ITALIA

La corsa ai vaccini, fra interessi economici e giustizia sociale

Sono ormai disponibili vari vaccini per la Covid-19, con la Gran Bretagna che ha già iniziato le somministrazioni non sperimentali. Intanto, però, sorgono i primi dubbi e buona parte della popolazione mondiale potrebbe restare tagliata fuori

È partita la corsa al vaccino, ma è una corsa a ostacoli. Come tutto ciò che chiama in causa salute, diritti e disuguaglianze sociali, la buona volontà di ricercatori e istituzioni si intreccia agli interessi non sempre trasparenti delle grandi aziende e alle manovre politiche delle classi dirigenti nei diversi paesi. Ben tre soggetti hanno annunciato la fine della fase di sperimentazione della profilassi per la Covid-19: la società statunitense Pfizer in collaborazione con l’azienda tedesca di biotecnologie e biofarmaceutica BioNTech, la società con sede in Massachusetts Moderna e, infine, l’azienda svedese-britannica AstraZeneca in collaborazione con l’università di Oxford.

Differenti tassi di efficacia (rispettivamente 95%, 94,5% e fra il 62/90% a seconda del dosaggio) e differenti modalità di conservazione (con il primo che sembra richiedere temperature molto basse e l’ultimo che invece risulta più facilmente immagazzinabile), ma simili reazioni di entusiasmo: «La scienza europea funziona!», ha commentato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen; «Finalmente vediamo la luce», le ha fatto eco il Ministro della Salute italiano Roberto Speranza.

 

Intanto, parallelamente ai progressi nella messa a punto del vaccino, anche le quotazioni di borsa delle varie società salgono vertiginosamente (Moderna, per esempio, ha registrato un aumento di valore del 631% nell’ultimo anno).

 

«Anche nella ricerca sui vaccini assistiamo a una forte aggressività da parte degli interessi di mercato», commenta l’esperto di epidemiologia clinica e comunitaria ed ex-direttore del Consorzio Negri Sud Gianni Tognoni (autore, tra l’altro, di un argomentato articolo sul tema apparso sul blog “Volere la luna”). «Gli accordi fra le aziende e gli stati avvengono in un regime di segretezza e gli stessi dati relativi ai test di controllo non sono stati resi pubblici.

L’annuncio del ministro Speranza secondo cui qui in Italia il vaccino sarà un “bene comune”, allora, rischia di sembrare una presa in giro: abbiamo semplicemente deciso di pagare la ditta produttrice, mica abbiamo messo a punto dei protocolli comuni di monitoraggio e di distribuzione. Al contrario, ogni paese è lasciato da solo a gestirsi il proprio mercato interno e le proprie dinamiche istituzionali. Per non parlare dell’assenza di un qualsiasi piano epidemiologico».

Le varie agenzie di vigilanza sull’efficacia farmacologica dei vaccini sembrano infatti andare ciascuna per conto proprio. L’agenzia britannica per la regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (Mhra), per esempio, nella giornata del due dicembre ha autorizzato per l’uso d’emergenza la profilassi proposta da Pfizer e BioNtech, e già da lunedì si è iniziato a somministrare le prime dosi. Dal canto, suo, l’istituto statunitense di farmacovigilanza Food and Drug Administration (Fda) ha ricevuto da parte di Moderna una richiesta per valutare la possibilità di utilizzo del vaccino prodotto dalla società del Massachusetts, che potrebbe essere impiegato già a partire dalla fine del mese.

 

(foto:commons.wikimedia.org)

 

Infine, l’agenzia europea del farmaco (Ema) pare invece più cauta sulle tempistiche: mentre alcuni dei suoi rappresentanti – riporta “Reuters” – hanno definito “frettolosa” la scelta della Gran Bretagna, una prima data di verifica è stata fissata per il 29 dicembre. Intanto, però, la “macchina della distribuzione” si è già messa in moto.

 

Due settimane fa le prime scorte del vaccino di Pfizer sono partite dal Belgio verso gli Stati Uniti e la società si dichiara pronta per produrre 20 milioni di dosi entro la fine dell’anno. Il nostro paese, intanto, ha stipulato contratti per la fornitura dei vaccini nel primo trimestre dell’anno prossimo.

 

«È come decidere se avviare o meno una guerra con migliaia di carri armati già schierati al confine», chiosa ancora Gianni Tognoni sottolineando le pressioni che in questo momento gravano sulle diverse agenzie di farmacovigilanza. «Molto spesso le dichiarazioni dei diversi soggetti in campo si contraddicono e ai primi annunci positivi seguono poi tante volte dei secchi dietrofront». D’altronde, che gli interessi di mercato in campo farmacologico spingano verso decisioni affrettate è ben dimostrato dalla recente vicenda del Remdesivir, antivirale raccomandato a giugno dall’Ema per il trattamento dei malati di Covid-19 con polmoniti a uno stadio non troppo grave.

Sulla scorta di tali indicazioni, il governo italiano si è precipitato ad acquistarne una quantità pari a 50 milioni di euro, salvo poi scoprire di lì a poco che l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo avrebbe dapprima dichiarato «inefficace» e infine «sconsigliato» (lo ricostruisce bene un’inchiesta dell’“Espresso” di Antonio Fraschilla e Carlo Tecce). Inoltre, per tornare ai vaccini, nel momento in cui le azioni delle società che procedono nelle sperimentazioni aumentano di valore, ecco che molti degli stessi amministratori e degli stessi manager di quelle società si stanno arricchendo con operazioni di borsa che hanno destato sospetti di insider dealing (cioè di operazioni basate sull’abuso di informazioni privilegiate).

