte delle nostre abitazioni, servizi e così via non riflettono la vera diversità delle famiglie e il fatto che la maggior parte di noi vivrà in molti tipi diversi di famiglia durante la propria vita per oltre ottanta, novant’anni, se si è fortunati. Quindi, invece di costringerci tutt in queste piccole scatole che hanno lo scopo di ospitare la famiglia nucleare tradizionale, possiamo immaginare una moltitudine di forme abitative che ci permettano di vivere in modi diversi, in tipi di comunità diverse, con altri tipi di famiglie al di là del sangue o delle relazioni sentimentali. Ciò potrebbe includere l’amicizia, famiglie multigenerazionali, situazioni di cogenitorialità e coabitazione. Dobbiamo quindi incoraggiare le nostre città a investire in questi modelli diversi in modo da poter davvero esplorare tanti nuovi modi di vivere insieme che penso siano anche più sostenibili dal punto di vista ambientale rispetto alla bolla della famiglia nucleare in cui siamo stati bloccati per molto tempo.

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Foto di Matt Brown