EUROPA

La Corte tedesca contro tutti

La Corte costituzionale tedesca si è espressa sul programma di acquisto di titoli di stato nazionali iniziato nel 2015 dalla BCE contestandone la validità, nelle settimane in cui la Commissione deve decidere sul Recovery Fund. Questa sentenza mostra ancora una volta, come le elité siano divise e senza una prospettiva per guidare il progetto europeo, tanto quanto l’assenza di una spinta dal basso per la costruzione di un’Europa più giusta ed equa,

La Corte tedesca ha probabilmente riflettuto a lungo sui tempi politici e mediatici per varare questa sentenza riguardante i programmi di acquisto dei titoli di stato da parte della BCE iniziati nel 2015. Così il Presidente dell’alta corte, Andreas Voßkuhle, con un mandato in scadenza tra pochi giorni, ha deciso di fare uscire la sentenza proprio nelle settimane in cui la Commissione Europea deve decidere l’impalcatura del Recovery Fund.

La Corte ritiene che il governo federale e il parlamento tedesco non abbiano monitorato a sufficienza «il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione» (art. 5 TFEU). Per questo si richiede alla BCE di verificare che il programma per l’acquisto di titoli emessi da governi, da agenzie pubbliche e istituzioni internazionali (Public Sector Purchase Programme – PSPP), conosciuto come quantitative easing, sia conforme al principio di proporzionalità. La Corte, però, non considera questo programma una violazione del divieto di finanziamento diretto degli Stati membri (art. 123 TFEU). E sottolinea nella sua nota per la stampa che «la decisione pubblicata non riguarda le misure di assistenza finanziaria adottate dall’Unione europea o dalla BCE nel contesto dell’attuale crisi del coronavirus». Quasi a volersi giustificare della sentenza appena emessa.

 

Un conflitto che viene da lontano

La Corte costituzionale tedesca ha sempre cercato di mantenere la sua indipendenza nei confronti della Corte di giustizia europea. Questo conflitto di attribuzione inizia nel lontano 1974 con il caso Solange, un caso sulle libertà economiche e i limiti imposti dalla politica agricola comune. In quel caso, la Corte tedesca affermò che, se gli standard sui diritti fondamentali non fossero stati rispettati a livello europeo, il livello nazionale avrebbe continuato a prevalere. Ancora, per l’approvazione del Trattato di Maastricht, il governo federale dovette attendere un’ importante sentenza della Corte federale che sentenziò nel 1993 il “principio di cooperazione” tra le due corti, e non quello di superiorità della Corte di giustizia europea. Infine, nel 2009 la Corte tedesca, già presieduta dall’attuale Presidente Voßkuhle, nella sua sentenza sul Trattato di Lisbona ha ribadito che la Corte si può esprimere su questioni europee considerate ultra vires, cioè al di sopra dei propri poteri.

In base a questo principio, durante tutta la crisi del debito pubblico europeo la Corte costituzionale tedesca è stata chiamata a esprimersi su diversi programmi varati a livello europeo, nel tentativo di bloccarli con il risultato di ritardarli e affievolirne gli effetti. Così, la contrattazione sul secondo programma di aiuti greco poté cominciare solo nell’autunno del 2011, dopo che la Corte tedesca rigettò i tre ricorsi riguardante il primo prestito varato – già in ritardo – nel maggio del 2010. E ancora il Meccanismo di Stabilità Europeo (MES) non poté entrare in vigore finché la Corte tedesca non si espresse a riguardo.

Questo ci spiega come, in Germania, tutti i programmi di aiuti nei confronti di altri stati membri europei, per quanto vessatori e disciplinanti, siano stati contestati a tutti i livelli possibili. Nel 2011, agli albori del conflitto sull’acquisto di titoli di stato e di mutualizzazione del debito, il presidente della Bundesbank tedesca, si dimise, seguito, poco dopo dal membro tedesco del comitato esecutivo della BCE, da Jürgen Stark, in aperto disaccordo con il Security Market Program (SMP), primo programma di acquisto di titoli di stato sul mercato secondario, già accusato di confondere politiche fiscali e monetarie.

Questa breve storia di conflitti di attribuzione tra il livello nazionale e quello europeo ci racconta come l’integrazione non sia mai stata una storia liscia e armonica scritta da “grandi padri fondatori”. Al contrario, è una storia irta di conflitti istituzionali e difficoltà di governo. Questa sentenza, evidenzia come all’interno degli stati stessi non ci sia mai stata una visione univoca su quale debba essere la posizione nei confronti dell’Unione Europea. All’interno della società tedesca, infatti, è dallo scoppio della crisi del debito greco che esistono posizioni contrastanti sull’integrazione europea e su quali posizioni da tenere nei confronti degli stati membri periferici.

La leadership della cancelliera Merkel è riuscita per anni a trovare singoli accordi di fronte a ogni conflitto, ma non è mai riuscita a trovare una visione capace di unificare i diversi interessi presenti nella società tedesca. Questa sentenza, ancora una volta, ci spiega come le elité siano divise e senza una prospettiva per guidare il progetto europeo, tanto quanto manchi ogni spinta dal basso per la costruzione di un’Europa più giusta ed equa, dove i conflitti istituzionali non avvengano solo sulle libertà economiche, ma soprattutto sui diritti fondamentali umani e ambientali.