PRECARIETÀ

La filiera dello sfruttamento

Storie di caporali, fattore, silenzi e complicità. Prosegue l’inchiesta sul caporalato in Puglia, il sistema alla base della produzione agricola regionale
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Arcangelo ha 42 anni e lotta per la vita all’ospedale San Carlo di Potenza. È in coma profondo dal 5 Agosto dopo essere stato colpito da aneurisma celebrale, mentre era impegnato nella raccolta dell’uva, nelle campagne di Metaponto. Ironia della sorte, l’uomo abita a poche case di distanza dall’abitazione di Paola Clemente, la bracciante morta nelle campagne di Andria lo scorso 13 luglio, il cui decesso è stato archiviato in un primo momento come naturale dal pubblico ministero competente che non aveva predisposto l’autopsia, e la cui salma, invece, sarà riesumata martedì prossimo. Come si ricorderà, la notizia della morte della donna, accompagnata dalla denuncia sulle relative incongruenze nella dinamica, fu data soltanto il 3 Agosto dalla Flai Cgil Puglia. Nessuno ne aveva parlato prima.

Intanto, la pagina facebook di Arcangelo in queste ore è inondata di messaggi di speranza e affetto. La solidarietà corre in rete; un po’ meno nelle strade e nelle piazze di San Giorgio Jonico, popoloso comune alle porte di Taranto, dove in pochi vogliono parlare, ora. A cominciare dalla famiglia, trincerata dietro un rigoroso silenzio.

Non c’è nessuno“, dicono alcuni vicini di casa mentre mi avvicino all’abitazione. “Non vogliamo parlare“, mi dice la sorella aprendo la porta della casa. C’è uno strano silenzio anche attorno a questa storia. Che si è appresa soltanto il 20 agosto. Solo dopo che il pubblico ministero della Procura di Trani, Alessandro Pesce ( titolare dell’inchiesta sulla morte di Paola Clemente) ha dato l’annuncio di un’altra inchiesta avviata dalla procura di Matera sul malore dell’uomo, la notizia è rimbalzata. Gli stessi sindacati ne erano all’oscuro.

Avanza sospetti (anche in questo caso) sull’uso massiccio dei fitofarmaci in agricoltura, il segretario generale della Flai Cgil Puglia, Giuseppe De Leonardis che raccogliendo le testimonianze di alcuni braccianti ha fatto scoppiare il bubbone del nuovo caporalato. E fatto venir fuori quel sistema che avrebbe ucciso Paola Clemente, per esempio. Ci spiega come funziona: “il contratto di Paola era a tutti gli effetti regolare, nonostante lavorasse per 2 euro l’ora. Era stata assunta dall’agenzia interinale Infogroup, una delle società leader del settore insieme alla Quanta (che fino allo scorso anno gestiva circa ventimila rapporti di lavoro in agricoltura e che ora in seguito a denunce ed ispezioni subite ne gestisce più o meno la metà) ma di fatto il suo rapporto di lavoro era gestito da Ciro Grassi, colui che è ritenuto da tempo uno degli intermediari del settore più importanti della provincia di Taranto e che ora è indagato dalla Procura di Trani, insieme al titolare dell’azienda Ortofrutticola meridionale di Andria, dove la donna lavorava”.

Non chiamatemi caporale, io ho tutte le carte in regola” ha spiegato a La Repubblica Ciro Grassi, l’uomo indagato per l’omicidio di Paola Clemente. E in effetti è così. Già, perché dimenticatevi il vecchio caporale alla guida di malconci pulmini Ducato, qui interviene una delle mutazioni antropologiche subite dal settore agricolo negli ultimi anni. È il sistema del nuovo caporalato: Grassi di mestiere ufficialmente fa il tour operator ma ha come clienti unici le aziende di compravendita del lavoro e come passeggeri soltanto contadini. È l’istituzionalizzazione della filiera dello sfruttamento: i grandi proprietari terrieri si rivolgono alle agenzie per reclutare i braccianti e questi ultimi ai nuovi caporali, che sono sempre quelli vecchi che controllavano la manodopera dell’agricoltura pugliese, ma “ripuliti”, sotto lo schermo di una presunta legalità, grazie alla disponibilità di costosi autobus gran – turismo e alla presenza dei contratti di servizio stipulati con le agenzie interinali. Funziona così – come è venuto fuori già da diverse inchieste giudiziarie – non soltanto nelle province di Bari e Taranto, ma anche in molte zone di Calabria, Campania, Emilia-Romagna e Lazio. Si viene assunti con contratti regolari. Di fatto affidati alla mercé di caporali locali, che trattengono parte del salario dei lavoratori, pretendendo indietro ogni mese circa la metà di quanto loro versato con gli assegni circolari. Alle volte il caporale è donna, la cosiddetta fattora. I suoi compiti non cambiano: contattare e reclutare manodopera, gestire braccia e giornate. Governare le vite di chi lavora in campagna. Lo fanno in cambio di soldi, di percentuali.

