L’occupazione di piazza Taksim e Gezi Park: praticando i beni comuni

Da Istanbul riceviamo e pubblichiamo un contributo di un’occupante di Gezi Park.

Riceviamo da Istanbul e volentieri pubblichiamo un contributo da un’occupante di Gezi Park. Il testo originale in inglese: Taksim Square and Gezi Park Occupation: Practicing Commons

Sono successe molte cose a Istanbul in questa ultima e intensa settimana, nel parco, nella piazza, nelle università. Sembrano settimane, in realtà sono pochi giorni. La resistenza civile all’autoritarismo del governo si è auto-organizzata in maniera formidabile, ci sono presidi medici e legali in giro per il parco, le università sono aperte per poter sostenere gli occupanti in caso di bisogno (pronto soccorso, logistica, media center). Una occupante di questa grande moltitudine ci racconta ad una settimana dall’occupazione le proprie sensazioni e valutazioni in merito alla grande esperienza di cittadinanza e resistenza che sta vivendo Istanbul. Manteniamo il suo anonimato, per tutelarla da possibili ripercussioni in attesa che si chiarisca la situazione. La sua voce, tra le altre, ci aiuta a capire di più di questo grande esercizio comune di resistenza civile. È una voce sola, ma comune.

Taksim Square and Gezi Park Occupation: Practicing Commons
Un’occupante di Gezi Park*

Negli ultimi giorni Istanbul e tutta la Turchia hanno visto reclamare i nostri beni comuni: spazi aperti, piazze, strade, libertà di conoscenza, libertà di opposizione, e valori di umanità e civiltà. La gente è uscita per le strade e scesa in piazza per protestare contro l’atteggiamento autoritario del governo. Le dimostrazioni di piazza significano moltissimo per i/le cittadini/e, anche se tutto è cominciato dall’evacuazione del Gezi Park dagli occupanti che hanno pacificamente protestato contro la distruzione del parco e la costruzione di un centro commerciale/residenze di lusso. Le manifestazioni e le occupazioni vengono portate avanti più in generale per reclamare i diritti dei cittadini, diritti che sono stati danneggiati da sistematici divieti negli ultimi anni. Quest’anno Taksim, piazza simbolo della Festa dei Lavoratori del 1° maggio, è stata vietata per tutti i tipi di incontri e manifestazioni. Inoltre, in questi recenti eventi, ill governo ha cercato di vietare ogni possibilità di diffusione e condivisione delle informazioni sui media.

Lo sgombero degli occupanti di Gezi Park, in una operazione all’alba del 31 maggio, poche ore dopo l’uso eccessivo della forza di polizia, avvenuto mentre i manifestanti cercavano di rilasciare dichiarazioni su questo, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una grande varietà di persone provenienti da diversi strati sociali e generazioni tra cui studenti, insegnanti, artisti, attivisti, lavoratori, madri, padri, ma soprattutto giovani, è andata a rivendicare il proprio diritto di essere nello spazio urbano e di esprimere liberamente la propria opposizione. Si è data in questo modo una vera e propria resistenza civile con centinaia di migliaia di persone, resistenza praticata attraverso gli spazi di piazza Taksim e Gezi Park. Dopo una notte e un giorno di protesta e di resistenza contro gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, i manifestanti hanno riempito la piazza e il parco accorrendo da tutte le parti e la polizia si è ritirata.

