PRECARIETÀ

Jobs Act, la precaria Marta risponde a Renzi: «Non in mio nome»

Marta non è un per­so­nag­gio fit­ti­zio inven­tato dalla fan­ta­sia del pre­si­dente del Con­si­glio. Esi­ste dav­vero e parla in un video dove­ri­fiuta di barat­tare la sua mater­nità con la pre­ca­rietà di nove anni pen­sata dal governo nella legge delega

Il pre­si­dente del Con­si­glio Mat­teo Renzi l’ha resa cele­bre. Per giu­sti­fi­care la sua per­so­nale guerra con­tro l’articolo 18, l’ha usata molto spesso nelle ultime set­ti­mane. Eli­mi­nando uno dei diritti resi­duali, ma sim­bo­lici, del lavoro dipen­dente a que­sta ragazza di 28 anni il pre­mier sostiene di volere rico­no­scere il diritto alla mater­nità. Ma non ha ancora detto a nes­suno che, in cam­bio, Marta dovrà ras­se­gnarsi a restare pre­ca­ria per altri 9 anni, cioè per tutta la durata dei tre anni (senza arti­colo 18 e senza “cau­sale”) del con­tratto a ter­mine pre­vi­sto dalla recente riforma Poletti; i tre anni a “con­tratto a tutele cre­scenti” che dovrebbe arri­vare in uno dei decreti con­te­nuti nella legge delega; tre anni di rin­novo tra­mite agen­zia del lavoro

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Marta, allora, sarà “garan­tita” come una lavo­ra­trice di “Serie A”, ma trat­tata come una pre­ca­ria di “Serie B”. E que­sto per usare le cate­go­rie di Renzi.

In poche ore, il video è diven­tato virale in rete.

Fa parte della cam­pa­gna di lan­cio dello scio­pero sociale pro­mosso per venerdì 14 novem­bre dai movi­menti sociali, dai sin­da­cati di base, dagli stu­denti e dai pre­cari. «Rifiu­tiamo il Jobs Act che lega­lizza la pre­ca­rietà, l’abolizione dell’articolo 18 che san­ci­rebbe l’uguaglianza dei lavo­ra­tori nella man­canza totale di garan­zie e una riforma della scuola, che die­tro l’assunzione di 150 mila docenti, apre una nuova sta­gione di pri­va­tiz­za­zione e mer­ci­fi­ca­zione». «A que­sto attacco rispon­de­remo costruendo uno scio­pero sociale. Per un lavoro garan­tito, per il sala­rio minimo, per il red­dito, per un nuovo Wel­fare. La vostra reto­rica non fun­ziona. Noi ci ripren­diamo la parola»

Da il manifesto