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«Jin Jiyan Azadî»: per liberare iraniani e curdi, per cambiare questo mondo

Dietro questo slogan c’è una storia decennale di resistenza contro il colonialismo, l’occupazione, la violenza patriarcale e statale e lo sfruttamento. Mentre lo slogan torna a farsi sentire ovunque, gli attacchi permanenti contro i curdi continuano nell’indifferenza generale. Chi è solidale con la rivoluzione in Iran non può allo stesso tempo sostenere la criminalizzazione e la distruzione del movimento curdo

Negli ultimi due mesi, gli occhi del mondo sono stati puntati sulla rivolta in Iran contro il regime. In tutte le 31 province dell’Iran, e soprattutto in Kurdistan, si svolgono quotidianamente scioperi e proteste di massa. Il femminicidio di Jîna Amini, una donna curda della città di Seqiz, da parte della “polizia morale” iraniana ha innescato una rivoluzione che è partita dal Kurdistan e si è diffusa in breve tempo in tutto l’Iran.

Questa rivoluzione è portata avanti dalle donne – lo slogan «Jin Jiyan Azadî» (Donna, vita, libertà) si sente nelle strade di tutto il paese. Lo slogan, erroneamente chiamato “lo slogan delle donne iraniane”, risale al Partito dei Lavoratori Curdi PKK e ha una lunga storia di resistenza. «Jin Jiyan Azadî» ha fatto il giro del mondo più volte: quando le Unità di Difesa delle Donne YPJ hanno combattuto e sconfitto l’ISIS; quando il movimento delle donne curde ha protestato contro il femminicidio, la guerra e l’occupazione; e quando rivoluzionarie curde sono state uccise dallo Stato.

Mentre questo slogan torna a farsi sentire ovunque, gli attacchi permanenti contro i curdi e contro il movimento che ha coniato questo slogan continuano e rimangono inosservati.

In ottobre, Nagihan Akarsel, principale attivista del movimento delle donne curde e della Jineolojî[1], è stata uccisa a Slêmani, nel Kurdistan meridionale, molto probabilmente dai servizi segreti turchi del MIT. In un periodo di rivolta radicale delle donne e del popolo curdo nella regione, questo attacco brutale al movimento femminile è stato portato a termine senza alcun grido di protesta.

Anche gli attacchi dei droni turchi in Rojava/Siria settentrionale e orientale e gli attacchi con armi chimiche vietati contro la guerriglia curda continuano senza grandi clamori. Mentre curdi e internazionalisti in Europa sono scesi in piazza e hanno organizzato grandi manifestazioni nelle ultime settimane, i politici europei non hanno rilasciato alcuna dichiarazione sugli attacchi della Turchia, partner della NATO, in Kurdistan.

Annalena Baerbock, attuale ministra degli Esteri tedesca, si è persino presentata con un manifesto «Jin Jiyan Azadî» per esprimere solidarietà con le proteste in Iran. Ma, ironia della sorte, la Germania, così come altri Paesi della NATO, sostiene la Turchia nelle sue operazioni contro i curdi e la aiuta criminalizzando, imprigionando, deportando ed estradando attivisti curdi in Europa. Persino la Svezia, dove il PYD e l’YPG non erano stati classificati come terroristi, ha ora fatto concessioni alla Turchia per sostenerli nella “lotta al terrorismo” in cambio dell’adesione alla NATO.

A livello interno, intanto, Ankara sta ancora una volta fomentando la paura e l’odio contro il popolo curdo nella società. Dopo l’esplosione di domenica a Istanbul, che ha ucciso sei civili, il Ministero degli Interni ha annunciato in poche ore che le “indagini” erano state completate e che il colpevole era una donna curda di Afrîn che avrebbe ricevuto istruzioni da Kobanê. La parte curda ha negato le accuse ed è molto evidente che lo Stato sta usando questa esplosione per giustificare un’altra imminente invasione del Rojava.

Tutto questo avviene nel grande silenzio della comunità internazionale. «Jin Jiyan Azadî», lo slogan rivoluzionario di un movimento femminista e anticapitalista, si sente dappertutto, mentre gli artefici dello slogan vengono attaccati quotidianamente. In realtà, gli eventi descritti, la rivolta delle donne in Iran e in Kurdistan, l’ondata di attacchi da parte della Turchia e l’atteggiamento della NATO nei confronti del movimento curdo sono correlati.

Per il futuro dell’Iran non è improbabile che gli attivisti di sinistra, le donne, i queer e le minoranze oppresse in Iran possano dedicarsi alla questione delle alternative al sistema e trarre ispirazione dalle lotte rivoluzionarie già esistenti nella regione. Negli ultimi due mesi, molte richieste sociali e politiche si sono unite nella lotta contro il regime: femminismo, autodeterminazione delle minoranze etniche, scioperi generali, lotta dei lavoratori e molto altro.

Il movimento curdo è uno di quei movimenti della regione che sono stati in grado di realizzare le loro utopie di una società libera in molti aspetti, come nel Rojava. Chi grida «Jin Jiyan Azadî» non può allo stesso tempo ignorare i numerosi attacchi contro i curdi, sia che provengano dal regime iraniano che dalla Turchia. Chi è solidale con la rivoluzione in Iran non può allo stesso tempo sostenere la criminalizzazione e la distruzione del movimento curdo.

Dietro a «Jin Jiyan Azadî» c’è molto di più di queste tre parole. Dietro lo slogan c’è una storia decennale di resistenza contro il colonialismo, l’occupazione, la violenza patriarcale e statale e lo sfruttamento. Dietro lo slogan c’è un’intera filosofia di liberazione. Non si può permettere che questo slogan venga appropriato da chi è al potere e criminalizza le nostre lotte. «Jin Jiyan Azadî»  appartiene alle lotte nelle strade e nelle piazze, alle lotte nelle montagne, alle lotte di tutti coloro che vogliono cambiare e liberare questo mondo.

[1] Un approccio del movimento femminile curdo per abbandonare la scienza patriarcale dominante e costruire una scienza organizzata intorno alla libertà e alla società.

Immagine di copertina di Magdalena Stefanova Vassileva di Berliner Migrant Strikers, corteo in sostegno alle proteste in Iran, Berlino 2022