MONDO

Israele: deportazioni forzate e detenzione indefinita dei richiedenti asilo

In Israele la proposta di imprigionare a tempo indeterminato i richiedenti asilo che non abbandonino il paese da soli. Nel pieno disprezzo delle convenzioni internazionali sui diritti umani

Israele ha preso una decisione senza precedenti per i Paesi occidentali firmatari della Convenzione di Ginevra: costringere migliaia di richiedenti asilo ad accettare la deportazione forzata verso “Paesi terzi”, a meno di voler subire una detenzione a tempo indefinito. Ancora una volta il governo israeliano dimostra senza mezzi termini il disprezzo per il diritto internazionale (nello specifico per una delle Convenzioni fondamentali per la protezione di chi scappa da guerre e genocidi), di quello interno (l’Alta Corte Israeliana ha già bocciato due volte leggi che intendono autorizzare l’imprigionamento indefinito dei richiedenti asilo), oltre che della stessa memoria collettiva che dovrebbe appartenere al suo popolo. Abbiamo tradotto due articoli che raccontano quello che sta accadendo in Israele: il primo è un aggiornamento sulla situazione in seguito alle recenti decisioni, il secondo l’amara riflessione di un attivista del gruppo “Studenti per i rifugiati”. Entrambi i testi sono tratti dal sito 972mag.com.

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Israele imprigionerà a tempo indefinito i richiedenti asilo che rifiutano la deportazione

In una mossa senza precedenti per un Paese occidentale, il Ministro dell’Interno uscente di Israele annuncia un piano per costringere i richiedenti asilo a lasciare il Paese. L’Alta Corte Israeliana ha ripetutamente revocato le leggi che autorizzano la detenzione indefinita dei richiedenti asilo.

In Israele, i richiedenti asilo del Sudan e dall’Eritrea dovranno affrontare la deportazione verso due Paesi terzi oppure la detenzione a tempo indefinito sotto una nuova politica del Ministero dell’Interno pronta per essere attuata nei prossimi giorni. Secondo il comunicato rilasciato martedì dal Ministro della Popolazione, dell’Immigrazione e dell’Autorità di Frontiera, Israele fornirà ai richiedenti asilo un preavviso di 30 giorni, alla fine del quale chi rifiuta di partire sarà imprigionato a tempo indefinito.

I due Paesi in questione sono Ruanda e Uganda, benché Israele non abbia divulgato l’informazione. Fino ad ora, Israele ha fatto pressione sui richiedenti asilo affinché partissero attraverso l’imprigionamento nel centro di detenzione di Holot e l’offerta di denaro contante sia per tornare nel proprio Paese di origine, che per andare in un Paese terzo. Ma ciò richiedeva comunque il loro consenso scritto. La nuova prassi dovrebbe essere interamente coercitiva: o partono, o vengono imprigionati a tempo indefinito.

Sei ONG, tra cui Hotline for Refugees and Migrants, Amnesty International e Association for Civil Rights in Israel, hanno definito questa mossa pericolosa, illegale e già prevista.

Le organizzazioni hanno affermato in un comunicato che “l’iniziativa del Ministero dell’Interno rende evidente quello che noi tutti sapevamo: che il ‘rimpatrio volontario’ non esiste. La decisione del Ministro dell’Interno e della Giustizia cancella i travestimenti utilizzati in precedenza dallo Stato e rende chiaro che Israele si adopererà per deportare i richiedenti asilo in tutti i modi possibili, inclusi quelli illegali”.

Secondo un rapporto di Haaretz pubblicato martedì, non esistono precedenti nel mondo occidentale per questo tipo di deportazioni di richiedenti asilo in Paesi terzi. Israele è uno dei firmatari della Convenzione dei Rifugiati UNHCR del 1951, che proibisce di obbligare i richiedenti asilo a lasciare il Paese attraverso la minaccia della detenzione.