Fra gli altri, è anche il Codacons ad avanzare dei dubbi: «[Il] ceo di Pfizer […] si è disfatto del 62% dei titoli in suo possesso in concomitanza con l’annuncio del vaccino prodotto dalla multinazionale», si legge in una nota con cui si chiede a Consob e alla Procura di Milano di aprire un’indagine nei confronti della società statunitense. Si tratta di «una mossa «che ha consentito ad Albert Bourla (il ceo di Pfizer, ndr) di incassare in un colpo solo 5,6 milioni di dollari grazie al rialzo delle azioni Pfizer seguito alle dichiarazioni sull’efficacia del vaccino».

 

Non sarebbe peraltro la prima volta che l’azienda riceve accuse di gestione impropria e scarsa trasparenza.

 

A scorrere il suo “curriculum”, infatti, vari episodi controversi saltano all’occhio, anche nel nostro paese: nel 2003 alcuni rappresentanti di Pfizer, assieme quelli di altre case farmaceutiche, furono coinvolti in un’indagine riguardante un grosso giro di truffe sulle prescrizioni mediche; nel 2012, invece, l’azienda venne multata dall’Antitrust in quanto avrebbe ostacolato l’ingresso sul mercato di farmaci generici per proteggere i propri interessi di vendita.

«Il percorso che sta portando alla produzione dei vaccini per la Covid-19 è di gran lunga accelerato rispetto al normale», annota Roberto Leone, professore all’Università di Verona e membro del Centro Regionale del Veneto di Farmacovigilanza. «C’è, evidentemente, una contraddizione di fondo: la gravità della situazione pandemica è tale per cui occorre trovare al più presto delle soluzioni, ma d’altra parte la fretta è mai una buona consigliera in campo farmacologico. Occorre allora che le varie agenzie preposte a rilasciare autorizzazioni seguano nella maniera più precisa possibile i protocolli di controllo e adottino la massima precauzione consentita dal momento».

In questo senso, l’Ema ha avviato una procedura di verifica di revisione ciclica (detta rolling review), per cui i dati delle sperimentazioni effettuate dalle cause farmaceutiche vengono resi disponibili di volta in volta senza che si debba attendere la conclusione di tutto il ciclo dei test. Tuttavia, sorgono già i primi dubbi: è di martedì la notizia della pubblicazione da parte dell’autorevole rivista scientifica “The Lancet” di uno studio in cui vengono messi in discussione i risultati dei controlli di AstraZeneca.

 

(foto di lukasmilian da Pixabay)

 

«Si dovrà procedere con continue revisioni», afferma ancora Roberto Leone. «L’Aifa e l’Ema, per esempio, stanno lavorando a un sistema di segnalazione attiva delle reazioni avverse al farmaco, per cui chi riceverà le prime somministrazioni informerà anche di eventuali conseguenze collaterali. Io credo comunque che i dubbi riguardino più che altro l’efficacia dei vaccini ma soprattutto la durata del loro effetto. In questo senso, lo scenario più probabile mi pare quello di un meccanismo tipico della prevenzione antinfluenzale, con la vaccinazione che deve essere rinnovata ogni anno».

 

Ma l’efficacia dei farmaci anti-Covid sarà data anche da un fattore che rimane ancora molto incerto, ovvero la sua distribuzione su scala mondiale.

 

Nonostante si ripeta da più parti la necessità di una “strategia globale”, per ora la garanzia delle forniture se la stanno accaparrando quasi solo le nazioni ad alto reddito, attraverso accordi bilaterali con le aziende. Tutto il contrario, insomma, dei principi che ispirano il programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “Covax” (a cui infatti gli Usa non hanno aderito), che si propone di garantire per tutti i paesi un «accesso innovativo ed equo alla diagnosi, ai trattamenti e ai vaccini per la Covid-19».

Le condizioni in questo campo sono tutt’altro che favorevoli. Innanzitutto, le differenti modalità di conservazione dei vaccini che citavamo in apertura rendono difficoltoso per alcune nazioni immagazzinamento e distribuzione: per il prodotto della Pfizer, per esempio, lo stoccaggio deve avvenire addirittura a -70 gradi, cosa che richiede evidentemente tutta una serie di tecnologie (come gli ultracongelatori, per i quali già ci sono i primi appalti) e di strategie organizzative per il trasporto molto dispendiose.

Inoltre, il “famigerato” accordo Trips (Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale), che è in vigore da oltre vent’anni e regola fra i vari aspetti anche quello dei brevetti farmaceutici, è ormai da tempo criticato da attivisti, ricercatori e organizzazioni non governative proprio perché di fatto ostacolerebbe l’accesso dei contesti più svantaggiati a numerosi servizi essenziali. Già ad aprile un appello congiunto di parte del personale sanitario e del Presidente di Medici Senza Frontiere – Italia dichiarava la necessità di una «piena ed effettiva attuazione di tutte le flessibilità (licenze obbligatorie, importazioni parallele) previste anche negli articoli 30 e 31 degli accordi Trips […].

In particolare deve essere consentita la produzione di farmaci equivalenti, l’importazione e l’esportazione di questi farmaci senza limitare, se necessario, le licenze obbligatorie al solo mercato interno del Paese dove avviene la produzione; a rendere il vaccino, una volta disponibile, economicamente accessibile, consentendo una produzione su larga scala per soddisfare la domanda globale». Poco di tutto questo è all’orizzonte.