ITALIA

La critica minacciata Chiara Zanini: «Sbattiamo la realtà in faccia a chi non la vuole vedere»

Disparità di genere all’Est Film Festival di Montefiascone, nessuna regista donna presente: la protesta della critica cinematografica Chiara Zanini, che dopo essere stata anche minacciata di denuncia dalla direzione della rassegna, si sta ora impegnando in un progetto più ampio di analisi delle disuguaglianze in campo artistico

L’autrice freelance e critica cinematografica Chiara Zanini il 13 ottobre ha denunciato, tramite un post sul suo profilo Facebook e con l’hashtag #tuttimaschi, la mancanza completa di registe donne all’interno del concorso cinematografico dell’Est Film Festival di Montefiascone. La pubblicazione del suo post ha spinto il festival a minacciare azioni legali. Chiara è stata definita “rancorosa” e “cattiva”, in un commento che è stato in seguito eliminato. L’educazione, la formazione e la comunicazione possono giocare un grande ruolo nella sensibilizzazione sui ruoli di genere. Da una ricerca Istat “sugli stereotipi, rinunce e discriminazioni di genere” del 2013, emerge come in Italia siano ancora radicati stereotipi legati al genere. Il 57,7% dei cittadini intervistati ritiene che la situazione degli uomini sia più favorevole delle donne (lo pensano per il 64,6% donne, per il 50,5% gli uomini), e per quattro cittadini su dieci la donna è vittima di discriminazioni più degli uomini.

 

Com’è possibile che un concorso come l’Est Film festival, sostenuto da Mibact e dalla Regione Lazio, non preveda la presenza di una regista donna?

Est Film festival è tra i festival del cinema maggiormente finanziati della Regione Lazio perché svolge un’attività cultura importante in un piccolo comune. Eppure la regione Lazio richiede sempre la garanzia di un’offerta alla cittadinanza tutta e la capacità di raggiungere tutti tramite le comunicazioni. Come ho sottolineato nella mia newsletter, esistono leggi da più di venti anni sul rispetto dell’uguaglianza di genere e sostegni alle produzioni delle donne, come nella legge del 2016 (con cui vengono creati, anche, nuovi incentivi per le pari opportunità e per lo sviluppo degli investimenti nel cinema, nei film di coproduzione realizzati da donne).

 

Come hai reagito al commento dell’Est Film festival, sotto il tuo post di protesta su Facebook, nel quale le tue parole venivano definite «a rischio denuncia»?

Mi sono sembrati pazzi. Il giornalismo è sicuramente stato discreditato in questi anni, ma era una domanda alla quale si poteva rispondere come succede sotto qualsiasi post di pagine pubbliche. Mi sarei aspettata più sostegno dai colleghi, anche solo in nome della libertà di stampa. Invece, pur sollecitati, molti tacciono. Infatti, temendo di non lavorare più con regioni e Ministero, non prendono mai parte ad alcuna discussione e ringraziano sempre le istituzioni e gli sponsor, anche quando c’è di che vergognarsi.

 

Quali sono, secondo te, le cause strutturali di ciò che è successo?

A noi donne viene lasciato intendere o intimato fin dall’infanzia che certe professioni sono quantomeno più adatte agli uomini, se non di loro esclusivo appannaggio. Le donne registe quando inviano il proprio film a un festival, sperano – tanto quanto degli uomini – di aver già qualche buon contatto. Potrei elencare molti altri aspetti, prevalentemente di natura economica: per fare un altro esempio, i film maggiormente finanziati sono quelli a regia maschile. Se una donna vuole partecipare a un festival (in presenza), o trova chi crede in lei tanto da pagarle vitto, alloggio e trasporti, o deve rinunciare. Spesso gli uomini hanno una squadra di supporto, per così dire, prevalentemente maschile, mentre le donne no.

Dopodiché c’è una cosa che Est Film Festival ha negato. I festival invitano determinati registi e produttori a mandare i loro film, anche se non lo ammettono quasi mai pubblicamente. Allora perché quando si hanno pochi film diretti da donne candidate, improvvisamente la pratica dell’invito per così dire “segreto” non viene adottata? Io non ho mai parlato di quote, ma non accetto spiegazioni di comodo e voglio mettere in atto un cambiamento. Non ho chiesto la chiusura del festival, che sarebbe un danno per gli abitanti di Montefiascone. Ho solo detto che non sarei andata e che ero contraria al finanziamento di migliaia di euro all’associazione. I commenti arrivati anche sul mio profilo personale sono stati all’insegna del maschilismo e del mansplaining.

 

La critica Chiara Zanini

 

Ci parli del progetto che stai lanciando? Quanto sta funzionando l’hashtag #tuttimaschi?

#tuttimaschi esisteva già come hashtag e l’avevo usato per segnalazioni fatte da altre. Occupandomi di cultura mi capita di vedere “manels” anche nel mio ambiente che magari altre non conoscono e allora le diffondo. Perché, ad esempio, se una formazione prevede solo uomini come docenti e non lo problematizziamo, poi non possiamo stupirci che i sogni di tante, ma soprattutto i lavori, rimangano nel cassetto per sempre. Oggi parlando di Presente Italiano a Pistoia, altro festival senza registe, ho ripreso il nome del festival e ho lanciato #iononsonopresente. Non c’è una vera strategia dietro, ma la volontà di segnalare il più possibile i casi di discriminazione.

 

Perché, secondo te ancora oggi, le donne che segnalano e denunciano una qualsiasi disparità di genere cercando di far valere un proprio diritto, vengono attaccate così duramente? E quali sono secondo te, i modi da adottare per lottare contro le disparità di genere e gli stereotipi?

Perché sbattiamo in faccia la realtà a chi finge di non vederla. Lasciarci parlare – nel senso di non oscurarci, come spesso si tenta – significa prepararsi a un cambiamento. Questo fa paura e scatena reazioni violente. Come diciamo da anni, si deve lottare con l’educazione e la formazione a qualsiasi livello. Nel mio caso, essendo cronista, significa farlo soprattutto attraverso la comunicazione e, la divulgazione.

 

Immagine di copertina di Vittorio Giannitelli