Il Ministro dell’Interno uscente, Gilad Erdan, ha dichiarato che questa mossa “incoraggerà gli infiltrati [come vengono definiti i richiedenti asilo eritrei e sudanesi, ndt] a uscire dalle frontiere dello Stato di Israele in un modo onorevole e sicuro”. I gruppi per i diritti umani, invece, sostengono che Ruanda e Uganda sono Paesi non sicuri per i richiedenti asilo che lasciano Israele e che questi non avranno alcuno status legale o di protezione all’arrivo, cosa che li costringerà a partire per un altro Paese.

Non è chiaro se la nuova misura verrà attuata prima che il prossimo Ministro dell’Interno israeliano, che dovrebbe essere Arye Deri presidente del partito sefardita Shas, venga nominato.

Al momento ci sono più di 40 mila Eritrei e Sudanesi in Israele, di cui circa 2 mila sono attualmente detenuti nel centro di detenzione di Holot. Meno di 10 di loro hanno ottenuto lo status di rifugiato, con una percentuale di riconoscimento dell’asilo inferiore all’1%. In tutto il mondo, i richiedenti asilo Sudanesi ed Eritrei ottengono lo status di rifugiati con percentuali del 60,70 e 80%.

Lo scorso settembre, l’Alta Corte Israeliana ha ordinato la chiusura del centro di detenzione di Holot, stroncando per la seconda volta la legge che autorizzava la detenzione indefinita dei richiedenti asilo. Invece di chiudere il centro, come ultimo atto prima delle elezioni, la Knesset [parlamento di Israele, ndt] ha approvato una nuova legge che autorizza la detenzione dei richiedenti asilo fino a 20 mesi.

Questo sembrerebbe contraddire direttamente il ragionamento dietro entrambe le decisioni della Corte che hanno revocato la legge precedente, che autorizzava la detenzione indefinita dei richiedenti asilo.

La nuova politica viene descritta come un modo per lo Stato di espellere quei richiedenti asilo che vorrebbero essere rilasciati dopo 20 mesi di detenzione.

I richiedenti asilo che non sono imprigionati ad Holot, invece, si vedono negati molti servizi sociali e sanitari di base. Due giorni prima che le nuove misure fossero annunciate, un bambino di quattro mesi è morto a causa dell’incuria in un asilo per figli di richiedenti asilo nel Sud di Tel Aviv. È la quinta morte da febbraio. Gli asili nido improvvisati sono sovraffollati, a corto di personale e mancano di affidabilità e della sorveglianza del governo.

di Mairav Zonszein

Fonte: 972mag.com

Traduzione di DinamoPress

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I nostri funzionari eletti si vantano di deportare i sopravvisuti ai genocidi

I leader d Israele sono orgogliosi di se stessi perché deportano i richiedenti asilo, mentre lo Stato continua a calpestare i loro diritti e ad ingannarli. Per cosa siamo venuti?

Martedì, è stato annunciato che il governo sta progettando di deportare forzatamente i richiedenti asilo Eritrei e Sudanesi in “Paesi terzi”. Quelli che rifiutano di partire saranno imprigionati nel carcere di Saharonim a tempo indefinito.

Quest’ultimo passo non è impacchetato in belle parole come “ritorno volontario” o “pacchetti di benefici”, il cui obiettivo è coprire lo spettacolo dell’orrore sponsorizzato dal governo che si svolge qui. Coloro che stanno dietro a questa decisione sono orgogliosi di se stessi per quanto questa è aggressiva, testarda e grossolana. La deportazione forzata costringerà le persone in un Paese a cui non appartengono, in un luogo pericoloso.

Sto seduto e mi chiedo quali sono le terribili ricompense garantite all’Uganda e al Ruanda, che Israele classifica come “Paesi terzi” – nonostante rifiuti di nominarli -, per far loro accettare di prendersi quelle persone che lo Stato ha insultato per anni. Un accordo formale tra i due Paesi? No. Trasparenza? No. L’assicurazione che i deportati saranno al sicuro? Certamente no.