Gezi Park e Taksim sono diventati i simboli della resistenza in tutto il paese. Per le strade di altre città della Turchia si grida “Her yer Taksim, la yer direniş” (ovunque è Taksim, ovunque resistenza). Mentre le proteste continuano fino ad oggi in tutta la Turchia, piazza Taksim e Gezi Park si sono costituiti ora come un unico spazio urbano, autonomo a partire da domenica sera. Non c’è polizia, né lavoratori della municipalità. Questo nuovo contesto significa molto per gli abitanti di Istanbul che, in questi dieci anni, hanno sperimentato l’incremento sempre crescente delle forze di polizia nello spazio urbano. Ad esempio, all’incrocio tra piazza Taksim e via Istiklal, la più famosa arteria commerciale di Istanbul, si è piazzato un posto fisso di polizia, con agenti armati e auto appostate. Fissare le canne delle loro armi spianate è così divenuto parte della scena quotidiana, deliberatamente perché entrasse a forza nell’inconscio delle persone. In questi ultimi anni, le forze di polizia hanno tenuto una specie di festival annuale a piazza Taksim. Per questa festa, la piazza viene occupata da centinaia di poliziotti; gli altri pedoni sono lasciati fuori, a camminare lungo e intorno le barriere di protezione. Nella piazza c’era solitamente anche un eccessivo numero di poliziotti in borghese e di telecamere a circuito chiuso. Se si registrava un raggruppamento rilevante o un’attività straordinaria (come ad esempio stare seduti per un pic-nic al sacco, come ha fatto un gruppo di studenti Erasmus l’anno scorso), i poliziotti in borghese sarebbero arrivati subito a farvi circolare.

Il controllo della polizia è aumentato nel corso degli anni. Infine, un lato del Gezi Park è stato occupato da un posto di polizia in espansione già dall’inizio dei lavori di costruzione per il cosiddetto progetto di pedonalizzazione nel dicembre del 2012. Il progetto di pedonalizzazione, che prevedeva la costruzione di strade e fermate degli autobus sotterranee in modo da lasciare la superficie priva di auto, è stato annunciato nel giugno 2011. Nonostante la forte opposizione da parte delle ONG e della Camera degli architetti e urbanisti, i lavori di costruzione sono iniziati nel dicembre 2012. La demolizione del Gezi Park e la ricostruzione del vecchio edificio delle caserme, che era al posto del parco prima del 1930, costituiscono la seconda fase. Maggiore opposizione è stata sollevata per la privatizzazione del parco pubblico, con il fine ultimo di costruire un centro commerciale/residenze di lusso. Si sono svolti diversi sit-in e concerti, sono state raccolte le firme ed è stata aperta una vertenza giudiziaria. Ma il governo è rimasto fermo, dichiarando, attraverso le parole del primo ministro che il progetto non sarà rimesso in discussione.

Dopo la recente occupazione, anche se le telecamere a circuito chiuso ci sono ancora, è venuta meno la costante presenza della polizia in questo luogo. In effetti proprio qui è scoppiata la pratica dell’autorganizzazione, dopo la ri-occupazione del 2 giugno. Sono stati predisposti: un punto di condivisione di cibo e bevande, le modalità e gli strumenti per collaborare alla pulizia (servizi svolti con grande partecipazione), un angolo di libertà di parola, il cibo per animali di strada lasciato sotto gli alberi; è stato costituito un presidio medico per l’assistenza sanitaria, così come, ma in maggiore numero, per la consulenza legale. Le informazioni giuridiche e le pratiche sono condivise attraverso cartoni appesi agli alberi; è stata costruita una libreria e diversi gruppi organizzano eventi ogni giorno. Una specifica modalità di partecipazione urbana e di collaborazione fra molti si è progressivamente affermata nel parco. Giorno e notte migliaia di persone accorrono per sostenere i legittimi occupanti.

La gente fruisce di uno spazio urbano autonomo e protetto al centro di Istanbul; in una città sempre più controllata si pratica la libertà di comportamento e di parola nel pieno rispetto reciproco. Piazza Taksim e Gezi Park non sono mai stati così significativi e importanti sia per la città che per coloro di noi che hanno recuperato questi spazi per condividerli. L’occupazione continuerà fino all’annuncio del governo che questo spazio liberato rimarrà parco e la gente sarà in grado di tenervi riunioni e manifestazioni senza la necessità di ottenere il permesso dalle autorità, così come del resto garantisce la legge turca. Al momento, la polizia costringe insistentemente ad aprire le barricate ogni notte e non c’è segno da parte del governo di voler soddisfare la domande dei cittadini.

*Istanbul, 04/06/2013. Traduzione dall’inglese Dinamopress.