Il sistema appariva perfettamente logico e normale, fino a quando il bollettino delle morti sul lavoro che, almeno in Puglia, si sta aggiornando continuamente, non fa scoppiare il caso, portandolo alla ribalta nazionale. Se ne accorge anche il Governo che per bocca del Ministro dell’agricoltura Maurizio Martina annuncia “un vertice nazionale con il Ministro del Lavoro e le parti sociali, il 27 agosto, sui temi del caporalato”. E l’intenzione di istituire “una task force territoriale con controlli mirati e più serrati per contrastare il fenomeno”. Sempre lo stesso Ministro Martina aveva dichiarato in una nota che: “bisogna combattere il caporalato come la mafia”. E giù tutto un profluvio di dichiarazioni giunte da ogni parte politica – più o meno dello stesso tono – sul “dovere da parte di tutti di contrastare lavoro nero e sfruttamento”.

Comunque, ad ascoltare le voci di alcuni sfruttati e i commenti a mezzo stampa a queste drammatiche vicende, che giungono dalle istituzioni locali e nazionali, si comprende quanto ci troviamo di fronte ad un problema di ordine politico–culturale, atavico. Per fare un esempio, il sindaco di San Giorgio Jonico, Giorgio Grimaldi, di Sel, ha dichiarato ad alcuni giornali locali di aver parlato con alcuni braccianti del luogo che gli hanno confermato che il caporalato, in quella zona, non esiste. Salvo poi (contattato telefonicamente) correggere il tiro, spiegando “di essere figlio di contadini e come tale sensibile alla questione, ma d’altronde – lascia intendere – qualcuno dovrà pure accompagnarle al lavoro… le donne”.

Dunque, il caporalato appare quasi un mezzo necessario, allo stesso modo le morti in campagna sembrano spesso “naturali”. Ed è per questo, spiega – Sante Bernalda delegato della Flai Cgil di Massafra – che quando ho saputo del decesso di un’altra donna, nelle campagne di Ginosa (avvenuto il 14 Agosto) ho preferito non diffondere la notizia: “è sembrata una morte quasi naturale” – dice – “perché la donna aveva già comunque una patologia. E poi aveva un contratto regolare, non lavorava in nero”. La storia a cui fa riferimento Sante Bernalda è stata resa nota il 21 Agosto da Nicola Maggio, il marito della donna, che ha preferito non sporgere denuncia e far passare qualche giorno prima di raccontare quel dramma cominciato il 31 Luglio, quando Maria accusa un malore e viene trasportata subito in ospedale, dove morirà pochi giorni dopo, a cavallo di Ferragosto. Ha deciso di parlare, l’uomo, perché “il dolore subito dalla sua famiglia possa servire a fare approvare disposizioni di legge che contrastino realmente il caporalato”. Aveva un contratto regolare, Maria, che gli aveva consentito, negli anni scorsi, anche di accendere un mutuo, ma andava a lavoro con i caporali. Andava a lavoro tutte le mattine, anche la domenica. Da Massafra a Ginosa, pochi chilometri, per questo saliva a bordo dei vecchi Ducato di colore bianco. Era poca la distanza chilometrica da percorrere. Perciò, all’interno di quest’altra filiera dello sfruttamento, gli autobus gran turismo servivano solo da paravento legale. L’autista del ducato bianco che trasportava Maria era una sorta di sub caporale, in sostanza. Questo dimostra quanto labile sia il confine tra la legalità che sia tale, o presunta. Come sottile è la linea tra la morte naturale e l’incidente sul lavoro; qui, nelle campagne di Puglia, dove la logica della stessa vita è assoggettata al massimo profitto d’impresa.

È la storia del capitalismo, dei vinti e dei vincitori. È una storia di donne e di uomini, di caporali e di fattore. Di silenzi e complicità. È la filiera dello sfruttamento, alla cui violenza va posto immediatamente un argine. Senza dover aspettare le prossime morti nelle campagne, quelle che da secoli si considera come naturali. Ancora adesso, nel sud Europa, nel XXI secolo.