Quindi che cosa abbiamo? Dietro le quinte si danno accordi intrisi di sangue, sospetti di assistenza attraverso documenti contraffatti (un lavoratore dell’Autorità della Popolazione e dell’Immigrazione è già stato interrogato su questo), documenti di viaggio temporanei requisiti all’arrivo nel Paese, minacce di deportazione nel Paese di origine, mancanza di sicurezza, stabilità e protezione. In breve: un ciclo perpetuo dell’essere rifugiato.

Ricucendo pezzi di un cuore spezzato

Dall’approvazione della Convenzione Relativa allo Status dei Rifugiati, non c’è stato un solo Paese occidentale che abbia deportato persone sopravvissute a genocidi, pulizia etnica e regimi totalitari. I nostri funzionari eletti sono orgogliosi della loro “soluzione” e nel frattempo lo Stato semplicemente ignora le richieste di asilo, la violazione dei diritti dei richiedenti asilo e, quel che è peggio, continua a raggirarli. Tutto ciò accade senza che nemmeno il più piccolo frammento di moralità possa interrompere l’assalto del male, senza la storia e la memoria collettiva che ci insegnano ad agire in modo diverso, senza neanche considerare il fatto che queste sono soltanto persone.

Sono state raccolte molte testimonianze per descrivere il destino di quelli che sono già stati deportati. C’è chi è stato arrestato, torturato, chi è scomparso, chi è stato perseguitato e costretto a scappare ancora e ancora e ancora. E poi ci sono quelli che non ci sono più.

La scorsa estate sono volato in Uganda per incontrarmi con dei Sud Sudanesi che erano stati deportati là nell’estate del 2012 e con deportati di altre zone del Sudan e del’Eritrea. In realtà, sono andato a ricucire i pezzi rotti del mio cuore. Sono andato a visitare amici che avevano vissuto in Israele per 5-8 anni, fino a un giorno in cui le loro vite sono state violentemente sradicate e mandate da qualche altra parte. Alcuni di loro sono stati deportati nel Sud Sudan e sono stati costretti a scappare ancora di fronte a un’altra guerra civile. Altri sono stati deportati dritti in Uganda, un Paese con cui l’unica cosa che i richiedenti asilo hanno in comune è il colore della pelle dei suoi cittadini.

Ho sperato e pregato di scoprire che avessero trovato qualche speranza per il futuro, di avere qualcosa a cui aggrapparmi, perché il pensiero che noi siamo responsabili del loro destino è troppo per chi ha una testa e una coscienza buone. Le mie speranze sono state deluse.

Sono passati circa tre anni dalla loro deportazione forzata. Da allora non ho smesso di ricevere telefonate piene di cattive notizie. Bambini in lacrime di sottofondo, nostalgia per gli amici lasciati indietro, malattia, guerra, fame. I pezzi del mio cuore rotto sono diventati schegge, ma la parte peggiore è il mio fallimento morale.

La vera faccia dello Stato

Non c’è dubbio che quando si tratta di richiedenti asilo in Israele ci sono tanti individui odiosi che spendono molta della loro energia a “prendersi cura” di queste persone che sono riuscite a a sconfiggere la morte. Molte risorse, tempo, personale e soldi dei contribuenti sono stati incanalati per trattare meno di 50 mila persone che sono venute a chiedere asilo. All’inizio, hanno dato loro un biglietto di sola andata per la stazione centrale di Tel Aviv. Dopo, hanno dato loro visti temporanei senza alcun diritto sociale. Più avanti, hanno dato loro nomi, soprannomi e odio. In seguito, sono arrivate le prigioni dai nomi carini. E ora, poco prima della Pasqua – la festa della libertà – stiamo dando loro un altro presente: la deportazione forzata.

Pochi mesi fa, una giovane ragazza sudanese in lacrime mi ha chiesto: “Perché qui tutti quanti hanno un colore della pelle normale e io no?”. Lei non starà qua a lungo. È così che va. È questa la vera faccia dello Stato.

di Moran Mekamel (leader del gruppo “Studenti per i rifugiati” della Ben-Gurion University, attivista per i diritti umani e studente universitario di assistenza sociale).

Tratto da 972mag.com

Traduzione di DINAMOpress